ITALIA
Milano in corteo contro il CPR
Sì è tenuto ieri, sabato 12 ottobre, a Milano, il corteo organizzato dalla rete NO CPR, contro il progetto di apertura del nuovo centro per il rimpatrio in via Corelli, confermato dalla nuova ministra dell’Interno Luciana Lomorgese. In migliaia tra giovani attiviste e attivisti italiani e stranieri e comunità curda hanno marciato con l’intento di raggiungere il centro.
Nella giornata di sabato 12 ottobre, la città di Milano è stata attraversata da migliaia di persone in corteo contro l’apertura del CPR di via Corelli, ormai prossima secondo le dichiarazioni della neoministra dell’Interno Luciana Lamorgese.
Il corteo, organizzato dalla rete “Mai più lager-No ai CPR”, è partito da Piazzale Piola per proseguire fino al centro di Via Corelli, cinto da un dispiegamento di forze dell’ordine in tenuta antisommossa.
La protesta è rivolta principalmente contro l’istituzione dei CPR, i vecchi CPT del governo Prodi, definiti dalla legge del Turco-Napolitano del 6 marzo 1998, poi ridefiniti CIE dal secondo governo Berlusconi con la legge Bossi-Fini. Il corteo ha però avuto uno sguardo ampio sulla storia politica degli ultimi anni sul piano europeo e internazionale, condannando i decreti sicurezza a firma salviniana, sopravvissuti al cambio di governo, e schierandosi a fianco della comunità e dei combattenti curdi dopo gli ultimi attacchi del governo turco in Rojava, a seguito del voltafaccia statunitense.
Si legge su uno striscione: “CPR: Minniti crea, Salvini costruisce, Lamorgese inaugura”. Lo slogan, come i molti interventi che si sono susseguiti, sottolinea gli elementi di continuità tra i governi che si sono succeduti negli ultimi anni. Il tema dei CPR era al centro di una delle disposizioni del vecchio governo Gentiloni, in cui Marco Minniti, allora ministro dell’Interno, aveva predisposto la costruzione di un centro per il rimpatrio in ogni regione, a corollario di altre disposizioni repressive e liberticide: dal codice di condotta per le ONG, agli spietati accordi polito-economico-militari con la Libia nel tentativo di desertificare il Mar Mediterraneo e arrestare le partenze dei migranti dalle coste libiche. Ritorna in questa fase la retorica di criminalizzazione dei solidali, singoli o collettività, dei migranti, ambulanti e irregolari: in breve, di tutte quelle categorie politico-sociali non conformi alla norma in termini di produttività, etnia, classe e orientamento sessuale. È proprio allora che vedono la luce i decreti Minniti e Minniti-Orlando, accompagnati da una serie di ordinanze restrittive in nome del decoro quale unico rimedio al cosiddetto degrado urbano.
Il nuovo corso politico è inaugurato dal patto di governo giallo-verde, il manifesto programmatico del primo governo Conte, che vede in Salvini il front man della guerra ai migranti. I discorsi d’odio assalgono i media, l’attacco alle ONG diventa virale: è la politica dei porti chiusi, di una presa di posizione sociale ampia ed eterogenea. È anche la fase del rafforzamento della politica della ruspa, dei daspo, della rabbia contro i rom nelle periferie, della stretta repressiva contro i manifestanti e degli sgomberi delle occupazioni abitative. In sintesi: sono i decreti sicurezza e sicurezza bis.
In questo scenario autoritario c’è stato chi non si è arreso alla paura: Mediterranea prende il largo con la nave Mare Jonio subendo, al pari delle altre navi di search and rescue, denunce, sequestri, multe e attacchi diversificati. Le piazze si riempiono di manifestanti che non cedono di fronte all’arroganza della dottrina salviniana e dei suoi alleati nazionali ed europei che vede la sua priorità nella difesa dei confini nazionali e fa dei migranti dei soggetti sacrificabili. Prendono parola migliaia di uomini e donne che scelgono di mettersi in gioco con i loro corpi: dalle acque a largo della Libia alle mobilitazioni permanenti di piazza Esquilino, fino al confine terrestre di Ventimiglia.
Arriva la crisi di governo. Il mostro Salvini è caduto. Due mesi di Conte bis e poi un cambio di colore: questa volta giallo-rosso, vale a dire un nuovo patto tra coloro che hanno accettato le leggi prevaricanti di Minniti e quelli che hanno votato i decreti sicurezza di Salvini: rimangono intatti i decreti sicurezza, i principi di esternalizzazione delle frontiere non vengono messi in discussione, così come non lo saranno i vecchi accordi con la Libia, paese ancora in guerra civile ma ancora alleato fondamentale per l’Italia e l’Europa nella gestione delle partenze dei migranti. Nelle città l’arma contro le occupazioni diventa la ruspa democratica, condanne e multe contro chi organizza picchetti, blocchi stradali o blocchi della produzione.
È a cavallo tra due governi che arriva la notizia dell’apertura del CPR Di via Corelli, lo scorso luglio, con l’annuncio dell’allora ministro dell’Interno Salvini della chiusura dell’attuale Cas (Centro di Permanenza Straordinaria) e la sua successiva trasformazione in un centro d’espulsione per migranti irregolari. Ne è conseguito l’allontanamento degli ospiti del centro e l’avvio dei lavori di adattamento della struttura. Nei primi mesi del nuovo governo, il 4 ottobre la ministra Lamorgese conferma la prossima apertura del CPR in via Corelli.
Ma le strade, come il mare, non si svuotano. Il corteo di ieri ha rappresentato una prima mobilitazione che sottolinea come le ingiustizie e le violenze contro i e le migranti sono abusi sistematici e che la lotta per i diritti e l’inclusione sociale deve essere costante e trasversale. Un prossimo passaggio sarà la manifestazione nazionale contro i due decreti sicurezza, lanciata dall’assemblea “Energie in movimento” per il 9 novembre.