EUROPA
La Polonia dopo le elezioni. Una conversazione con Igor Stokfiszewski
Il 13 ottobre le elezioni parlamentari in Polonia hanno confermato il governo a maggioranza Prawo i Sprawiedliwość (“legge e giustizia”), il partito fondato dai fratelli Kaczyński, con però dei significativi cambiamenti rispetto alla precedente tornata del 2015. L’alleanza liberale di Platforma Obywatelska (“piattaforma civica”) ha ottenuto infatti molti più voti e la coalizione delle forze di sinistra (formata dai socialdemocratici dell’Sld, Wyosna e Razem nonché dal Partito Comunista) è riuscita a entrare in Parlamento. Si tratta di una nuova fase nell’evoluzione politica del paese, che arriva in seguito all’emergere del movimento femminista con le “proteste nere” del 2016 e mentre il blocco nazional-fascista che gravita attorno all’alleanza Konfederacja continua a sfilare per le strade della capitale durante il Giorno dell’Indipendenza (11 novembre) con numeri preoccupanti. Abbiamo provato ad analizzare la situazione con Igor Stokfiszewski, ricercatore, educatore e giornalista della rivista Krytyka Polityczna.
Il partito conservatore di Kaczyński è da quattro anni alla guida del paese. Come si è verificato?
Nel 2015 sono cambiate molte dinamiche interne al nostro paese. Abbiamo assistito alla vittoria del Pis alle elezioni, che – dal mio punto di vista – non è una forza di estrema destra o fascista ma è comunque molto più a destra di un comune partito conservatore. Diciamo che sono un po’ più a destra dei conservatori, un po’ meno a destra dei fascisti.
Il punto è il progetto politico di cui sono portatori: ciò che hanno provato a instaurare una volta ottenuto il potere è un tipo di stato insieme autoritario e ultra-capitalista, che si propone di influenzare i processi sociali attraverso l’apparato giuridico e amministrativo, mentre prova a controllare quelli economici attraverso la nazionalizzazione di parte delle attività produttive oppure usando strumenti legislativi e amministrativi per regolare il mercato, in un maniera che vada a vantaggio della loro particolare visione del mondo. E, in un tale visione, la Polonia dovrebbe rendersi “autonoma” rispetto ai flussi stranieri, che siano flussi di capitali o di “politiche” (le famigerate, dal loro punto di vista, identity politics dell’Unione Europea), per diventare una nazione forte con una società che si basa su valori di stampo ultra-religioso.
Le leggi, l’economia e gli apparati amministrativi sono stati dunque utilizzati per servire un tale disegno. Qualsiasi minima intenzione di dialogo sociale o di mantenimento di una pacifica coesistenza di tensioni diverse all’interno della società è stata abbandonata per cambiare il sistema in senso autoritario, posizionando i propri uomini nei “luoghi chiave” del potere. Si tratta di un esperimento politico portato avanti con una certa violenza e con una certa brutalità ma che – proprio per questo – ha anche provocato una reazione da parte di movimenti sociali e politici avversi.
Che tipo di reazione?
È successo con grande rapidità: già dopo il primo mese di governo, abbiamo assistito a manifestazioni di massa per esprimere dissenso nei confronti del PiS. In quel caso, si trattava di persone delle vecchie generazioni che scendevano in piazza, senza delle concrete rivendicazioni politiche ma, allo stesso tempo, con un forte spirito di resistenza e con numeri anche consistenti. Tuttavia, questo tipo di proteste si è affievolito dopo qualche mese ed ecco che nel 2016 i movimenti sociali dal basso si sono finalmente distinti per un attivismo più efficace e partecipato, che è culminato nella “Protesta Nera” (Czarny Protest) del 3 ottobre.
Quella giornata fu veramente sorprendente: non c’era un’organizzazione strutturata ma anzi si trattava di una protesta per lo più spontanea che è riuscita a riunire più di 100.000 persone nella piazza principale del centro storico di Varsavia. Ma si è anche trattato di una forma peculiare di protesta, con iniziative in varie città e soprattutto con la mobilitazione delle donne in centri piccoli, cosa mai vista nel nostro paese. Inoltre, è pure riuscita a ottenere quello che chiedeva nello specifico: il governo ha infatti ritirato la proposta di legge per restringere il diritto all’aborto. In quel momento ci si è dunque anche resi conto che ci fosse un margine di manovra per lanciare realtà e forze politiche rappresentative progressiste che potessero avere numeri significativi a livello locale, nazionale ed europeo. Fino ad allora, solo Razem era attivo sia nelle mobilitazioni di protesta che sul piano rappresentativo. Ecco che, dopo il 2016, ci sono stati dunque tentativi di creare nuove entità.
Successivamente, si è verificata anche una sorta di ondata di manifestazioni da parte di lavoratori di istituzioni pubbliche, come dottori e insegnanti. Anche in questo caso, si è trattato di proteste molto efficaci e visibili e appariva chiaro come potesse darsi una convergenza fra diverse forze progressiste: i movimenti sociali, i professionisti del settore pubblico e partiti politici di sinistra.
Ma alle elezioni locali del 2018 la sinistra non ha ottenuto un gran risultato…
Esatto, il processo di convergenza delle forze progressiste si è in qualche modo arrestato. Si attendeva un grande cambiamento per le elezioni locali del 2018, con una crescita generale della sinistra, ma non si verificò nulla di tutto ciò: i risultati hanno di fatto rispecchiato l’andamento del voto nazionale, favorendo dunque quasi esclusivamente PiS o la coalizione liberale.
In questo senso, la tornata del 2018 ha avuto due importanti conseguenze: innanzitutto, le maggiori città sono finite in mano della forza liberale di Platforma Obywatelska, che si oppone al governo centrale, andando a creare un contrasto fra il potere nazionale a guida Pis e il potere locale. Il che, tra l’altro, sta in qualche modo spingendo Platforma Obywatelska più “a sinistra”: ci si è infatti resi conto che una collaborazione a livello municipale con il Pis è impossibile e, pertanto, i liberali hanno dunque trattato con gli attivisti e i movimenti sociali urbani e con le forze progressiste. Poi, dal punto di vista di questi ultimi, è emersa la consapevolezza che, per ottenere dei risultati elettorali significativi, occorre incorporare anche i partiti post-comunisti nel blocco di sinistra. Si tratta di un problema annoso, che ha segnato la scena politica del paese fin dagli anni ‘90.
L’altro fenomeno che si è verificato dopo le elezioni locali del 2018 è stato il tentativo di creare un nuovo partito di sinistra: Wiosna (“primavera”) dell’ex-sindaco di Łupska Robert Biedroń, che ha corso nelle elezioni europee. Un disastro assoluto: il partito ha preso il 6%, risultato davvero misero a fronte dei soldi e delle energie investiti per la campagna elettorale. Un’ulteriore prova che un solo partito di sinistra semplicemente non può – nella congiuntura attuale – ottenere un significativo consenso.
Come ci si è organizzati quindi?
Come dicevo, si è ingenerato un processo di avvicinamento e alleanza delle tre forze di sinistra: Wiosna, Razem e i partiti post-comunisti. Grazie a ciò, nelle ultime elezioni nazionali di ottobre la sinistra ha superato il 10% e ottenuto dei seggi in Parlamento.
Ecco che, dunque, alla fine del 2019 ci troviamo nella seguente situazione: il processo di costruzione di uno stato nazional-capitalistico da parte del PiS è stato fortemente rallentato, le città sono in mano alle forze liberali, le quali però sono spesso costrette a scendere a patti con le forze progressiste, mentre la sinistra in Parlamento (che è una combinazione di nuove entità politiche e partiti post-comunisti) ha i numeri per influenzare le dinamiche decisionali. Penso che si apra dunque una nuova fase, in cui per i movimenti sociali è cruciale capire come sfruttare l’inedita presenza della sinistra negli equilibri rappresentativi, oltre che trovare il modo di auto-rigenerarsi dal momento che molte energie sono state spese nelle proteste degli ultimi anni e che per queste realtà i risultati elettorali hanno costituito una grossa delusione (molte rappresentanti dei movimenti femministi si sono candidate, per esempio, senza però essere elette).
In questo senso, l’alleanza fra nuovi soggetti di sinistra e partiti post-comunisti è anche il sintomo di una nuova attitudine verso il passato?
Credo sia qualcosa in più di una semplice mossa strategica, anzi è il riflesso di cambiamenti culturali e storici più grandi. Una delle ragioni per cui, né Razem nè Wiosna né il 99% delle forze progressive non hanno mai voluto sentire parlare di collaborare con i partiti post-comunisti è data dal fatto che i nuovi soggetti di sinistra sono completamente radicati nell’ideologia sociale della Polonia contemporanea, che si basa sull’anti-comunismo. Tuttavia, da circa 5-6 anni alcune piccole fazioni dei movimenti sociali stanno provando a portare avanti un ripensamento della relazione fra valori progressisti ed eredità del comunismo.
Penso che, appunto, l’eredità del comunismo nel nostro paese sia una questione molto importante. In Polonia l’utopia e il pensiero progressisti hanno una loro continuità, che passa dalla rivoluzione del 1905, dalle lotte dei lavoratori e anche dal periodo comunista nonostante il suo autoritarismo. In molti monumenti del nostro paese, nei libri che raccontano la storia delle brigate internazionali, troviamo ancora i segni visibili di una tale eredità. A causa dell’ideologia anti-comunista, stiamo lasciando che le forze di destra cancellino questi segni e con essi la memoria delle varie forme di lotta per il comunismo.
L’ideologia anti-comunista si è sviluppata con una forza tale che noi, cittadini polacchi, siamo spinti a negare le nostre stesse biografie: in pochi sono disposti ad ammettere che i propri genitori fossero iscritti al Partito Comunista e, oltre a questo, credessero sinceramente nel sogno comunista. Invece, si trattava della realtà per la maggioranza della popolazione! Io penso dunque che occorra assolutamente ripensare e reinventare la nostra attitudine verso il passato comunista e trovare un nuovo modo di relazionarvisi, che non sia appunto la mera negazione. Forse, l’avvicinamento fra le nuove realtà progressiste e i partiti post-comunisti apre anche una prospettiva di questo tipo.
Intanto però il PiS sta cercando di “riscrivere” o reinterpretare la storia del paese…
Il PiS sta cercando di enfatizzare gli elementi maggiormente eroici della storia nazionale. Il che significa appunto rigettare i momenti più critici e controversi, così come quelli più “bui” quali le corresponsabilità polacche nell’Olocausto. L’immagine che vogliono dare della Polonia è quella di una nazione da sempre cristiano-cattolica con un passato eroico, sempre minacciata dalle potenze vicine e sempre capace però di difendersi da queste minacce.
Non stanno riscrivendo la storia nel senso che diffondono vere e proprie falsità, ma piuttosto utilizzano enti e strumenti istituzionali per esaltare alcuni momenti ed elementi del nostro passato. Perciò per il PiS è molto importante influenzare la cultura: cercano di porre sotto il loro controllo il maggior numero di musei, provano a cambiare i programmi di educazione… Questi tentativi istituzionali di dirigere l’approccio verso la storia polacca sono stati resi possibili solo perché, precedentemente, c’è stato un forte sviluppo di un movimento culturale di destra dal basso. Sto parlando delle forze che gravitano attorno a Konfederacja, il partito che si trova a destra del PiS. La spinta dal basso di queste forze in qualche modo ha legittimato i tentativi di reinterpretazione della storia dall’alto. Non dimentichiamo che l’anno scorso, per i cent’anni della fondazione dello stato polacco, rappresentanti del governo hanno marciato insieme ai fascisti durante le manifestazioni dell’11 novembre. C’era dunque il governo, i militari, nazionalisti polacchi ma anche di altri paesi: una netta e pericolosa confluenza fra il governo conservatore e l’estrema destra.
È una confluenza che si verifica anche in termini di elettorato?
In maniera un po’ superficiale, è possibile affermare che il PiS attrae la fascia più anziana dell’elettorale, mentre le nuove generazioni tendono a votare per Konfederacja cioè per un modello di destra più apertamente estrema.
Tuttavia, ci sono un paio di elementi interessanti da rilevare rispetto agli elettori del PiS. Contrariamente alla narrazione per cui il partito di Kaczyński raccoglierebbe i consensi delle masse povere ed escluse dal potere, i maggiori sostenitori del partito sono gli appartenenti alla classe media. E questo si spiega col fatto che la classe media in Polonia, dopo il collasso del comunismo e dopo 40 anni di libero mercato, ha acquisito una posizione di benessere e ha una grande paura di perderlo. Quello che loro osservano nel mondo esterno è crisi economica e migrazioni, quindi cercano di arginare questi problemi. Si tratta veramente di una mutazione del tutto interna alla classe media.
L’altro elemento è dato dal fatto che gli elettori del Pis sembrano comunque non volere che il loro partito ottenga una maggioranza assoluta. Prima delle elezioni, abbiamo condotto una ricerca d’opinione che ha mostrato come si tratti appunto di un elettorato animato da uno strano “fattore liberale”: sostengono il Pis, ma desiderano comunque che il sistema rimanga il più pluralistico possibile. Votano dunque in maniera assolutamente cinica e strumentale, segno che – tutto sommato – l’ideologia nazionalista, autoritaria e cattolica del partito di Kaczyński non sta ancora influenzando in maniera profonda la popolazione.