ITALIA
Emergenza stradale, una strage quotidiana
Solitamente relegato ai trafiletti di cronaca locale, il fenomeno degli incidenti stradali ha recentemente occupato le prime pagine dei giornali a seguito dell’uccisione di ragazze sulla via Cassia a Roma. Eppure, dietro l’occasionale clamore, continuano a essere nascoste dimensioni e cause di una vera e propria emergenza. Il 23 febbraio, manifestazione nazionale a Roma per la sicurezza stradale
Sovrastato dal rumore di motori rombanti, clacson e improperi di automobilisti e passeggeri del trasporto pubblico bloccati nel traffico, si ode flebile il lamento di chi piange una persona cara, caduta vittima della violenza stradale.
I numeri sono da bollettino di guerra. Nel 2018, ultimo anno per il quale sono disponibili i dati ISTAT, 3334 persone sono morte sulle strade italiane, delle quali 612 andavano a piedi e 219 in bicicletta. Ai morti si aggiungono oltre 240mila feriti, molti menomati per sempre, e un costo per la società di 19.3 miliardi di euro: l’1.1% del prodotto interno lordo nazionale (ISTAT 2017).
Tipicamente le collisioni stradali sono relegate a trafiletti nella cronaca locale, quando non saltano anche questo passaggio e finiscono direttamente ad animare i pomeriggi nei bar: pochi sono i casi che giungono all’attenzione dei media e vi rimangono per qualche giorno. Quando poi a rimetterci sono gli utenti vulnerabili della strada (chi si muove a piedi o in bicicletta), il giornalismo fa a gara per scusare il responsabile e colpevolizzare la vittima.
In questo senso è emblematica l’uccisione di due ragazze in una tarda notte romana dello scorso dicembre. Una vicenda che ha monopolizzato per giorni le prime pagine dei giornali, non tanto per la tragicità della perdita di due giovani vite, ma perché ricalcava il prototipo di storia su cui ricamare pettegolezzi e speculazioni, come magistralmente raccontato su Valigiablu da Fabio Chiusi. E allora via a setacciare la vita di vittime e investitore, a rubare foto dai loro profili personali; giù fiumi d’inchiostro per raccontare il loro carattere e descrivere particolari delle loro brevi esistenze che nulla possono addurre alla ricostruzione della dinamica mortale di quella notte. Ma utilissimi a saziare la bestia. Un esercito di periti benpensanti intanto si è affrettato a precisare che la strada era bagnata, che le due ragazze non attraversavano sulle strisce (ma forse sì), che il semaforo dell’attraversamento era rosso (ma forse no), che il guidatore «non le poteva evitare» e a predicare al resto d’Italia che non è opportuno che due ragazzine vadano in giro da sole di notte.
Quando si riportano notizie di violenza stradale le parole sono importanti, come titola una lettera aperta ai direttori dei giornali firmata da Salvaiciclisti e altre associazioni e movimenti che promuovono la sicurezza stradale. Non a caso, nella lettura di questo articolo non troverete mai la parola “incidente”: quando un evento si ripete oltre 170mila volte in un anno, è un fenomeno sistematico, non incidentale. Chiamateli urti, collisioni, investimenti, uccisioni, omicidi. «Moglie sgozzata da coltello» è un titolo inverosimile? Eppure la neolingua spesso utilizzata dalla stampa riporta di pedoni e ciclisti uccisi dalle “auto“ (specie “impazzite“), da strade e curve killer, salvo poi parlare di “strage di multe” per l’installazione di un autovelox. Questa retorica infima, peraltro fenomeno internazionale, non fa altro che spersonalizzare le responsabilità.
Il contatore di vittime della strada della ciclofficina popolare Ciclostile di Trento
E quando cala il sipario e i giornali voltano pagina, non vuol dire che la violenza stradale si sia fermata. Per cercare di tenere alta l’attenzione Ciclostile, la ciclofficina popolare del Centro Sociale Bruno di Trento, in collaborazione con Paolo Bellino di Salvaiciclisti Roma, ha realizzato un contatore di morti e feriti della strada. Dal 22 dicembre, il conteggio è già arrivato a 152 morti, tra i quali 56 persone che andavano a piedi o in bicicletta, uccise da automobilisti.
Rimuovi, modera, proteggi: le istituzioni mancano il bersaglio
Agli occhi degli attivisti impegnati nella sicurezza stradale e nel cicloattivismo, il discorso pubblico su questa ecatombe non sta andando da nessuna parte, perché nessuno vuole iniziare ad affrontare la vera radice di questo male: l’automobile. Un sistema di trasporto talmente inefficiente da produrre esternalità negative quantificabili su scala europea in centinaia di miliardi di euro. È questo l’idolo per il quale impermeabilizziamo il nostro suolo e avveleniamo la nostra aria; è questo l’idolo al quale, solo in Italia, immoliamo quotidianamente nove vite umane: una strage quotidiana.
In Italia circolano 644 automobili ogni 1000 abitanti (rapporto ISFORT 2019): il tasso di motorizzazione più alto in Europa dopo il Lussemburgo (dove però molte auto sono registrate solo per scopi fiscali), pari a circa il 21.6% in più sulla media dell’Unione Europea; un “parco auto” di oltre 39 milioni di veicoli. E proprio di parco bisogna parlare: stimando molto conservativamente che siano tutte utilitarie e che ciascuna automobile abbia a propria disposizione quattro posteggi, si ottiene una superficie circa uguale a quella del Parco Nazionale del Gran Sasso, spazi di manovra esclusi.
Il parco auto italiano occupa grosso modo la stessa superficie del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (OpenStreetMap)
Le risposte politiche e istituzionali oscillano tra il dannoso e l’utile ma timido. Il “Messaggero” riportava meno di una settimana dopo l’incidente delle due ragazze citato sopra l’intenzione del «XV Municipio e dei vigili urbani del XV Gruppo di installare “barriere anti-attraversamento”». C’è un’autostrada a sei corsie che squarcia la città e dei pedoni che esprimono la naturale necessità di varcare questo canyon urbano. E invece di assecondare queste “linee del desiderio”, il modo in assoluto più democratico di approcciare la pianificazione urbanistica, l’amministrazione decide di erigere un ulteriore ostacolo.
A livello centrale, la ministra dell’interno Lamorgese ha annunciato l’avvio di «un monitoraggio periodico sulle cause e sulle dinamiche più ricorrenti dei sinistri [sic] anche al fine di orientare in maniera specifica iniziative da svolgere sui territori». È difficile intravvedere provvedimenti concreti nascosti dietro cotanta verbosità. Le statistiche ci sono già, e sono sufficientemente dettagliate da individuare le principali cause di morte sulle nostre strade. Circa il 40% delle collisioni con lesioni a persone nel 2018 sono state causate da distrazione, mancate precedenze e velocità elevata. A seconda dei vari corpi di polizia, le percentuali di collisioni correlate all’uso di alcol oscillano tra 3.9 e 8.7%, mentre per le droghe l’intervallo è tra 1.0 e 3.9%. Sebbene meritevolissima, la stretta sull’uso di alcol e droghe al volante manca ancora volta il bersaglio. Nel mentre l’Italia è l’unico paese europeo nel quale gli autovelox devono essere segnalati per legge e le limitazioni al loro utilizzo sono così stringenti che sono virtualmente impossibili da installare lì dove ce ne sarebbe più bisogno: nei centri abitati. Ed è anche l’unico paese in cui moltissime contravvenzioni debbono essere contestate immediatamente, rendendo di fatto la maggior parte dei comportamenti pericolosi non sanzionabili.
Safety in numbers: quando il numero di persone che usano la bicicletta diventa considerevole, le strade diventano più sicure. A sinistra, una protesta in bicicletta contro la “autoterreur”, Amsterdam, 1982 (Rob Bogaerts / Anefo). A destra, un giorno qualsiasi a Copenhagen, circa 2017 (City of Copenhagen / Cycling Embassy of Denmark)
Non va meglio a livello parlamentare. Mentre si continua a discutere di alzare i limiti di velocità nelle autostrade, i parlamentari di tutti gli schieramenti tentano ciclicamente di introdurre l’obbligo del casco in bicicletta, talvolta con modalità molto simili a quelle suggerite da Confindustria ANCMA (Associazione nazionale ciclo motociclo accessori), che rappresenta i produttori di caschi. Una non soluzione che la Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta (FIAB) osteggia con forza, portando a sostegno la cosiddetta safety in numbers: più persone usano la bicicletta e più si proteggono a vicenda, rendendosi visibili e abbassando la velocità media del traffico motorizzato, principale fattore di rischio. Le linee guida per la mitigazione dei rischi in questo sono pienamente d’accordo: per prima cosa bisognerebbe cercare di rimuovere i fattori di rischio (eliminare le auto); poi moderarlo (ridurre la velocità e sanzionare comportamenti scorretti) e solo in ultima istanza fornire ai soggetti esposti dispositivi di protezione individuale (caschi e giubbetti rifrangenti).
È emergenza stradale: manifestazione nazionale il 23 febbraio
È ora di cambiare passo e recuperare il tempo perso nei confronti dei Paesi più virtuosi, che hanno già seguito questa procedura e godono oggi di strade più sicure e più vivibili: è recente la notizia che la città di Oslo (690mila abitanti) ha azzerato quest’anno le morti di pedoni e ciclisti. Diverse associazioni impegnate nella sicurezza stradale e nel cicloattivismo, capitanate da Alfredo Giordani della Rete Vivinstrada e da Alessandro Malagesi di SAR FCI Lazio, chiedono l’intervento urgente del governo e delle istituzioni locali e si sono date appuntamento a Roma domenica 23 febbraio 2020 per una manifestazione nazionale dal titolo “Rispettiamoci in strada”.
Le richieste degli attivisti sono chiare, incentrate su due punti cardine: da una parte più controlli sui comportamenti pericolosi alla guida, dall’altra avviare serie misure di riduzione del parco veicolare nazionale e opere infrastrutturali per favorire la mobilità sostenibile e il trasporto pubblico, con particolare attenzione alla sicurezza degli utenti più vulnerabili della strada: chi va a piedi o in bicicletta.
Il cambiamento collettivo verso città in cui non si muoia attraversando la strada ha bisogno di una regìa che coordini interventi culturali, strutturali e infrastrutturali, ma può essere catalizzato dalle scelte individuali di ciascuno di noi. La prossima volta che ci troveremo bloccati nel traffico, prendiamoci un minuto per riflettere, e consideriamo l’opportunità per quel tragitto di sostituire l’automobile andando a piedi, in bicicletta o sui mezzi pubblici.
Perché non siamo mai bloccati nel traffico. Siamo noi il traffico.
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