EUROPA
AidBrigade: anche in Bosnia la solidarietà ai migranti è sotto attacco
Il 21 maggio l’associazione AidBrigade che si occupava di fornire assistenza ai migranti a Sarajevo è stata chiusa e i suoi volontari banditi dal paese. L’azione si inscrive in una dinamica di crescente criminalizzazione della solidarietà e di gestione securitaria dei flussi migratori
La criminalizzazione della solidarietà non è solo pratica nostrana. Nei giorni in cui si parla di Carola Rackete e dell’attacco frontale delle istituzioni italiane a tutte le persone e le associazioni indipendenti che tentano di solidarizzare con le persone migranti – che in Italia significa salvarle in mare ma anche lottare contro CPR e Hotspot per un’accoglienza degna e per la libertà di movimento – fa bene guardare a quello che succede in questi mesi sull’altra sponda dell’Adriatico, lungo la famigerata rotta balcanica.
Il 21 maggio scorso è stata chiusa l’associazione AidBrigade a Sarajevo.
L’associazione si occupava di gestire un centro di accoglienza nel quale veniva fornita assistenza medica e un pasto caldo, oltre a un luogo dove potersi riposare e trascorrere qualche momento di quiete. Nonostante venissero servite centinaia di persone ogni giorno, non si raggiungeva che una parte della popolazione migrante presente a Sarajevo.
Con un post sulla pagina Facebook, AidBrigade ha annunciato la cessazione di ogni attività in seguito alla visita ricevuta da parte di venti membri armati del corpo di polizia e dell’SFA (Service for Foreigners’ Affairs) bosniaco.
I volontari che si trovavano in loco sono stati fermati e portati negli uffici dell’SFA, dove hanno subito un interrogatorio e gli è stato notificato il bando dal paese per un anno, con l’accusa di “disturbo della quiete pubblica”, “assistenza illegale ai migranti” e “volontariato con un visto turistico”. I volontari arrestati non avevano infatti una situazione di residenza regolare in Bosnia: molti di essi erano rimasti nel paese molto più a lungo dei tre mesi consecutivi concessi dal visto turistico, ed altri non avevano nemmeno la white card, il documento che attesta il domicilio anche temporaneo nel paese, necessario anche per brevi permanenze.
Inoltre, AidBrigade non era ancora registrata come ONG nel paese, sebbene avesse fatto richiesta cinque mesi prima: alcuni volontari hanno riferito che alla richiesta di informazioni sullo stato della domanda di registrazione la polizia abbia risposto: «Vi avremmo comunque notificato il rifiuto a breve.»
L’SFA ha inoltre addotto come motivazione non ufficiale il rischio di avvelenamento dei migranti e ha scoraggiato altri cittadini ed associazioni bosniache dal preparare cibo in modo indipendente per evitare di diffondere malattie infettive.
La procedura seguita dal governo bosniaco è formalmente corretta, in quanto la legge effettivamente esige un visto apposito per svolgere attività di volontariato, ma la prassi indica che fino a questo momento tale requisito non era mai stato richiesto, nonostante le interazioni con la polizia fossero state per forza di cose numerose.
Quello che colpisce della vicenda è l’assoluta arbitrarietà del governo, che ha colpito una tantum una delle associazioni indipendenti che negli ultimi anni hanno operato in Bosnia, senza nemmeno tentare la via del dialogo.
Quest’azione denota quindi una volontà politica da parte delle autorità bosniache: quella di negare la possibilità ad associazioni indipendenti, internazionali e non, di essere solidali con i migranti e i richiedenti asilo.
La gestione dell’accoglienza in Bosnia è demandata quasi interamente all’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM), un’agenzia ONU che gestisce tutti i campi ufficiali per migranti su appalto del governo. Nonostante la presenza sul territorio di quest’agenzia, la popolazione migrante sfugge in buona parte al sistema ufficiale e preferisce dormire in ostelli in cambio di lavoro, a casa di cittadini di buona volontà o in squat.
La maggior parte delle persone preferisce non avere a che fare con il sistema ufficiale, per paura di restare intrappolati in Bosnia, e anche chi è costretto si lamenta per la scarsa qualità del cibo, per le situazioni abitative estremamente disagianti e per la mancanza di cure mediche.
Con l’avvicinarsi dell’estate, il numero di persone in movimento attraverso la Bosnia è cresciuto e prevedibilmente non diminuirà fino all’arrivo dell’inverno.
La popolazione di migranti attualmente presente in Bosnia è stimata intorno alle ottomila persone; nel solo cantone di Una-Sana, nel nord-ovest del paese, sono presenti all’incirca quattromila migranti, in attesa di tentare la sorte per attraversare i confini di Croazia e Slovenia e arrivare finalmente nello spazio Schengen. Anche in questo cantone, le condizioni si sono fatte sempre più dure per queste persone: alla fine di maggio, parte del campo di Velika Kladusa, una cittadina di confine all’estremo Nord-Ovest del cantone, è bruciata, causando circa 30 feriti; in seguito a ciò le tensioni tra i migranti di diversa provenienza sono aumentate e sono scoppiati violenti scontri che hanno provocato l’arrivo in città della polizia speciale antisommossa e l’arresto di circa 20 persone, oltre alla fuga dal campo di una parte dei migranti che hanno scelto di dormire in strada pur di evitare le violenze. In questo quadro, le autorità del cantone hanno ideato un nuovo campo nella località di Vucjak e hanno chiesto fondi all’UE. Nonostante il rifiuto, la costruzione del campo è stata avviata, anche se per ora è difficile prevedere come evolverà la situazione, data la totale assenza di infrastrutture sul luogo. Nel frattempo però le autorità hanno rastrellato a Bihac, la capitale del cantone, qualsiasi migrante si trovasse fuori dal sistema di accoglienza ufficiale gestito dall’OIM e a portarli nel campo.
È evidente che l’obiettivo delle autorità statali e regionali della Bosnia sia una completa transizione securitaria nell’approccio al flusso migratorio, in barba a qualsiasi standard umanitario. Lo sgombero di AidBrigade si inserisce in questa dinamica, anzi stupisce la facilità con cui il governo sia riuscito a prendere di sorpresa e impreparata l’associazione stessa. Viene da pensare che l’unico motivo per cui la Bosnia non sia ancora riuscita a organizzare un regime confinario e di gestione dei flussi ferreo come quello croato sia che sta attraversando una gravissima crisi economica e istituzionale.
La prospettiva per i migranti si fa dunque sempre più tetra, stretti come sono in una morsa tra le violenze e i respingimenti illegali della polizia croata al confine e la situazione sempre più caotica e instabile in Bosnia.
Foto di copertina di Chris Leslie