approfondimenti
MONDO
La pandemia del permafrost
Nuove malattie mortali dai ghiacci dell’Artico? Mentre l’Artico si surriscalda, un gruppo di scienziati sta valutando il rischio che possano ritornare malattie mortali dal lontano passato: si tratta di batteri e microbi che si sarebbero conservati negli strati di ghiaccio permanente, che è però sempre più a rischio di disgelo
La settimana scorsa in alcune parti del Circolo Polare Artico faceva più caldo di quanto ne abbia mai fatto nel Regno Unito. Inoltre i dati satellitari indicano che mentre l’aria nel nord-est della Siberia raggiungeva i torridi 38° C, la temperatura della superficie terrestre era ancora più alta, 45° C – allarmante. Questa ondata di caldo da record, legata, sia chiaro, al riscaldamento globale, arriva mentre il mondo intero è colpito dalla pandemia di Covid-19, un virus microscopico che ha ucciso mezzo milione di persone e paralizzato l’economia globale.
Le due crisi potrebbero essere meno distanti di quanto non sembri. L’Artico svolge un ruolo importante nella storia del cambiamento climatico. Non solo si sta surriscaldando almeno al doppio della velocità del resto del mondo, ma ciò che accade lì si ripercuote ovunque. L’innalzamento del livello del mare? È dovuto allo scioglimento dei ghiacciai. Il cambiamento climatico fuori controllo? A causa del metano e del carbonio immagazzinati nel permafrost.
Il ruolo che l’area può svolgere nel rilascio di malattie a lungo latenti è meno chiaro. Ne risulta una vera e propria trama di fantascienza che affascina i giornalisti ma si tratta di un campo piuttosto recente per un’adeguata ricerca scientifica.
Per decenni solo i russi hanno effettivamente analizzato se e per quanto tempo i microbi potrebbero sopravvivere nel permafrost, ma ora l’intera comunità scientifica ne sta prendendo atto.
Lo scorso novembre a Hannover, in Germania, scienziati provenienti da tutto il mondo e competenti in tutti i settori di studio essenziali, dalla climatologia alla geologia e virologia, si sono incontrati per il primo grande scambio di esperienze concentrandosi sulla minaccia di microbi rivitalizzati dal disgelo del permafrost.
La scomparsa del permafrost
È qualsiasi materiale terrestre sottoposto a temperature pari o inferiori a 0 gradi centigradi per un periodo di due o più anni consecutivi. Il materiale terrestre può essere qualsiasi cosa: terreno organico, terreno minerale, sabbia, ghiaia. Il ghiaccio di un ghiacciaio o una banchisa può rientrare in questa definizione, ma gli specialisti del permafrost tendono a non includerlo.
Il permafrost, ha sottolineato il dottor Romanovsky a “Unearthed”, non si scioglie. Si disgela. All’interno vi è del ghiaccio ma una volta sciolto, il terreno rimane. Quando ciò accade, cessa di essere permafrost e ciò che era congelato ora non lo è più. Tale disgelo potrebbe portare al rilascio delle enormi riserve di gas serra di carbonio e metano del permafrost, uno dei punti di non ritorno che potrebbero preannunciare il precipitare del cambiamento climatico.
«In molte aree il permafrost si sta già disgelando dall’alto verso il basso», ha detto il dottor Romanovsky, spiegando che sebbene il permafrost più sotterraneo rimanga congelato tutto l’anno, vasti tratti del permafrost superiore, fino a mezzo metro di profondità, stanno subendo uno spostamento totemico. «Abbiamo osservato che nell’estremo nord dell’Artico canadese, dove le temperature del permafrost sono ancora intorno ai -14° C, si sta già disgelando dall’alto.
Ciò significa che parte del materiale che è stato congelato per migliaia di anni non è più ininterrottamente congelato.
Questo è uno sviluppo recente, solo degli ultimi 10 o 20 anni».
Le temperature in rapido aumento nell’area stanno aumentando la profondità dello strato attivo del permafrost, la parte, il più delle volte vicino alla superficie, che per i periodi dell’estate è composto d’acqua anziché ghiaccio. Il dottor Romanovsky ha affermato: «Quanto del permafrost si è già disgelato? Non molto, perché il processo è appena iniziato.L’aumento del livello attivo è iniziato negli anni ’90 mentre il disgelo a lungo termine del permafrost solo recentemente, negli ultimi 10 anni. Questo è solo l’inizio. Ma si velocizzerà con il passare del tempo e dovremmo aspettarci che il deterioramento del permafrost aumenti nei prossimi decenni».
La vita trova sempre un modo per farsi strada
Il permafrost non ha bisogno di sciogliersi del tutto né tutto l’anno per permettere ai microrganismi congelati nel terreno di prendere vita o di raggiungere il talik, uno strato sopra il permafrost, raramente se non mai congelato. Tale strato attivo, sempre più grande e da più tempo attivo, diventa un nuovo habitat, dove «è sufficiente un aumento di acqua non congelata per attivare alcuni processi biologici».
Difatti, questi microbi, risvegliati dal loro lungo letargo, possono approfittarne per spostarsi verso i talik, dove è più difficile che si ricongelino. Dopo Romanovsky, la platea di Hannover ha successivamente ascoltato Jean Michel Claverie, un virologo dell’Università di Aix-Marseille, il quale lavora con sua moglie Chantal Abergel, rinomata esperta a pieno titolo.
«L’idea che i batteri possano sopravvivere a lungo penso che sia definitivamente accettata», ha detto il dottor Claverie a Unearthed.
«Il dibattito ormai è: per quanto tempo? Per un milione di anni? 500.000? 50.000? Ma, sì, ci sono documenti estremamente validi che affermano che si possono rivitalizzare i batteri dal permafrost più profondo».
La coppia utilizza virus a Dna (di cui ne riparleremo a breve) recuperati dal permafrost nei pressi del fiume Kolyma nella Siberia nord-orientale e infetta l’ameba per determinare in sicurezza se funzionano ancora come dovrebbero. La dottoressa Abergel ha dichiarato: «Questa è una prova del principio che stiamo eseguendo in laboratorio. Siamo in grado di rivitalizzare i virus da antichi campioni di permafrost. Finora non siamo stati in grado di raggiungere i 30.000 anni, ma in futuro potremmo arrivarci».
La watchlist
Quindi quali sono le malattie latenti studiate? C’è davvero una pandemia del permafrost che dovremmo temere? Gli scienziati non sono sicuri.
Secondo Abergel e Claverie, i virus a Dna rappresentano il principale motivo di preoccupazione. Essendo più resistenti dei virus a Rna, è più probabile che emergano relativamente intatti dal loro stato congelato. «I virus a Rna sembrano essere molto più fragili, normalmente non dovrebbero essere in grado di sopravvivere così a lungo. Invece i virus a Dna essendo chimicamente più stabili risultano più robusti per questo tipo di processo», ha affermato Claverie.
«Nessuno ha mai provato a rivitalizzare i virus a Rna dal permafrost perché non infettano l’ameba o altre specie, ad esempio. E l’unico modo per valutare la sopravvivenza dei virus è utilizzare gli organismi ospiti». Ciò comporterebbe che è estremamente improbabile che i batteri dell’influenza spagnola, che come Covid-19 è un virus a Rna, trovati nei cimiteri dell’Alaska del nord, saltino fuori dal ghiaccio.
Il virus a Dna più noto, a cui fa riferimento il lavoro dei coniugi virologi, è il vaiolo, la malattia più mortale della storia moderna, ma che è stata sradicata a seguito delle vaccinazioni.
Il dottor Claverie è in gran parte scettico rispetto alla minaccia di malattie batteriche rivitalizzate, come la peste, per esempio, perché «uccideranno un paio di persone ma ora disponiamo di antibiotici». Forse l’epidemia più nota di una malattia artica è stata quella della varietà batterica dell’antrace. Ma l’episodio del 2016 febbrilmente riportato, che ha ucciso migliaia di renne in Siberia e infettato circa una dozzina di persone, potrebbe non essere emerso dal permafrost, secondo un recente studio.
Romanovsky e i suoi colleghi ritengono che l’epidemia sia stata così grave perché il governo russo ha modificato la sua politica sulla vaccinazione degli animali, che ha poi annullato. La dottoressa Brigitta Evengård, a capo della realizzazione dello storico evento di Hannover, è stata decisamente meno pronta a escludere la minaccia dei batteri congelati. Lei considera l’emergente crisi di resistenza agli antibiotici come un moltiplicatore di rischio.
Dopo essere tornata da una breve pausa dall’esercizio della medicina, quando i medici svedesi sono stati chiamati a sostenere gli sforzi per far fronte alla Covid-19, a “Unearthed” ha affermato: «Il mio peggior scenario? Quello che sta già succedendo di tanto in tanto, solo qualche anno fa vi è stato un focolaio in Madagascar. La Pasteurella pestis, ossia la peste, resistente agli antibiotici».
Sebbene abbia ammesso che il rischio di insorgenza di malattie resistenti agli antibiotici sia basso, non è impossibile. «La resistenza pandemica agli antibiotici ucciderà ogni anno più della pandemia di coronavirus». E per quanto riguarda le possibili pandemie dall’Artico? «In base alle nostre conoscenze, le due che potrebbero emergere dal permafrost sono l’antrace e il vaiolo, ma oltre a questi è un vaso di Pandora».
Trovare un organismo ospite
Una volta scongelati, questi microbi del permafrost devono trovare un ospite per sopravvivere. Ma hanno un problema: non ci sono molte persone che vivono nella zona e quelli che ci vivono, spesso si tratta di abitanti di villaggi indigeni, non sono in frequente contatto con estranei, il che significa che la diffusione dell’infezione sarebbe presumibilmente limitata.
«Il vero pericolo non è di per sé il disgelo del permafrost», ha affermato il dottor Claverie,«è che gli uomini, soprattutto i russi, stanno iniziando a sfruttare le regioni artiche e stanno realizzando grandi fori da cui estrarre strati di permafrost che risalgono a un milione di anni». «Questa è la ricetta per un disastro perché mettiamo in contatto uomini e virus, quando quest’ultimo è fresco. Cosa succede quando i virus vengono rilasciati dal permafrost in natura? Si riversano nel fiume. Sono esposti all’ossigeno, che è dannoso per i virus. Sono esposti alla luce, che è altresì dannoso. E quindi se non trovano rapidamente un ospite non resteranno rivitalizzati a lungo».
Quindi è come se il permafrost fosse l’oceano e i microbi gli squali. Non andare a fare surf quando ci sono gli squali nell’acqua e dovrebbe andare tutto bene.
La dottoressa Abergel ha dichiarato: «Se [i virus] entrano in contatto con un adeguato organismo ospite, si riattiveranno. Quindi se metti un essere umano in un posto con virus congelati associati alla pandemia, quegli uomini potrebbero essere infettati e replicare il virus, iniziando una nuova pandemia».
Ma come ha sottolineato la dottoressa Evengård, gli uomini non sono gli unici potenziali ospiti là fuori. «Con i cambiamenti climatici, vediamo la migrazione degli animali. Noi individui, tendiamo a stare nelle nostre case se ci troviamo relativamente bene. Tuttavia supponiamo che siate vicino alla costa del Bangladesh, in tal caso potreste già iniziare a spostarvi verso l’entroterra. La più grande migrazione di rifugiati climatici è ancora nei loro paesi d’origine. Ma gli animali si muovono».
La dottoressa ha sottolineato che i cambiamenti climatici hanno portato il flusso dell’ecosistema globale a muoversi ed è quasi impossibile dire come andranno le cose.
Le alci e le lepri, ad esempio, stanno migrando verso nord mentre la vegetazione affiora e poi ovviamente ci sono uccelli e pesci e i loro flussi migratori che a volte attraversano il globo.
«Questi animali possono portare i microrganismi in aree incontaminate», ha detto la dottoressa Evengård, “e accadranno cose che semplicemente non possiamo prevedere. Si può dire che l’Artico è spazioso e poco popolato, ma ci sono persone che vanno e vengono, sì, i minatori, e ci sono microrganismi che vengono con animali e che risalgono persino dalla terra. La dinamica in corso è nuova». L’esperienza del Coronavirus «ha appena rafforzato la mia convinzione che quello che sto facendo è assolutamente importante», ha detto.
«Non sono sorpresa, non si tratta di sapere se questo sarebbe successo ma quando sarebbe successo. L’unico vero nemico è la nostra ignoranza, alla quale non stiamo provvedendo. Abbiamo tutte queste conoscenze, non è poi una novità. Questo è il processo dinamico nel quale stiamo entrando con l’era del cambiamento climatico. Dovremmo essere più preparati, invece siamo seduti qui, paralizzati dalla paura […] Questo è un avvertimento da parte della natura e succederà ancora e ancora e ancora, ne sono certa».
Articolo originariamente pubblicato su Unearthed.
Traduzione dall’inglese di Giulia Musumeci per DINAMOpress
Foto di copertina di Sarah N da Pixabay