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MONDO

Caos India. I fattori globali

Enormi spostamenti di persone e alleanze politiche interne al campo sovranista segnano il contorno dell’instabilità prodotta nel grande paese asiatico dall’approvazione della Legge sulla cittadinanza in funzione anti-islamica

Crisi climatica, estrattivismo e migrazioni

In India la questione climatica si intreccia molto con le migrazioni, interne ed esterne. Circa 139 milioni di migranti interni si sono spostati nel 2017 dagli Stati periferici ai centri di produzione più avanzati come New Delhi, Gujarat e Kerala.

Nelle regioni del Nord-Est al confine con il Bangladesh si vive una crisi continua dei confini. Molti profughi bengalesi attraversano i confini in cerca di lavoro o migliori condizioni di vita. Ci sono due categorie di migranti provenienti dal Bangladesh: chi cerca rifugio dalla crisi climatica e i profughi Rohingya. Il Bangladesh paga a caro prezzo l’attuale situazione ambientale. I fiumi in perenne secca, le terre aride e l’innalzamento del livello del mare hanno reso impossibile la vita delle popolazioni povere nel paese.

Nel solo 2017 sono arrivati in Bangladesh più di 730mila profughi Rohingya, fuggiti dalla regione birmana del Rakhine in Birmania per la violenta repressione del Governo sulle popolazioni locali, per lo più musulmane. Nel paese questi incontrano un’accoglienza ostile da parte dei bengalesi, che hanno prontamente risposto con la reclusione dei migranti in campi profughi al confine con la Birmania.

Sia i migranti climatici che i profughi Rohingya hanno come obiettivo la ricerca di migliori condizioni di vita oltre il confine a Sud con l’India. Il confine come pratica d’esclusione mostra la violenza degli strumenti legali e insieme la difesa nazionalista attraverso l’uso di campi da lavoro o detenzione in cui invisibilizzare le vite dei migranti. Arrivati al confine con l’India questi vengono riconosciuti e deportati su isole di detenzione situate nello Stato di Assam, di cui si è parlato precedentemente.

Vivono una situazione di analoga repressione gli Stati del Jammu e del Kashmir. Il 4 agosto 2019 il Governo ha tagliato le reti internet e di telecomunicazione. Il giorno successivo c’è stata l’invasione militare delle truppe indiane. Lo Stato ha perso la sua bandiera e la sua costituzione, l’autonomia garantita dall’articolo 35 della Costituzione Indiana è resa vuota dagli spari dei soldati indiani e dalle manette ai polsi di 4000 fra politici, dirigenti statali, attivisti e studenti della zona.

Dopo mesi di conflitto le autorità indiane, con il ristabilimento dei collegamenti telematici e la sospensione del coprifuoco, hanno dichiarato guerra alla popolazione. La normalità in uno Stato meticcio sotto la bandiera della nazione India sta nelle scuole e nelle strade vuote, nei negozi chiusi e nel terrore di vivere in città. Ora i militanti si sono radicalizzati. Le televisioni locali equiparano le atrocità delle forze di sicurezza indiane alle azioni d’autodifesa dei militanti per la libertà del Kashmir.

Il Kashmir costituisce un caso paradigmatico di conquista coloniale, in cui il primato nazionalista viene riprodotto sull’esercizio del potere su donne e terra. Non a caso fra le espressioni più cercate su Google in seguito all’invasione del Kashmir ci sono “come sposare una donna in Kashmir” e “come comprare terreni in Kashmir”. A partire dall’invasione di agosto circa 125 aree sottoposte a protezione ambientale sono state destinate ad altri usi. Sui mezzi d’informazioni vige una stretta censura volta a negare le violenze sulla popolazione civile e a confermare un negazionismo climatico.

Il processo di privatizzazione delle terre ha distrutto un sistema sociale costruito in 30 anni di difficile autogoverno. Deforestazione e privatizzazione delle risorse idriche stanno danneggiando il fragile sistema ecologico dell’Himalaya, messo inoltre  a repentaglio dai progetti estrattivisti delle aziende indiane e dal turismo di massa.

A questo seguono le violenze dei militari con la distruzione delle scorte di cibo e i molteplici stupri. La costruzione di immense dighe mette a rischio l’uso comune dell’acqua come risorsa primaria e non privata. I progetti delle dighe hanno riacceso i dissidi fra Pakistan e India sulla pretesa di potere su territori e risorse del Kashmir.

Con l’approvazione del Citizenship Amendement Act centinaia di migliaia di migranti musulmani si trovano in condizioni di apolidi. Chi è senza documenti ha una vita segnata nei campi di detenzione, chi ha documenti ma tradizioni e discendenza non hindu vede il proprio diritto d’esistere in pericolo. La violenza del nazionalismo si ritrova nella quieta concordanza dei Ministri degli Esteri di Pakistan e Bangladesh. Quest’ultimo, Abdul Momen, ha garantito la collaborazione fra gli Stati per il rimpatrio degli immigrati illegali o senza documenti. Allo stesso tempo il segretario dell RSS, Bhaiyyaji Joshi, ha commentato con entusiasmo Il Citizenship Amendement Act definendolo un «coraggioso primo passo verso il ritorno delle popolazioni hindu in India».

 

L’internazionale sovranista passa dall’India

Il nazionalismo hindu di Modi e del BJP si inserisce in un contesto di alleanze internazionali sotto il cappello dell’“internazionale nazionalista”.

A settembre il Primo Ministro Modi nel suo viaggio in America ha incontrato Donald Trump a Houston per un evento chiamato “Howdi, Modi” a cui hanno assistito con entusiasmo circa 60mila indiani residenti in America. L’iniziativa ha avuto una risonanza straordinaria nei media e nelle comunità hindu sparse nel mondo, mentre le migliaia di manifestanti all’esterno dello stadio sono state completamente ignorate.

L’asse India–Usa è ancor più saldo con la presenza di Modi e Trump, stretti nella volontà di evitare l’espansione economica della Cina. I patti di libero commercio stipulati fra Modi e Obama trovano nuovo vigore con l’approvazione virtuale delle politiche di nazionalizzazione violenta del Kashmir e la linea ferma sul contenimento delle migrazioni. Le affinità fra i due sono molte ed è lo stesso Steve Bannon in un’intervista al The Times of India a parlare del loro essere simili. «Infatti, Modi… è il preludio di Trump. Come nazionalista, Modi era Trump prima di Trump. Lui ha messo prima l’India e gli interessi dell’India e per questo lo ammiro».

L’elemento del nazionalismo hindu è stato al centro del dibattito politico inglese, Stato in cui la comunità hindu ha un forte radicamento e peso elettorale. Con l’emergere della questione del Kashmir, Boris Johnson e Jeremy Corbyn hanno espresso le proprie posizioni politica a riguardo. Corbyn con la richiesta fatta a settembre di invio di osservatori internazionali ha guadagnato il disprezzo della comunità hindu stretta attorno all’idea nazionalista di società del BJP. La reazione è degli hindu è stata molto netta: alle prossime elezioni, non votate Labour, è un partito pro-Islam.

A questa posizione ha risposto Boris Johnson confermando la fratellanza fra i due Governi con un comizio allo Shri Swaminarayan Mandir – tempio di fondamentale valore per la comunità hindu britannica – nella zona a Nord-Ovest di Londra. Egli è arrivato a definire Modi come Narendrabhai – fratello Narendra – e riconoscere sostegno alle politiche di Modi, «che so sta costruendo una nuova India».

Non poteva mancare alla lista degli invitati speciali Jair Bolsonaro invitato da Modi a presiedere insieme a lui la 70° festa della Repubblica indiana il 26 gennaio a Nuova Delhi. Il primo incontro fra i due è avvenuto nel novembre di quest’anno a Brasilia in occasione dell’11° summit dei BRICS, qui questi hanno iniziato a tessere i propri rapporti sulle linee di politica internazionale e di commercio. Modi ha dichiarato che «India e Brasile condividono vicinanza e concordano sull’ampliamento degli accordi bilaterali, incluse le sfere di difesa, sicurezza, scambi commerciali, agricoltura, energia e spazio».

In ultimo l’alleanza fra Modi e Netanyahu ha aperto un nuovo ciclo nella politica estera indiana. A partire dai primi governi – e in particolar modo con Nehru – l’India è stata storicamente filo-palestinese. Col passare degli anni e il mutamento della direzione politica dei governi, c’è stato un riavvicinamento a Israele con eventi come il ristabilimento delle relazioni internazionali nel 1992.

Modi ha effettuato la prima visita ufficiale della storia di un Primo Ministro indiano in Israele nel luglio 2017. Durante questa campeggiavano nelle strade enormi banner pubblicitari in cui Netanyahu e Modi si scambiano una stretta di mano, in alto campeggia la scritta “Netanyahu. Un’alleanza diversa”. A questa coreografia cittadina seguono le parole di stima di Netanyahu: «Primo Ministro Modi, noi ti abbiamo aspettato per molto tempo, almeno 70 anni… Noi ti vediamo come uno spirito affine».

Da quest’evento in poi i rapporti fra i due politici – e di conseguenza fra i due Stati – saranno molto più stretti, arrivando fino alla prima visita di un Presidente israeliano in India.

L’alleanza fra i due Stati si fonda su un forte sentimento nazionalista e di razzismo nei confronti dei musulmani. Inoltre, l’accordo ha una valenza strategica per entrambi, poiché Israele è il secondo fornitore d’armi dello Stato indiano dopo la Russia.

La prima parte dell’approfondimento: Caos India. Come si arriva alla legge che esclude gli islamici dalla cittadinanza

 

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