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IMPASSE Roma Berlino. Blow-up dell’abitare
Due quartieri di edilizia pubblica, lontani nello spazio, dialogano fra di loro e con la città contemporanea. Questo è quello che ci propone Pasquale Liguori in “IMPASSE Roma-Berlino” attraverso una sequenza di immagini capaci di entrare nei dettagli di quell’abitare
«Corviale esige l’assenza di ogni pregiudizio» è la premessa dalla quale prende l’avvio lo splendido lavoro fotografico su quel quartiere. Non è stato questo lo sguardo di chi, fin dalla sua nascita, ha raccontato Corviale come luogo dell’esclusione, un ghetto dal quale gli abitanti sarebbero voluti scappare, senza riconoscere che quel quartiere era stato privato della realizzazione dei servizi che avrebbero dovuto organizzare lo spazio circostante, previsti e finanziati fin dall’inizio. Non si è voluto vedere che si è scelto di non far vivere quegli spazi, di drammatizzare l’abitare popolare, privandolo di ogni servizio e della necessaria manutenzione. Quei poveri abitanti dovevano accontentarsi di un tetto sulla testa.
L’occhio di Liguori lo scruta senza pregiudizio. Nei dettagli delle torri dei corpi scala, nella vasta cavea deserta e abbandonata, all’interno degli spazi di distribuzione, nei quali si scorgono i segni della presenza di chi lì abita. Solo segni, i corpi sono assenti nelle immagini. Parlano per loro le architetture, l’orizzonte della pianura che da lassù si estende fino al mare. Un lungo edificio posato su una collina a segnare il confine ovest della città, è Corviale, il Piano di Zona n.61, uno di quellirealizzati a Roma nel decennio 1974 – 84.
In quegli anni l’abitare di molti romani è rappresentato da grotte, baracche, tuguri disseminati su tutto il territorio. Distese di lamiere e tavole di legno costruiscono 57 baraccamenti dove vivono 62 mila persone. La necessità di un alloggio a prezzi calmierati interessa 400 mila persone. In quegli stessi anni si assiste al trionfo della speculazione selvaggia e alla crescita della città secondo la volontà dei proprietari immobiliari. Sempre allora, le masse dei senza casa diventano protagonisti delle lotte che rivendicano case e servizi.
L’amministrazione, con il sindaco Luigi Petroselli, attraverso un imponente piano di edilizia pubblica, arriva a demolire tutte le baracche esistenti, consentendo alle famiglie di trasferirsi nei nuovi alloggi. È l’ultima realizzazione di un vero programma di edilizia pubblica a Roma, che porta la percentuale delle case pubbliche realizzate in quel decennio al 33%. Mario Fiorentino è l’architetto incaricato dallo IACP di progettare quel quartiere. Il committente chiede che sia grande e costi poco. La soluzione proposta è un edificio lungo un chilometro, interamente realizzato con componenti prefabbricati, capace di ospitare 6.000 persone.
Per Franco Purini è «un gigantesco transatlantico orientato tra le ondulazioni del suolo romano, come il resto di una scenografia felliniana» e dichiara che «è l’opera più importante realizzata a Roma in tutti gli anni Settanta e una delle architetture più significative della produzione mondiale di quegli anni. Ha un solo problema: quello di essere portato a termine, seguendo le indicazioni di Fiorentino. Vale a dire liberare il quarto piano da coloro che lo occupano e installare lì i servizi che l’idea originaria prevedeva».
Per Bruno Zevi «è un gesto coraggioso, anzi temerario, che oggi viene facilmente contestato quale dottrinario. Va invece letto come un energico segno sul territorio, un solido “fermo” all’espansione caotica, disomogenea e squallida. Possiamo prevedere che, esaurita una spiegabile fase polemica, a questo intervento, pur criticabile sotto certi aspetti, saranno riconosciuti plurimi meriti».
Il gigantesco transatlantico è fissato dagli scatti di Liguori, che riescono a rappresentare magnificamente quel confine contrapposto alla melassa indistinta che lo circonda.
Se oggi valutiamo la vivibilità del quartiere secondo i parametri europei (la qualità dell’aria, i parcheggi, il verde, i servizi) dobbiamo riconoscere che Corviale risponde in maniera egregia. È ben collegato, ha una dotazione di verde sopra la media, ha spazi per i bambini e per lo sport maggiori di altri quartieri a Roma, ha un centro polivalente attrezzato con una biblioteca, un centro di formazione e orientamento al lavoro, un incubatore d’impresa, spazi commerciali.
Chi lo abita è stato capace, nonostante lo stigma che lo ha accompagnato da sempre, di creare una comunità che condivide con gli altri cittadini le difficoltà di vivere nella vasta area urbanizzata che è Roma, come racconta Maria Immacolata Macioti nel testo di presentazione del lavoro.
Il lavoro di Liguori non si ferma a rappresentare Corviale, ma continua con il contrapporre/confrontare una realizzazione avvenuta nello stesso periodo a Berlino, quando la città era ancora divisa dal muro. A Marzahn, quartiere della zona est, c’è il più grande dei complessi residenziali edificati nella Repubblica Democratica Tedesca, con 65 mila appartamenti costruiti in quindici anni a partire dal 1978. Anche qui le immagini lavorano catturando dettagli degli imponenti edifici prefabbricati Plattenbau, modello edilizio rapido ed economico. La storia del quartiere viene raccontata da Andrej Holm nella dettagliata introduzione
La nascita di Marzhan rappresenta la bandiera di prestigio della DDR, e la realizzazione della promessa di creare 50 000 nuovi alloggi per la fine degli anni ’80. Non solo case, ma anche servizi, ampie aree verdi, nuovi istituti scolastici e strutture sportive. Marzahn appena costruita era apprezzata dai suoi giovani abitanti proprio per la qualità delle unità abitative e per la dotazione dei servizi. Tutto è cambiato con l’unificazione della Germania. Intorno a Marzahn si è costruito il racconto «dell’ottusa violenza della politica immobiliare della RDT, del regresso sociale».
Uno stigma anche in questo caso, che serve a demonizzare l’abitare popolare.
Dopo la riunificazione il distretto ha subito la perdita di 50 mila abitanti, è stata oggetto di interventi di ristrutturazione che ne hanno cambiato le caratteristiche. La popolazione è cambiata, con l’arrivo di immigrati provenienti dall’ex blocco sovietico. Oggi si assiste a un ritorno degli abitanti attratti dai prezzi dell’affitto molto più bassi di altri quartieri in piena gentrificazione.
Le immagini piene di empatia raccolte in questo volume ci raccontano che esiste una possibilità di riscatto fra le architetture che hanno rappresentato l’ambizione di poter costruire un’altra città. Usando le parole dell’autore «strutture coi loro abitanti che meritano di essere centrali nel dibattito organizzativo e di sviluppo della città, con molte opportunità di promozione di solidarietà e di dignitoso benessere in un’Europa decontaminata da discriminazioni, intolleranza e ingiustizia. L’impasse è da superare».