ROMA
«La Chiesa deve schierarsi a difesa dell’Amazzonia». Voci dal Sinodo
All’evento organizzato dal vaticano a cui hanno preso parte numerose delegazioni indigene e di movimenti sociali brasiliani. Anche per questo è stato osteggiato da Bolsonaro e dalle parti più conservatrici dell’istituzione religiosa
Il Sinodo sull’Amazzonia convocato da papa Francesco – iniziato il 6 ottobre e che si concluderà questa domenica – presenta alcuni elementi se non storici, perlomeno dirompenti. Con particolare attenzione e forse con non così comune apertura, infatti, il congresso episcopale sta provando a mettere al centro della discussione non solo la “questione ambientale” legata allo sfruttamento dei territori del Brasile e degli altri paesi latinoamericani ma anche, e soprattutto, la “questione indigena” che vi è associata.
Oltre a vescovi e cardinali provenienti dall’area sudamericana, infatti, il Sinodo sta ospitando voci e testimonianze delle popolazioni che subiscono le conseguenze peggiori della devastazione amazzonica. Rappresentanti del Movimento Sem Terra (Mst), delegazioni e membri di reti di coordinamento dei popoli indigeni sono stati chiamati a esporre la propria prospettiva e indicare possibili soluzioni. «Ci dà molta speranza il fatto che il papa abbia intrapreso questo percorso di difesa dell’Amazzonia», afferma Gilviania Ferreira da Silva che come membro del Mst ha presentato al congresso episcopale il Documeno di Guararema, un report di denuncia sulla situazione nella zona elaborato sulla scorta di incontri con diversi rappresentanti indigeni. «L’aspettativa è che dal Sinodo esca una dichiarazione netta sulla questione e che la nostra voce venga ascoltata. Ma, soprattutto, è importante che vengano identificati i veri responsabili dell’avvelenamento della nostra terra, degli incendi, del disboscamento e dell’assassinio di indigeni e contadini che continuano ormai da anni».
I lavori del Sinodo si svolgono in un periodo in cui la mobilitazione per i crimini ambientali perpetrati contro l’Amazzonia e gli altri biomi sudamericani è molto alta. Proprio nei giorni scorsi, infatti, l’Articolazione dei Popoli Indigeni del Brasile (Apib) – anch’essa ricevuta dal congresso episcopale – ha iniziato la tappa europea della campagna Sangre Indigena: ni una gota más, che intende sensibilizzare istituzioni e società civile sulle morti subite dalla popolazione a causa dell’estrattivismo. «Dovete rendervi conto che una buona parte dei prodotti che consumate qui in Europa è letteralmente innaffiata dal sangue indigeno», hanno detto i rappresentanti dell’Apib durante una conferenza stampa che si è tenuta lunedì 21 presso la sede di Greenpeace a Roma. «Attraverso i conflitti interni, gli attacchi da parte dei latifondisti e della repressione governativa e per mezzo di pianificate e costanti invasioni dei nostri territori, si sta consumando un vero e proprio genocidio delle popolazioni indigene nell’area sudamericana. Si tratta del disegno criminale del Presidente Bolsonaro, ma anche governi e aziende europee hanno le loro responsabilità. Le misure intraprese negli scorsi anni non hanno sortito alcun effetto e occorre esercitare maggiore pressione: quella contro l’Amazzonia e gli altri biomi latinoamericani è una guerra mondiale, perché mette a repentaglio circa l’80% della biodiversità di tutto il pianeta».
Il messaggio è chiaro: l’Europa deve muoversi a difesa delle popolazioni e dei territori indigeni, anche perché la devastazione delle risorse naturali è finanziata da multinazionali e aziende che alimentano i nostri mercati. In questo senso, il Sinodo potrebbe rappresentare un segnale di apertura e impegno verso questi temi che, oltre all’appoggio della comunità ecclesiastica, spinga anche governi e istituzioni comunitarie ad agire. Tuttavia, occorre vedere in che modo reagirà la giunta Bolsonaro da un lato e quanto invece sarà possibile cambiare i rapporti di forza interni alla Chiesa dall’altro. Come rilevato da un reportage pubblicato su “Internazionale”, in seguito al congresso episcopale i rapporti fra il presidente brasiliano (che si definisce convintamente cattolico) e alcuni settori ecclesiastici potrebbero peggiorare, quando non sfociare in un clima di scontro aperto e conseguente repressione. Allo stesso tempo, c’è tutta una parte della Chiesa (non solo brasiliana) che non vede di buon occhio il Sinodo e i principi espressi da papa Francesco in merito alla questione amazzonica. Le ali più conservatrici e reazionarie della curia hanno infatti deplorato il percorso intrapreso dal congresso episcopale come una “svolta tribalista” che potrebbe addirittura provocare uno scisma all’interno della Chiesa.
A ogni modo, è indubbio che il Sinodo già stia costituendo una possibilità di espressione e di denuncia da parte delle popolazioni amazzoniche. Abbiamo provato a capire più nel dettaglio con Gilviania Ferreira da Silva (a Roma per presentare il documento al Sinodo e per promuovere l’attività del Mst) quali sono le ragioni della partecipazione al Sinodo da parte delle comunità indigene, che conseguenze aspettarsi nel contesto latinoamericano e come la Chiesa brasiliana si trova spaccata su questi temi.
Quali sono le principali tematiche portate all’attenzione del Sinodo?
Abbiamo presentato all’assemblea dei vescovi il “Documento di Guararema”, che è stato redatto e sistematizzato da rappresentanti dei vari paesi che compongono l’area amazzonica. Vogliamo denunciare il problema dell’avanzamento del Capitale in Amazzonia, che viene attuato su vari livelli: innanzitutto relativamente allo sfruttamento agricolo e minerario; con l’estrazione e la depredazione della ricchezza che si trova nel suolo amazzonico; attraverso la gestione dell’acqua l’avviamento di progetti di sfruttamento idroelettrico che saranno deleteri per tutte le comunità indigene che vivono in prossimità dei corsi d’acqua. Inoltre, ci interessa porre attenzione sul tema della biodiversità: presentare la ricchezza del regno animale e vegetale in una prospettiva di ecologia integrale, che riesca a comprendere tutte le forme di vita del territorio e che possa dunque evitare le tremende conseguenze che affliggerebbero tutto il pianeta nel caso avvenisse la distruzione dell’area amazzonica.
Preoccuparsi di quest’area significa avere attenzione verso una casa comune, una casa di tutti. Difendere l’Amazzonia significa difendere la vita di tutto il mondo.
Sperate che il Sinodo possa generare un cambiamento reale?
È molto importante capire come la Chiesa riuscirà ad agire attraverso i suoi offici pastorali, i suoi organismi e attraverso il dialogo con il popolo. L’Amazzonia non è – come spesso viene affermato – un territorio “selvaggio”, ma un’area abitata da popolazioni che hanno sviluppato culture e conoscenze proprie. Anzi, hanno elaborato una propria concezione di sviluppo legata all’agroecologia e alla biodiversità. Speriamo quindi che sulla scorta della dichiarazione che uscirà dal Sinodo la Chiesa possa animare un percorso di mobilitazione delle popolazioni, oltre che di lotta e di denuncia contro la violenza che viene praticata quotidianamente sul territorio, di denuncia. In questo le istituzioni ecclesiastiche possono avere un ruolo determinante: le testimonianze di un padre o una sorella missionari che riportano i crimini compiuti nell’area amazzonica in un forum internazionale o nazionale e in tutte le istituzioni religiose hanno un grosso peso. Pensiamo dunque sia estremamente necessario che la Chiesa faccia sentire la propria voce in difesa dei popoli amazzonici.
C’è però una parte del clero che appoggia Bolsonaro…
Il dibattito del Sinodo si svolge in un contesto non semplice, perché esiste tutta una parte della Chiesa conservatrice. Ci sono molte accuse verso il congresso, per le quali difendere l’Amazzonia è come fare propaganda per un partito specifico e cose del genere. Gli stessi latifondisti e detentori dell’agrobusiness hanno organizzato forti campagne a sfavore. La loro concezione è che l’Amazzonia non deve essere nient’altro che un mezzo per lo sviluppo e il progresso del Brasile e un organismo come quello ecclesiastico non dovrebbe intromettersi nella gestione del territorio del paese. In pratica, fanno da megafono alle visioni di Bolsonaro. Si tratta comunque di ali della Chiesa come gli evangelici e i pentecostali molto vicine al fondamentalismo religioso, che però possono contare su personaggi dal forte carisma. In questo senso, una dichiarazione decisa da parte del Sinodo potrebbe aprire prospettive di cambiamento interne all’organizzazione ecclesiastica in Brasile.
Come sta reagendo la società civile in Brasile? È solidale con le vostre lotte?
Credo che la maggior parte della popolazione si stia rendendo conto di come ciò che sta accadendo in Amazzonia sia un crimine contro il territorio e contro la vita di chi abita quell’area. Gli incendi, che non sono una novità ma che chiaramente avvengono con intensità diversa a seconda del periodo, sono principalmente di due tipi. Spesso si tratta di latifondisti che appiccano volontariamente il fuoco con l’intenzione di appropriarsi della terra abitata da indigeni o da contadini. Oppure sono azioni di pura propaganda: si vuole far passare il messaggio per cui si può dar fuoco a tutto e che non esistono aree preservate, che l’Amazzonia non va considerata il polmone del mondo ma semplicemente un territorio da sfruttare. Esistono video in cui si vedono persone provocare un incendio, sparare alcuni colpi di pistola in aria e inneggiare a Bolsonaro.
Quindi sì, c’è un forte dibattito all’interno della società e tali azioni vengono perlopiù percepite come crimini. Ma, allo stesso tempo, ci sono ambienti e settori che le rivendicano con orgoglio e ne fanno un utilizzo politico. Per questo, l’attività di denuncia è importantissima. Uno dei nostri compiti come Mst è costruire spazi di discussione in difesa dell’Amazzonia in tutto il continente. Serve un movimento mondiale e popolare che unisca il più ampio numero di realtà sociali, per poter promuovere campagne di solidarietà ma anche visite e interscambi affinché in molti conoscano il contesto dell’Amazzonia e degli altri biomi sudamericani. Ora come ora passa solo una parte di informazioni e non sono molto veritiere. Vogliamo edificare ponti di solidarietà con i popoli di tutto il mondo.
Foto di copertina di Midia India