ITALIA
Shrek, chi è il nemico?
Le frammentarie misure governative contro gli effetti economici della pandemia: è mancato il coraggio di affrontare il collasso del sistema con un vero reddito universale di base e di eliminare strutturalmente le differenze artificiali nel corpo della forza lavoro (regolari, informali, clandestini). Come nelle fiabe, il mostro immaginario non è sempre il vero nemico
Mentre continua a infuriare la pandemia, si riaccende il dibattito politico sul “dopo”. Un “dopo” che, ormai è chiaro, non viene a fine pandemia, ma a pandemia in corso, con la curva dei contagi e dei decessi un po’ appiattita. Con la prospettiva, per di più, di un andamento sinuoso di quella curva, che potrebbe di nuovo impennarsi dopo l’attenuazione del distanziamento sociale, la ripresa del lavoro e con l’autunno.
“Dopo” vuol dire non soltanto il riavvio graduale della produzione e dei servizi ma anche il passaggio da misure d’emergenza, peraltro ancora in fase embrionale, a modificazioni stabili di sistema suggerite dall’esperienza pandemica e dei suoi effetti economici di lungo periodo. Vogliamo indicarne tre, di cui solo la prima riscuote un riconoscimento diffuso, almeno a parole.
1. Rottura delle compatibilità di bilancio e di debito
2. Reddito di cittadinanza
3. Regolarizzazioni immigrati e abolizione dei decreti Sicurezza
Qualsiasi riavvio della produzione e definizione di un nuovo bilancio economico vedrà al primo posto un incremento degli investimenti nella sanità e nella formazione di medici e infermieri. In generale si ricorrerà maggiormente al debito e non si avranno esitazioni a sfondare alla grande, fino al 10%, il rapporto deficit/Pil fissato dal defunto Patto di Stabilità al 3% e a salire dal 134 al 160% nel rapporto debito su Pil (previsione Goldman Sachs). Effetto Schreck.
Scriveva Walter Benjamin che la conoscenza moderna non parte più dallo stupore o sgomento (thauma) platonico ma dall’autentica paura (Schreck) della crisi e delle rivolte, per i borghesi, dall’esperienza concentrata degli choc non più schermati dalla ripetizione rassegnata per le masse popolari.
La polmonite virale e gli assalti ai supermercati hanno fatto miracoli su economisti e politici di casa nostra, ora convertiti al disavanzo keynesiano e a forme pelose di reddito di emergenza. Meno attuale, almeno in un’Italia non ancora entrata in un ciclo di sollevamenti, è la seconda possibilità: il terrore panico quale rovescio della festa, fino al loro fraterno ricongiungimento nell’insurrezione rivoluzionaria.
Le resistenze delle istituzioni europee a sostenere l’indebitamento italiano in positivo sono al momento assai forti e Germania e Olanda sbarrano la strada ai Coronabond e anche a più plausibili soluzioni di compromesso. È brutto dirlo, ma anche in questa congiuntura il dilagare della pandemia e i rischi di una frattura della Ue fra uno schieramento mediterraneo (Francia, Spagna, Portogallo, Italia) e uno nordico e orientale (con l’infido blocco illiberale di Visegrád) potrebbero fare miracoli nelle prossime settimane: è lo Schreck, bellezza, guardate come ha fatto cambiare idea a Johnson e Trump sull’immunità di gregge, senza tante argomentazioni.
Ma a cosa dovrebbe servire l’ormai obbligata deroga keynesiana ai trattati di Maastricht? A fornire liquidità alle banche e sostegno alle industrie dopo lo choc terribile che viene preventivato (fra il 10 e il 25% della produzione su scala europea e forse peggio per la già mal messa Italia), ma ancor prima a mantenere in vita lavoratori dipendenti e partite Iva (vere e finte), che hanno viste sospese le retribuzioni e spesso sparire le loro fonti di impiego o riferimento, e ancor più tutta la fascia del lavoro informale e sommerso scompaginato dalle misure di confinamento e dall’interruzione dei grandi flussi di approvvigionamento nella divisione internazionale del lavoro.
In quest’ultimo settore operano due diversi fattori. La crisi complessiva e non facilmente reversibile della globalizzazione e il disfacimento dell’economia informale di Paesi e aree periferiche quali l’Italia in buona parte. Basti ricordare – astraendo dal buio statistico sui “clandestini” – che nel Mezzogiorno il 13% degli individui vive in famiglie senza percettori di reddito e il tasso di occupazione è al 44% (contro il 66% del Nord). Cioè lavoro nero e traffici illegali.
Qui abbiamo a che fare con una composizione patologica del lavoro che si innesta su quella demografica altrettanto anomala di tutta l’Italia, con il risultato, nel primo caso, di un’estrema fragilità al venir meno di situazioni “normali” (la vita di strada e il trickle-down, lo “sgocciolamento” verso il basso della ricchezza circolante), nel secondo di una falcidia dello strato più anziano in tempi di pandemia.
Se nel primo caso i DPCM hanno puntato a implementare le tradizionali misure di sostegno occupazionale e fiscale per calamità (estensione e rifinanziamento della Cassa integrazione, moratoria di bollette, sfratti, versamenti, ecc.), nel secondo sono venuti all’ordine del giorno interventi affannosi sul reddito di emergenza: buoni pasto, fornitura diretta di vettovaglie, insomma provvedimenti per non lasciar morire di fame persone di colpo private di fonti di reddito alla giornata e sprovviste di risparmi, mosse per bloccare sul nascere assalti ai forni e saccheggio dei supermercati, prima e più elementare variante dello Schreck, il terrore che induce i governi a valutare più razionalmente la situazione.
Oltre a congratularci di questo accrescimento della conoscenza sociologica, non possiamo tuttavia non interrogarci sui limiti di questa presa di consapevolezza. Non è tanto l’esiguità degli stanziamenti, come ha subito strillato la destra lanciandosi in una rincorsa al rialzo, corredata da sciagurate proposte di finanziarlo con condoni edilizi e pace fiscale e strizzate d’occhio all’uscita dall’euro: come è avvenuto per le precedenti misure, il Governo parte con cifre basse e poi raddoppia. Il limite sta piuttosto nella dispersione e provvisorietà delle misure, che non hanno il coraggio di proporre, sia pure sotto clausola di “emergenza”, un intervento universale e permanente, visto che il collasso produttiva e occupazionale durerà anni e non settimane e mesi.
Oltre a sovrapporsi a provvedimenti già in corso, quali il reddito di cittadinanza con tutti i suoi impraticabili limiti workfaristici, il nuovo reddito rischia di discriminare i vari gruppi di percettori e il Governo, pur muovendosi nella giusta direzione di alleggerire i requisiti di accesso e le forme di accreditamento senza più distinguere fra lavoro autonomo e precario, regolare e in nero, occupati e inoccupati, evita accuratamente di dar vita a un vero reddito universale di lunga durata per fronteggiare la crisi strutturale che ci è piombata addosso.
Nel rapporto del Centro Studi della Confindustria – in pressing per la riapertura delle attività oggi sospese – si stima, se l’emergenza sanitaria dovesse cessare a fine maggio, una caduta del Pil del 10% nel secondo trimestre (e del 6,5% annuo), con calo dei consumi familiari del 6,8% e dell’occupazione dell’1,5% per numero di persone occupate, ma del 2,5% come unità a tempo pieno e del 3,1% in termini di monte ore lavorate. Questi dati tuttavia non comprendono i lavoratori informali senza contratto, che ammontano, secondo l’Istat, a 3,7 milioni di cui 3 al sud. Per non parlare dei clandestini non censiti.
La platea degli interessati (e dei potenziali rivoltosi una volta finiti i soldi per il cibo), quella che si aggiunge alle valutazioni confindustriali sui lavoratori regolari più o meno coperti dalla cassa integrazione, è enorme e risulta assurdo tenerla separata, con un eventuale REM, dal già esistente Reddito di cittadinanza.
Le campagne sul “reddito di quarantena” o la petizione del Basic Income Network Italia, che ha raccolto migliaia di firme, mirano invece a estendere con poche mosse l’attuale “reddito di cittadinanza”, eliminando alcuni vincoli di accesso e ogni condizionalità, unificandone tutti i beneficiari al massimale di 780 €. La riluttanza del Pd, che pure ha adottato una prospettiva neo-keynesiana a differenza del bieco neoliberismo sviluppista di Renzi, è davvero inspiegabile, se non in termini di residuo pregiudizio ideologico lavoristico.
Altro elemento qualificante per un welfare inclusivo, come hanno ricordato le Clap, è l’estensione dei criteri di accesso al reddito ai cittadini extracomunitari residenti da meno di 10 anni. Tanto per ricollegarci alla crisi attuale, basti ricordare il problema della regolarizzazione e indennizzo compensatorio degli addetti alla cura, in primo luogo le badanti, e del ruolo dei braccianti clandestini stagionali sotto caporale nella filiera agricola – due categorie flagellate dal blocco forzato della mobilità.
Si trapassa così in una terza problematica, messa in luce per contrasto dai provvedimenti del governo portoghese, che ha riconosciuto la validità di tutte le richieste di asilo presentate dai migranti, per garantire loro l’assistenza sanitaria senza vincoli di permesso di soggiorno e di residenza. Sarebbe sciocco sottovalutare questo decreto ricordando che in Italia i migranti irregolari possono già usufruire dei Pronto soccorso (peraltro oggi inaccessibili se non alle urgenze di Covid-19): in realtà la condizione di clandestinità e l’assenza di residenza, per quanto riguarda la medicina generale e la prevenzione, e la durata stessa della residenza “regolare” per quanto riguarda l’accesso ai servizi (case popolari, asili, ecc.) e al reddito di cittadinanza sono elementi pesantissimi di discriminazione e influiscono negativamente su ogni strategia di ordine pubblico e di sanità. I nefasti decreti Sicurezza hanno moltiplicato le difficoltà eliminando di fatto soluzioni di protezione umanitaria intermedia e recludendo i “clandestini” in carceri amministrative dove rischiano di restare a vita, stante il blocco delle frontiere e l’evidente impossibilità di espulsioni (comunque contrarie al diritto di asilo). Con problemi di contagio spaventosi, come nelle carceri e senza neppure il pretesto di un reato e di pericolosità sociale. L’emergenza sanitaria si somma alla precarietà lavorativa e all’uragano che ha spazzato via gran parte del lavoro informale.
Si ripropone qui l’urgenza di un nuovo decreto flussi per la regolarizzazione di figure già presenti (abbiamo ricordato badanti e proletariato agricolo, entrambi essenziali per l’assistenza e la nutrizione) e, come prima accennato, il diritto a percepire un reddito universale di cittadinanza.
In questo momento la responsabilità delle forze di maggioranza è davvero vistosa, dato che l’opposizione di destra è allo sbando, perché le è stato sottratto il principale strumento di pressione: la richiesta di nuove elezioni, dilazionate sine die per ragioni sanitarie e di riluttanza ad assumersi responsabilità di governo in questa fase della crisi. Gli imprenditori della paura sono paralizzati da una paura ancora più grande, il solito Schreck. Starnazzano, si agitano, ma hanno armi spuntate, sia sul reddito che sul razzismo. Salvini si attorciglia in discorsi insensati puntando a unirsi (male accetto) a Visegrád, mentre la più furba Meloni scopiazza le tesi trumpiane sull’Helicopter money, 1.000 € a famiglia una tantum su semplice richiesta, una parodia del reddito di quarantena.
La crisi di oggi e dell’immediato domani è un fenomeno sociale, che non va naturalizzato nella forma consolatoria di “guerra” dell’umanità solidale contro la pestilenza. Le cose sono più complesse, la specie umana è scissa e le classi e i i governi usano la pandemia in vari modi. Il bizzarro orco verde Shrek (il cui nome, nel libro illustrato di W. Steig e nel cartone animato, è la trascrizione yiddish dello spesso menzionato termine tedesco) sconfigge, con l’aiuto di Donkey, il malvagio Lord Maximus Farquaad, il vero “gelido mostro”, strappandogli la principessa-drago mutante Fiona, che avrebbe dovuto garantirgli i pieni poteri sovrani. Un orco ambivalente, con molti salti di specie fra animali, personaggi di favole e umani come un virus pandemico, ma oggi il vero volto del negativo è piuttosto Lord Viktor Orbán, che ingigantisce il pericolo epidemico in Ungheria per legittimare un autocolpo di stato – come del resto, in forma più adeguata al loro ruolo imperiale, stanno facendo Putin, Trump e Xi. Nessun metafisico stato d’eccezione, ma un esperimento di conservazione del potere di cui avere paura e quindi conoscenza e contro cui dovremo combattere in una resistenza di lunga durata. C’è guerra e ci sono nemici, ma sono ancora quelli della “normalità” precedente. Che la Forza sia con noi, come nelle fiabe.