ROMA
Di che cosa dovremmo parlare quando parliamo del Nuovo Stadio della Roma?
10 interrogativi, oltre le questioni urbanistiche, prima del calcio di rigore.
1. Tor di Valle confina con la 14th di Manhattan ?
“I romani devono essere orgogliosi della loro amministrazione”. Così James Pallotta, oggi proprietario assoluto della Roma calcio, dopo aver sollevato Unicredit della sua quota di azioni della società, con cui la banca aveva invano cercato di salvare la precedente gestione proprietaria di fatto commissariandola finanziariamente, ha congedato il Sindaco Marino che, “sacrificando un paio di giorni delle sue vacanze americane” era andato a trovarlo ( 22.8.2014) a New York ansioso di confrontarsi con lui su quali, delle tante parti del nuovo stadio a Tor di Valle, potessero essere definite come “interesse pubblico”.
Una sorta di benevolo incoraggiamento in corso d’opera. Un’ultima revisione progettuale per evitare la fatidica buccia di banana su cui il progetto “Stadio della Roma” potrebbe scivolare quando, tra pochi giorni il 4 settembre, dovrà ricevere il primo vero ok amministrativo ed essere riconosciuto opera di interesse collettivo attraverso un’apposita delibera.
Basterebbe vedere il filmato che ha accompagnato l’incontro americano, postato su Voce Giallorossa, l’applicazione cult di ogni tifoso della Magica, che inizia con esaminatori ed esaminati felici di esibirsi in un paio di canestri. Un benvenuto all’altezza dell’evento, svoltosi nel campo di basket che confina con la scrivania del Presidente yankee su di un terrazzo alto sulla 14th di Manhattan, per capire il perché di questa trasferta.
Presentata come occasione per fare il punto in merito alla costruzione di un’importante servizio per la città, si è subito trasformata in prova generale di quello che si vuole che Roma diventi; di che farne di questa città e come d’ora in poi farlo. A partire dalla proposizione di un nuovo assemblaggio delle componenti chiamate a definire quei valori immobiliari in una città che deve fare i conti con il suo motore principale: quella rendita urbana che la crisi sta imballando in modo sempre più massiccio.
2. il cambio di passo della rendita urbana
La questione Stadio della Roma inaugura una nuova stagione: quella che ha bisogno di costruire l’urbanistica non più come ostacolo, come fin’ora è stato e portato avanti quando ha eretto quelle deboli barricate contro gli esercizi di rendita, ma quale vera e propria minaccia ai progetti della trasformazione urbana ed al loro architetto unico: il mercato. Da rimuovere senza nessun ripensamento.
Al netto della retorica sullo stadio quale Colosseo moderno, snocciolata dal progettista che firma i novecentomila metri cubi che l’accompagnano (una quantità edilizia, tanto per restare in “zona”, pari a quella di quei grandi blocchi edilizi che dal Colosseo, quello vero, dopo essersi allargati all’intorno lungo via Labicana finiscono a lambire, oltre San Giovanni, le mura), questo progetto in realtà rappresenta davvero un prontuario: di quello che la governance della città si appresta a voler realizzare che, tuttavia, ha bisogno di dimostrare, prima di tutto, come questo nuovo “cambio di passo” non possa essere praticato da chi fin’ora ha avuto via libera nella scorribanda edilizia che ha rappresentato la costruzione attuale della città di Roma.
3. Tra drammatizzazione…
Un’operazione per cui, a ridosso del parere finale, è stata necessaria mettere in campo un’ultima teatralizzazione dell’evento. Il far sembrare che la situazione stesse precipitando. Che i soliti signori del No potessero averla vinta.
Lo ha fatto proprio il Sindaco Marino che, con il suo assessore all’urbanistica, da sempre è stato entusiasta dell’iniziativa. Ecco i due, improvvisamente timorosi per il presunto mancato rispetto di alcune regole “costruttive”volare negli Usa, affannati a suggerire la necessità di ridurre la cubatura “accessoria” e risolvere le problematiche dell’accessibilità pubblica all’impianto. Si è agitata la Regione Lazio, sollevando un problema di rispetto di una zona vincolata. Ha esternato il Prefetto, ricordando la necessità che al deflusso degli spettatori sia assegnato un tempo contingentato. Osservazioni che si sarebbero potute risolvere, come succede, nel corso della Conferenza dei Servizi, lo strumento attraverso cui chi propone un progetto interloquisce tecnicamente con chi tutela e organizza quello che accade e potrebbe accadere in quella parte del territorio.
Si è montata, invece, una forte pressione di stampa alimentata dal Messaggero dell’editore Caltagirone che, da tempo, spara sulla scelta di quest’area “offerta” dal gruppo Parnasi (Parsitalia) riuscito a farla preferire agli americani rispetto quella su cui l’ingegner Francesco Gaetano Caltagirone, nella sua veste di costruttore, aveva ipotizzato di accogliere lo stadio della Roma.
Il Messaggero si è messo così a veicolare le serie motivazioni puntualmente avanzate da Legambiente e Italia Nostra. Intervenendo con ampie pagine: sulla fragilità ambientale, sull’eccessivo carico urbanistico che la zona si troverà a sopportare, sulla cubatura mostruosa che lo Stadio si porta appresso, sull’insensatezza della location. L’Amministrazione ha sostanzialmente risposto passivizzando tutto questo in una striminzita dichiarazione dell’assessore Giovanni Caudo che, prima d’imbarcarsi per gli USA, esternava che senza metropolitana l’iniziativa rischiava di restare al palo.
Sono bastate però un volo aereo e solo due ore d’incontro, (partitella sulla terrazza, brindisi e urlo finale di “forza Roma” compresi) per farci sapere che tutto era risolto. Così Marino, in puro stile renziano, poteva, dall’ombra dei grattacieli, twittare: “meno cubature, metropolitane, un parco sul Tevere, opportunità per la città”.
4. l’improvvisa conversione ambientalista dell’ingegner Caltagirone…
Deve essere certo accaduto per il limite dei 140 caratteri che il Sindaco non ha potuto specificare che i 50 milioni di euro in più che è riuscito a strappare al tycoon americano per la metropolitana sono da intendere come la ristrutturazione (non nuova costruzione) della stazione esistente alla fermata Muratella, un percorso in superficie dei vagoni, il cui costo di acquisto non è a carico della società essendo la linea della Regione, un ponte pedonale.
La cubatura, poi, viene si asciugata del 10% ma, in assoluto, “pesa” per circa 900mila metri cubi che si avvicinano molto, al milione iniziale (sic). Di questo, nei prossimi giorni, sentiremo ancora parlare. SEL, che della maggioranza di Marino fa parte, ha sollevato alcune perplessità sia in sede locale che nazionale. Italia Nostra e Legambiente insistono sull’effetto devastante in termini urbanistici di quest’iniziativa. Il Messaggero continua a presentare, pagina dopo pagina, una maggioranza del Consiglio Comunale ansiosa di dire la sua su un progetto per la cui realizzazione si sente, a norma della legge sugli stadi, “commissariato”.
5. …i pareri a “bordo campo”
Come in ogni partita che si rispetta non possono certo mancare i commentatori a bordo campo che, in questo caso, prendono le vesti dei due precedenti assessori all’urbanistica del Comune di Roma: quelli che hanno guidato l’Amministrazione Comunale verso la redazione del nuovo Piano Regolatore. Per entrambi il fatto che quello strumento non prevedesse in quell’area una simile realizzazione non sembra essere certo un problema.
Il primo, Domenico Cecchini (Sindaco Rutelli) il padre del “pianificar facendo” fa di conto e ricorda come venendosi a produrre plusvalore immobiliare, conseguibile a seguito della trasformazione, oltre agli oneri previsti di legge, debba essere prodotto da parte di chi realizzerà l’intervento, un contributo pari al 66% di questo plusvalore. Questa la cifra. L’importante è far cassa e farla bene. Il Piano è un bancomat all’incontrario: incassa e rilascia come scontrino il titolo autorizzativo per la cubatura che serve.
Più sfumato il parere di Roberto Morassut (Sindaco Veltroni) che sembra mettere in discussione la scelta dell’area. Così come fa il Messaggero certo orientato in maniera urbanistica dal suo editore Caltagirone, che dall’ex assessore, oggi deputato PD, è definito nel suo libro Mala Roma (Alberti editore 2013 alle pagg. 35/36): “uno dei rari imprenditori romani e italiani capaci di avere un’idea generale della Capitale”, “una persona colta, nel senso letterale del termine. Che coltiva alcune sue idee di fondo”.
A ridosso della trasferta americana del Sindaco è lui a fare una domanda al giornalista del Messaggero (ovviamente) che l’intervista. «Ma con la crisi del terziario siamo sicuri che ci sia questa grande richiesta di uffici?». Cosa c’entrano uffici con il pallone? Molto, perché la legge sugli stadi consente di realizzare lo stadio e, con questo, si può fare tanto di più. Anche se non case o, almeno, edifici che nascono con questo nome. Ed è proprio su questo, sul ricco contorno, che si giocherà il destino della città, di come trasformarla, di come ripensarla.
6. dove posizionare il pallone ?
A Roma, come ovunque nel paese (e non solo nel paese), il settore delle imprese di costruzione è in crisi a causa della grande quantità di alloggi invenduti. Dal 2008, anno d’inizio della crisi, gli investimenti in Italia nel settore delle costruzioni sono scesi del 47%. Nelle infrastrutture del 66%. Sono intorno alle 70mila unità le imprese che sono andate in default. Nel corso del’ultimo anno nel settore edilizio sono fallite l’1,7% delle aziende. Quelle artigiane risultano scomparse per il 2,7%. L’occupazione si è contratta ancora del 4,8%. L’edilizia è tornata indietro ai livelli del 1967.
E’crollato il credito. Le banche sembrano particolarmente accanirsi con questo segmento produttivo. Se il credito alle imprese nelle ultimo anno è calato del 6,7%, per quelle del comparto edilizio la percentuale sale al 10,8. Così, nonostante la necessità di edilizia residenziale sia ancora ampia, le case costruite rimangono vuote, conseguenza della crisi economica e delle difficoltà di accesso al credito per tutti: famiglie e imprese. Il mondo delle costruzioni ha rappresentato a lungo 1/5 del PIL nazionale ed è quindi un settore strategico per la ripresa. Basterebbe pensare alla possibilità di intervenire sulla manutenzione dell’esistente.
Le Banche continuano però a non investire là dove non esiste garanzia di redditività. Questa, secondo i loro calcoli, è remunerativa quando per 1 euro investito si generano 2,5 euro. Attualmente l’edilizia residenziale invenduta genera solo crediti in sofferenza. Se sul piano nazionale la sofferenza, ovvero l’impossibilità concreta delle Banche di riavere indietro i soldi prestati in precedenza, è pari al 10%, a Roma questa percentuale schizza al 30%. Nell’ultimo anno le sofferenze sono aumentate del 38%. Il rapporto fra passivi e attivi è sbilanciato ed è per questo che le Banche hanno chiuso l’erogazione di mutui a imprese e famiglie. Scomparsi gli investitori, la BCE e le Banche nazionali hanno comprato i titoli di stato.
Le Banche oggi sono orientate ad erogare finanziamenti solo a quelle attività che garantiscono un flusso di denaro continuo. La valutazione del rischio da parte delle Banche viene fatta esaminando non il possibile patrimonio immobiliare futuro, ma i flussi di cassa dell’attività che si intende realizzare. Il rimborso del credito erogato è garantito così dai movimenti di cassa, attività di servizio, commerciali, sportive….tutto quello che è legato ad un esborso di denaro immediato per poter essere utilizzato. I tempi della pianificazione e della realizzazione sono fondamentali per definire quando apriranno “le casse” e quando saranno emessi i primi scontrini.
Le Banche fanno, ora, affidamento esclusivamente su questo.
7. tra mattone e scontrino
Fino ad oggi era la cubatura a rappresentare e garantire il valore di un investimento, ma non è più così. O almeno completamente così. Pochi metri cubi potrebbero rendere molto di più di migliaia di metri cubi residenziali che rimangono invenduti a tempo indeterminato, rappresentando di fatto costi urbani e gestionali insostenibili per il proprietario investitore e per l’Amministrazione. I servizi privati stanno sostituendo il settore residenziale negli interessi di chi investe e ridefiniscono lo stesso ruolo della rendita urbana.
Restiamo a Roma: si parla dello Stadio come un nuovo Parco quando non si trovano neppure i soldi per curare la manutenzione non solo di quelli esistenti, ma per ripulire le strade ormai diventate ovunque trincee conquistate dalla vegetazione spontanea. I valori immobiliari legati alla residenza non producono più il reddito sperato.
Per riprendere ad accumulare grandi profitti si deve puntare alla costruzione della città del consumo totale, dove chi la abita è esso stesso merce, legato non più al mattone, ma allo scontrino continuo vero feticcio dell’uso produttivo che si vuole assegnare all’abitare. I valori immobiliari crescono quando riescono a mischiarsi tra loro; per questo lo Stadio con le sue attrezzature sarà circondato da molte altre cose. Non case: un vasto tappeto commerciale, una mostruosa quantità di superficie terziaria e di alberghi elegantemente racchiusa in tre torri di oltre 100 metri di altezza, un parco lungo l’argine del fiume.
Un’inedita parte di città che ci viene raccontata come “entertainment”. Una parola che, in italiano, si traduce come intrattenimento, ma che, calata in quest’ansa del Tevere, sembra destinata a portarsi appresso le nuove parole del consumo urbano fatte di merchandising, partenariati globali, sponsorizzazioni, diritti commerciali, StubHub Center (centri di formazione), servizi d’elite per ogni sport, oltre, naturalmente, concerti e spettacoli, piattaforme di intrattenimento di contenuti video dedicati alla programmazione e pubblicizzazione di quello che si deciderà dovrà essere lo stile di vita.
Lo stadio, progettato dal team americano guidato da Dan Meis, appare un edificio che sembra subire il dominio dell’ingegneria e come, nella progettazione urbana, la definizione tipologica debba essere del tutto insignificante. Quasi a voler cancellare, oltre che fisicamente, l’esistente impianto dell’Ippodromo e, con questo, la cultura dell’ingegneria che, al contrario, quel progetto era stato in grado di perseguire. Un passaggio costruttivo non secondario che si rifiuta di porsi come “scultura di terra”- questo è stato lo straordinario progetto dell’Olimpico fino alla sovrapposizione della sua agghiacciante copertura – e annulla il proprio elemento simbolico: il campo da gioco.
Il luogo centrale di questo spettacolo si sposta. Lo spettacolo che avviene ovunque ha bisogno di rendere immediati gli elementi del suo consumo. La grande copertura è sospesa su esili pilastri quasi a mimare una selva di alberi. L’apertura dei propri fronti mostra il suo essere una “macchina”. La grande muraglia della curva è pensata a quale spazio identitario “metterà paura alle squadre ospiti”come ha candidamente spiegato il progettista. I palchetti simili a una residenza di lusso a segnare le differenze. Le parole giganti scritte sulla pelle che lo rivestirà a gridare come, tutto quello che avverrà da lì promosso, fa parte della costruzione di un luogo dove le famiglie, che “si vogliono riportare allo stadio”, vengono catturate dalla macchina infernale che oltre l’offerta, costruisce soprattutto la domanda di servizi e intrattenimenti.
Per ogni età di utente, in ogni giorno dell’anno, in un crescendo di domanda da parte dei nuovi produttori di valore. Quello che oggi avviene nei mega centri commerciali, dove, solo pochi giorni fa e sempre a Roma, il giorno di Ferragosto, si sono riversate famiglie intere per passare la giornata fra spettacoli, concerti, gelati, panini, giochi per bambini e sale giochi per i più grandi.
Lo shopping non è più la funzione principale del centro commerciale, come la partita di calcio non sarà quella dello stadio. Un luogo dove ogni servizio, materiale e immateriale, si sommerà all’altro destinati a crescere ed espandersi continuamente.
8. Unicredit (e finanza) puntano sullo scontrino
Unicredit ha pensato bene che, stante questo panorama, occorreva muoversi prima del fischio d’inizio. Così ha ceduto la sua quota azionaria (31%) della A.S. Roma spa. al Presidente Pallotta proprio quando, luglio 2014, con la consegna degli elaborati progettuali al Comune, è iniziata sul serio la procedura per realizzare il Nuovo Stadio.
La stessa Unicredit è tra i creditori, insieme a BNL Paribas, del gruppo Parnasi (Parsitalia), che attraverso la società Eurnova, è chiamato a costruire lo Stadio. I terreni sono nella propria disponibilità e con la risicata maggioranza proprietaria del 50,4%, questo gruppo può decidere che fare rispetto agli altri proprietari che dovranno, però, essere compensati. Sul totale di poco più di un milione di metri quadri, questa è la dimensione dell’area su cui atterrerà lo stadio e il suo ricco contorno, se l’8% è di proprietà pubblica e quindi giocherà in casa venendo chiamato ad ospitare servizi pubblici, per il restante 41,6% lo stesso Parnasi dovrà provvedere a mettere sul piatto oltre 30 milioni di euro per i necessari espropri. Il tutto alla luce di una recente novità.
La società (Sais spa), quella che era proprietaria dell’area e gestiva l’esistente Ippodromo, che ha venduto a Parnasi è stata dichiarata fallita nel maggio di quest’anno, dopo che il giudice non ha concesso il concordato fallimentare. Fallendo a meno di un anno di distanza dalla vendita, per cui Parsitalia ha sborsato 42 milioni di euro, è questo un particolare che potrebbe far franare tutto visto che, secondo la normativa vigente in materia di fallimenti, il curatore chiamato a dover recuperare il maggior numero di denaro possibile per far fronte ai creditori della fallita Sais spa, potrebbe ritenere incongrua la cifra pattuita tra la Sais spa e Parnasi perché, dato il breve tempo trascorso, inferiore ai 12 mesi indicati dalla legge, l’acquirente Parsitalia avrebbe potuto conoscere lo stato di insolvenza del venditore e strappato un prezzo incongruo. Un nodo da sciogliere il 10 dicembre giorno in cui avverrà il pronunciamento del Giudice fallimentare nel bel mezzo del periodo fissato dalla normativa per la procedura valutativa del progetto da parte di Regione e Comune.
Unicredit si è venuta così a trovare doppiamente impegnata a partecipare all’iniziativa: come proponente, per la sua quota parte di proprietà della AS Roma spa e al tempo stesso essere creditrice della società realizzatrice Parsitalia che, non è un segreto, è in forte esposizione finanziaria per somme che superano di varie volte il proprio capitale sociale.
Unicredit, con una partita di giro, è andata a risolvere la propria esposizione rispetto l’ AS Roma spa per finanziare non lo stadio, ma il meccanismo finanziario immobiliare con cui un’altra società (Parsitalia) costruirà l’intera operazione della città dell’intrattenimento. Concedendo ancora credito, nonostante la sua esposizione, a chi potrà attraverso flussi di cassa continui che questo progetto innesca , rendere possibile iniziare a programmare il rientro dei capitali prestati prima e dopo. Unicredit ha scelto così di mettere le mani sul meccanismo dello “scontrino”, dell’incasso immediato giorno dopo giorno a partire dal canone di locazione dello stadio, che la AS Roma spa, partita dopo partita, pagherà per l’ affitto dello Stadio.
9. ma, allora, di chi è lo stadio?
L’impianto infatti non sarà di sua proprietà.
E’ la stessa società ad affermarlo nel proprio prospetto informativo emesso in occasione dell’ultimo aumento di capitale: «lo stadio sarà autonomo ed indipendente rispetto alla società. La realizzazione del progetto non vedrà il coinvolgimento economico finanziario della società. La Roma vi potrà giocare alle condizioni fissate in un accordo con Euronova (Parsitalia) ed AS Roma SPVLLCC.” Così James Pallotta si troverà, a negoziare il canone di locazione, invece che come accade ora con il CONI per l’Olimpico, con… se stesso.
O ancora, qualora decidesse di “passare la mano”come presidente, resterebbe tuttavia in veste di esattore a vita in quanto proprietario proponente anche grazie alla cosiddetta Legge sugli stadi (legge n.147 del 27.12.2013 / Legge stabilità 2014) che, al comma 304, stabilisce come “il soggetto che intende realizzare l’intervento presenta al comune interessato uno studio di fattibilità, a valere quale progetto preliminare (..) e corredato di un piano economico-finanziario e dell’accordo con una o più associazioni o società sportive utilizzatrici in via prevalente”. Si chiama comma legislativo sugli stadi ma gli stadi sono un optional! Di fatto il via libera ad usare una cosiddetta necessità (in questo caso rappresentata dallo stadio) per costruire non un intervento di tipo spaziale pianificato e rapportato al corpo esistente della città, ma un vero e proprio programma “estrattivo” di denaro intorno quel corpo.
Lo stadio di Tor di Valle e i meccanismi come intende “costruirsi” è il primo progetto che definisce Roma come metropoli all’interno della città come luogo della produzione.
Unicredit è uscita dalla società. A fronte della possibilità di guadagnare,e molto, ha scelto di finanziare non l’iniziativa edilizia-urbanistica, intesa come oggetto spaziale secondo il classico finanziamento – costruzione- rientro con interessi, ma il programma “immateriale” legato all’iniziativa attraversato dai flussi di cassa continui che quest’intervento produrrà. Sull’intorno più che sull’infrastruttura “madre” dello Stadio
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Ora Pallotta, che insieme al fondo Starwood, e la sua cordata Usa Neet, ha acquistato da Unicredit le sue quote, possiede il 91 % della società Neet, ma di fatto ha il controlla totale attraverso il fondo Raptor Capital Management (sempre di Pallotta) che possiede il restante 9% del capitale azionario. Alla comunicazione dell’acquisizione le azioni sono cresciute del 13% anche perché il gruppo Starwood ha manifestato la propria intenzione di crescere nell’asset proprietario. Starwood è uno dei principali big del mercato immobiliare americano e opera in stretta unione con AEG (presente all’incontro con Marino nella grande mela) un gruppo che controlla, o direttamente o con associate, oltre 100 strutture nel mondo sul tipo di quelle che si vorrebbero tirar su nell’ansa del Tevere. A Los Angeles, a Kansas City, nell’ Ontario, a Oakland, a San Diego, a Miami, a New York, ma anche a: Pechino, Stoccolma, Doha, Amburgo, Berlino….
Lo stadio della Roma non è della Roma. Paradossalmente, il suo pesante ingombro di cemento che si porta dietro, per ripagare l’investimento e guadagnare, da tutto dovrà essere costituito, ma non da residenze se non quelle alberghiere.
10. e, oltre lo stadio, cosa c’è?
Ci sono le nuove condizioni dell’abitare a cui vogliono costringerci.
Trascinandoci nel peggioramento delle condizioni della mobilità che, già pesante in quella zona, sarà impossibile per tutta la città, quando il 50% dei frequentanti per cui è prevista l’accessibilità con mezzi privati si troverà a guadare una zona che storicamente quando piove si allaga, va sott’acqua ed è perennemente a rischio. Nello stabilire di fatto che cosa fare, quale funzioni insediare e come realizzarle sarà compito esclusivo del proponente, commissariando in modo definitivo le scelte di pianificazione dell’Amministrazione. Nel procedere disinvoltamente con un “fare” che cannibalizza senza alcun riguardo risorse naturali e preesistenze ambientali. Nel negare che il far cassa attraverso progetti compensativi è una falsa economia per la città e solo un lusso dispotico per chi ne beneficia. Nel decidere che le cubature previste possono essere aggiunte in sommatoria alle tante previste dal Piano Regolatore e nel non riconoscere la possibilità di “far riposare la terra”. Che, quando ciò avviene, se ne sottragga altrettanto, a saldo zero, da quelle previste (oltre 20 milioni di metri cubi) dallo strumento urbanistico. Che puntare sul trasporto pubblico non deve significare accettare i regali di chi, in cambio del necessario riconoscimento della pubblica utilità, aggiunge pezzetti di rotaia dove gli è più comodo al posto, come in questo caso dovrebbe essere condizione preliminare, raccordarsi alla linea su ferro forte esistente (FM3 stazione di Muratella) e, da li, tracciare il nuovo sistema di collegamento fatto di tracciato e carrozze.
Non di un misero rammendo come richiesto da Marino per altro realizzabile con assolutamente insufficienti 50 milioni di euro. Che fare spianate di parcheggi a corredo dell’intervento, assolutamente indifferenziati per le funzioni sportive o meno che si svolgeranno, serve solo a depotenziare il trasporto pubblico e a rendere impermeabile una quantità impressionante di suolo. Che l’interesse pubblico richiesto non può essere negoziato smontando e rimontando pezzi a secondo di necessità e convenienze economiche di chi propone l’intervento. Che parlare di sicurezza vantandosi d’aver strappato a mister Pallotta uno spazio completamente video sorvegliato è la militarizzazione di uno spazio. Non è questa la sicurezza che un luogo simile richiede. Questa deve essere rappresentata innanzitutto dal non rischiare il disastro idrogeologico di un territorio particolarmente fragile.
Lo stadio dei padroni della Roma man mano che si costruisce, anche con gli elaborati progettuali e i ripetuti “lanci”, descrive Roma come metropoli, non può fare prigionieri, non può concedere tregue o riconoscimenti di sorta.
E’ un modello che si serve dell’Amministrazione Capitolina solo per ricevere le ultime superflue indicazioni relative a dove ha deciso di esprimere tutta la sua forza. I singoli pezzi, romani e nazionali, del Partito Democratico che hanno fatto di questo avvenimento uno schierarsi tra due cartelli di costruttori blanditi dall’ormai organo ambientalista (sic) “Il Messaggero” sono proprio il dito che guardano invece di vedere la luna.
La luna è la AS Roma spa che ha lanciato, in linea con il proprio futuro edilizio, la propria campagna abbonamenti con slogan del tipo “siamo a caccia di nuove prede”. “La caccia ricomincia” sponsorizzando così questo progetto che si vuole appropriare in maniera dispotica di ogni risorsa del comune.
E’ la lotta della finanza. Così fa territorio. Non è una questione urbanistica, ma il chiaro disegno di chi ha deciso di impossessarsi della città.