EUROPA

Lukašenko vince con l’80%, ma il paese è in rivolta. Voci dalla Bielorussia

«Il sistema di potere creato da Lukašenko assomiglia a una famiglia oppressiva in cui il padre è un tiranno», raccontano da Minsk dove oramai da quasi quattro giorni molte persone scendono in strada e si scontrano con la polizia per contestare il risultato delle elezioni. Almeno un morto, centinaia di feriti e migliaia di arresti da parte degli agenti speciali

«Sollevatevi, ora. Мы победим, vinceremo». Sono le ultime parole scritte da un ex-prigioniero politico bielorusso sulla sua pagina di Facebook il giorno precedente le elezioni di domenica 9 agosto. Nel post, in cui sostanzialmente si invitano i cittadini della piccola repubblica est-europea a contestare i risultati delle elezioni e il regime al potere, Mikola Dziadok (attivista e analista politico che, dopo la detenzione che ha subito dal 2010 al 2015, si è dato il compito di trasmettere la sua prospettiva sulla Bielorussia al maggior numero di persone possibili e che aveva tra l’altro rilasciato un’intervista per Dinamopress) denunciava anche il fatto che membri delle forze speciali di sicurezza lo stessero cercando per arrestarlo e che si sarebbe perciò nascosto in un posto “sicuro”. Non sono pochi i messaggi di un tenore simile: non sarebbe la prima volta che nel paese guidato dall’ex-direttore di una fattoria collettiva (sovchoz) Aleksandr Lukašenko, al governo da 26 anni, le elezioni diventassero un’occasione per incarceramenti arbitrari, repressione poliziesca, torture.

Meno di 24 ore dopo questo “annuncio”, gli eventi sembrano andare proprio in quella direzione: già le prime proiezioni ufficiali danno il presidente uscente all’80%, mentre la sfidante Svjatlana Tichanovskij (moglie di un blogger indipendente che aveva deciso a maggio di candidarsi per poi essere arrestato) fugge in Lituania. Nel frattempo in numerosi centri del paese le persone scendono in piazza per contestare i risultati. Fabbriche di vario tipo e in diverse città entrano in sciopero. Il governo mette in atto dei “blocchi” temporanei della rete internet e diventa talvolta difficile e macchinoso comunicare all’esterno.

 

Nella capitale Minsk e nei centri maggiori si verificano scontri (nel quartiere “Riga” della capitale sono state erette delle barricate) fra manifestanti e le forze speciali di sicurezza “Omon”, che lasciano per strada almeno un morto. 250 feriti e si parla di oltre 7000 arresti (proprio ieri c’è stato un picchetto di solidarietà per i detenuti).

 

A livello internazionale, alcuni capi di stato tra cui il vicino Vladimir Putin hanno riconosciuto ufficialmente la vittoria di Lukašenko, mentre l’Unione Europea sta al contrario valutando se imporre delle sanzioni per l’uso «sproporzionato» della forza contro i propri cittadini da parte del governo bielorusso.

 

 

«Lukašenko si sta comportando semplicemente come un criminale», afferma A. mentre si trova in un edificio della periferia di Minsk in cui attivisti e volontari prestano assistenza medica ai manifestanti rimasti feriti negli scontri. In vista delle elezioni, si era impegnato nella raccolta firme per la candidata dell’opposizione Svjatlana Tichanovskij. «Ieri è uscito un suo video dalla Lituania, in cui chiede alle persone di non scontrarsi con la polizia e di accettare i risultati», racconta sempre A. «Ma le sue parole stanno avendo l’effetto opposto. È come se alla gente fosse chiaro che lei si è spinta fin dove le era concesso dal suo ruolo di politica “ufficiale” e ora toccasse a noi. Tutti si stanno impegnando: chi scende in strada e si scontra con la polizia, chi presta soccorso medico, chi nasconde nelle proprie abitazioni i manifestanti, chi va in giro per la città a dipingere graffiti anti-governativi o attacca volantini sui muri».

 

Non c’è, chiaramente, una strategia precisa. La partecipazione alle proteste e l’andamento di queste ultime sembra davvero variegato:

 

se, come riportato ad esempio da “Il Manifesto”, in prima fila nelle piazze si trovano spesso attivisti di ispirazione anarchica assieme a ultras calcistici, si è assistito anche ad azioni simboliche realizzate da sole donne, che per esempio durante la giornata di ieri hanno formato una catena umana e hanno deposto dei fiori su una transenna presso la strada “Pushkin” a Minsk in sostegno degli arrestati, oppure a scioperi di lavoratori, che si estendono dalle fabbriche metallurgiche della capitale sino al mercato di Grodno (confine con la Polonia) dove i commercianti hanno deciso di non aprire negozietti e bancarelle come di consueto. Se in numerose occasioni le forze dell’ordine non esitano a utilizzare la violenza e a sparare lacrimogeni anche ad altezza d’uomo per disperdere la folla (come accennato, si conta almeno un morto a Minsk; a Grodno pare che una ragazza di cinque anni sia rimasta gravemente ferita durante una manifestazione pacifica), in altri contesti capita invece che siano i manifestanti ad avere la meglio e a mettere in fuga le unità speciali, come è successo martedì sera nella città centro-occidentale di Baranavichy.

«Il sistema di potere creato da Lukašenko assomiglia a una famiglia oppressiva dove il padre è un tiranno», dice E., che lavora come giornalista a Minsk e si occupa di far circolare notizie attraverso un canale Telegram che conta migliaia di iscritti. «Praticamente tutti i mezzi di comunicazione sono controllati dallo stato. Telegram è una delle poche piattaforme che ci garantiscono l’anonimato e ci aiuta a condividere informazioni anche durante le proteste di questi giorni.

 

Negli ultimi mesi è diventato sempre più chiaro come il presidente fosse stato completamente abbandonato dalla popolazione:

 

non ascolta la volontà del popolo, non gli interessa. Utilizza il potere per soddisfare solo i suoi bisogni e le sue esigenze». Se, a livello giornalistico, per le primavere arabe del 2011 era stato coniato l’appellativo di “Twitter revolution”, pensando a quanto sta accadendo ora in Bielorussia potrebbe non essere così peregrino sottolineare il ruolo della piattaforma di comunicazione dell’imprenditore russo Pavel Durov. “Basta!”, “nexta!”, “Bielorussia ora”, “Bielorussia sotto shock”… con i nomi più svariati sono decine e decine i canali Telegram che riportano foto, video e messaggi delle proteste e attraverso i quali, anche, le proteste stesse sembrano coordinarsi. Tanti appelli, come quelli per gli scioperi generali, vengono infatti ripresi e fatti “rimbalzare” attraverso queste chat. Certo è che – a confrontare l’immagine che esce “dal basso” con quella fornita a livello “ufficiale” la discrepanza risulta notevole. «Fermare la follia», titola il portale filo-governativo “Bielorussia oggi” con riferimento alle persone che manifestano. «Vivi Bielorussia», risponde la folla dalle piazze, che oramai si moltiplicano anche all’estero.