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La vita invisibile di Eurídice Gusmão

A Cannes è stato per molti un amore folgorante, ed è senz’altro uno dei film più belli di quest’anno. Arriva in questi giorni nelle sale italiane grazie a Officine Ubu “La vita invisibile di Eurídice Gusmão” di Karim Aïnouz: la storia ambientata nel Brasile degli anni Cinquanta e Sessanta dell’amore tra due sorelle, costrette dalla propria famiglia e dalle condizioni sociali a vivere lontane l’una dall’altra

È una vera e propria scoperta il film La vita invisibile di Eurídice Gusmão di Karim Aïnouz vincitore allo scorso Festival di Cannes della sezione Un Certain Regard. Ambientato a Rio de Janeiro negli anni ’50 il film ripercorre la storia di due sorelle, Euridice e Guida lungo diversi decenni. La prima più giovane, magra e allampanata sembra, sin dalle prime battute, la più docile delle due: pianista riuscitissima, suona tutte le musiche classiche principali che accompagnano il film. Guida, invece, è più impulsiva e disobbediente tanto che in una cena che dovrebbe riunire tutta la famiglia, si finge malata, per poi dileguarsi alla festa di un’amica con il suo amante, un marinaio greco. Le due sorelle già dall’inizio del film ci paiono vivere un rapporto quasi simbiotico pur nelle loro differenze fisiche e caratteriali. La sera della cena, Euridice accetta controvoglia di reggere il gioco alla sorella e di aprire la porta dell’abitazione all’una di notte per farla rientrare a casa. Nel frattempo Guida sta ballando scatenata in una sala da ballo di Rio, che vede sfocata, tra fiumi di alcol e sudore (il film, girato in 16 mm, è un insieme di immagini, sgranate e anticate): il trasporto è tale, che decide all’improvviso di non ritornare a casa ma di imbarcarsi con una nave per la Grecia insieme al suo amante marinaio. Manderà una lettera di congedo – a cui ne seguiranno molte altre che contrappunteranno lo svolgimento del film.

 

 

Claudia Durastanti nel suo ultimo libro, La straniera, scrive che il fratello rappresenta la «prima materia» attorno alla quale addensarsi: il primo soggetto con il quale riconoscersi. Il film di Karim Aïnouz allo stesso modo insiste sul tema della ricerca di questo amore primario tra pari all’interno del nucleo familiare, descrivendo la perdita e poi la tensione instancabile a ritrovare quello specchio nel quale riconoscersi. Euridice e Guida, infatti, da quella sera all’inizio del film verranno separate e non si rivedranno mai più: nel momento in cui la seconda tornerà a casa dal viaggio in Grecia, con alle spalle un amore fallito e un bambino in grembo, il padre, patriarca e maschilista, la caccerà da casa e le impedirà di mettersi in comunicazione con la sorella. Le lettere mai recapitate tra le due saranno a centinaia: il desiderio di ritrovarsi negato e fondato su una menzogna e su un fraintendimento di fondo che caratterizzerà e segnerà l’intera loro vita. La vita di Euridice, al contrario di quello che crede la sorella che la immagina come una pianista di successo, è tutt’altro che libera e riuscita: invece di realizzare il sogno di studiare al conservatorio di Vienna, la giovane si trasferirà dalla casa paterna (in cui persino la madre «è ombra del padre») a quella del marito. Con questa progressione emerge il vero secondo grande tema del film: l’oppressione delle donne nella società brasiliana del dopoguerra, e la loro riduzione al ruolo di figlie, mogli e madri.

 

 

La vita di Euridice è invisibile – come dice titolo – in due sensi: non è rintracciabile dalla sorella che mai riuscirà ad avere sue notizie, ma è invisibile anche perché lei che aveva così tanti sogni sarà costretta a vivere da casalinga, senza poter affermare il proprio desiderio e costretta a subire le angherie del padre e del marito. Tutti i rapporti sessuali di cui fa esperienza nel corso del film vengono rappresentati come esperienze di violenza e sopraffazione, compresi quelli che avvengono nella relazione matrimoniale a cui la donna partecipa come puro oggetto appropriabile dal marito. E non va meglio alla sorella Guida che, però, nella sua povertà e nelle sue peregrinazioni, riscopre la possibilità di costruire nuovi mondi, fatti di legami non biologici, mentre la famiglia d’origine e di sangue rimane un luogo di incomprensione e di violenza.

 

 

Il film di Aïnouz, oltre a essere un dramma potente e un canto all’amore tra sorelle, parla però anche direttamente del presente. Pur riferendosi a una vicenda negli anni ’50 è in grado di mettere a tema anche i rischi di una struttura familiare tradizionale, con tutto il carico di violenza che questo comporta. Il film, come ha sottolineato il regista durante la presentazione, è dedicato non solo a tutte le donne che ancora subiscono in tutto il mondo la violenza maschile e sistemica, ma anche a tutte coloro, che in qualsiasi forma, mettono in atto delle forme di resistenza.

Tuttavia La vita invisibile di Eurídice Gusmão non racconta solo la natura sessuata della disparità tra uomini e donne, e lo sfruttamento nascosto tra le mura domestiche del lavoro riproduttivo, costituendosi come un affresco melodrammatico e potente sul dispositivo patriarcale che ancora oggi attanaglia la nostra società. Le donne del film, le sorelle acquisite o naturali, non rimangono puri oggetti passivi a disposizione degli uomini di turno, ma riescono a farsi testimonianza di un desiderio. Perché quello che vediamo è anche che l’invisibilizzazione può essere gridata con diverse parole e portare a esiti inaspettati e a risoluzioni soggettive inattese e sorprendenti.