ROMA
Chico Trujillo, musica dal Cile che si è svegliato
Intervista al percussionista dei Chico Trujillo, Juan Gronemeyer, per comprendere assieme a lui la rivolta popolare che sta attraversando il paese sudamericano
Il 31 ottobre c’è stato uno straordinario concerto di musica latinoamericana presso il LOA Acrobax. Si sono esibiti in concerto i Chico Trujillo, band cilena che produce e raccoglie musiche e ritmi di tante parti del continente. Ovviamente in un momento di tale effervescenza politica in Cile non potevano mancare riferimenti all’attualità e il sostegno esplicito alla resistenza in corso contro il governo di Piñera. I momenti di richiamo alla politica sono stati molti durante tutto il concerto, al quale era presente, festosa e visibile una parte importante della comunità cilena a Roma. A margine dell’evento, abbiamo intervistato un musicista della banda, il percussionista Juan Gronemeyer che suona nei Chico Trujillo fin dall’inizio. Abbiamo cercato di comprendere anche con il suo racconto, quanto sta accadendo in Cile in questi giorni
Cosa vi ha portato in Europa?
Stiamo facendo un grande tour attraverso vari paesi europei, questa è la terza serata. Con questo tour celebriamo i 20 anni della banda e il nuovo e ultimo disco Mambo Mundial.
Ci puoi aiutare a comprendere, dalla tua prospettiva, la radice del conflitto che si sta vivendo in Cile?
Il problema è interamente radicato nel fatto che la nostra costituzione è stata creata dal dittatore, Augusto Pinochet, pertanto è calcolata perché possa avvantaggiare certi gruppi politici e imprenditoriali in Cile, l’élite economica, mentre i poveri rimangano in povertà e schiacciati dai debiti. Questa costituzione è la base dei problemi che viviamo oggi. Il movimento attuale è iniziato con una ribellione per l’innalzamento del costo del metro ma, come è stato ben raffigurato in internet e in varie vignette, quella è solo la punta dell’iceberg.
Ci sono problemi senza fine, l’educazione non è di buona qualità ed è cara, il sistema di sanità pubblico è costosissimo, così pure il sistema previdenziale che è un furto alla popolazione e non funziona per nulla e, appunto il trasporto pubblico, sempre più costoso.
In tutto questo scenario, oltre a un sistema di servizi pubblici completamente inefficiente,c’è pure un furto consistente da parte di chi lavora nel pubblico e una corruzione diffusa. I militari sono i primi a rubare una quantità di soldi impressionante.
Per questo si dice che il «Cile si è svegliato». Dopo il governo militare ci sono stati 4 o 5 governi di sinistra e nessuno ha messo anche solo minimamente in discussione quello che era stato definito dalla costituzione di Pinochet. Il problema è proprio il cambio di quella costituzione, fino a che non raggiungiamo quello, non cambierà nulla e continueranno disuguaglianze sociali e grave mancanza di servizi e di diritti.
Hai notizie dirette rispetto agli ultimi sviluppi? Ha colpito molto la diffusione di racconti in merito a gravi violazioni di diritti umani verso le persone presenti ai cortei.
Per fortuna, rispetto ai tempi della dittatura, ora abbiamo un grande strumento, che sono i cellulari e le varie forme per riprendere quello che accade, che possono essere prova delle gravi violazioni ai diritti umani che stanno avvenendo. Ci sono persone torturate, colpite da armi da fuoco, stuprate, la situazione è terribile.
Vedo comunque una luce di speranza. È molto stare difficile stare qui in contesti di festa, sembra quasi contraddittorio. Ci sono però molti cileni qui con noi che hanno diritto a stare bene e passare un momento in allegria, siamo qui e suoniamo anche per loro. Sembra, anche grazie alle tante denunce che ci sono state, che la violazione ai diritti umani si stia fermando un po’, mentre le manifestazioni continuano, immense, ogni giorno.
Questa frase che si è diffusa ovunque come slogan del movimento “Chile despertó” (Il Cile si è svegliato, ndr) è molto rappresentativa del sentire globale delle persone. Stavamo quasi addormentati, con debiti fino ai capelli e bassa qualità della vita, per questo è stato uno svegliarsi per tutti, e speriamo di arrivare da qualche parte.
Cosa dovrebbe accadere per ottenere un cambiamento reale in Cile?
Dovrebbe completamente sciogliersi questo governo e ripartire da una nuova costituzione. Non sarà un cambiamento rapido, ma è necessario ed è l’unico cambiamento possibile. Le disuguaglianze sociali sono troppo forti e troppo garantite dal sistema costituzionale.
In tutti i cortei sventola la bandiera Mapuche, qual’è il ruolo della componente indigena in questo contesto di ribellione diffusa?
Il popolo mapuche è stato calpestato dallo stato cileno a lungo. Sono un esempio di resistenza per tutti. Gli hanno tolto la terra, i diritti, hanno abusato di loro in modo indiscriminato. Si sono uniti pertanto al grido diffuso dei cileni, anche se loro in realtà non si sentono cileni ma, appunto mapuche. Sono la minoranza etnica più forte e ampia che abbiamo. In Cile gli altri indigeni sono stati sterminati. Loro invece sono rimasti sempre in prima linea e sono in prima linea anche in questa battaglia contro il governo Piñera.
Come ci si sente a suonare fuori dal proprio paese che vive questo stato di ribellione diffusa? A causa della dittatura c’è una lunga storia di artisti cileni che hanno dovuto lasciare il paese.
Prima di essere artisti siamo essere umani, siamo padri di famiglia, abbiamo aspirazioni, necessità, sentimenti. La trincea è davanti a noi e non ci resta altro che metterci dentro e lottare.
Abbiamo chiacchierato a lungo, in Germania, con Horacio Salinas, direttore musicale degli IntiIllimani negli anni ‘70. Ci diceva che la differenza è che ora tutti gli artisti cileni stanno appoggiando questa causa. Moltissimi stanno facendo disegni, producendo teatro e altre forme di resistenza. Non c’è nessuno che si tiri indietro, o se lo fanno sono artisti di poco conto. Anche con questo concerto mi voglio avvicinare con il cuore e salutare tutti i cileni che sono in strada ora.