ITALIA
La leggenda nera di via Rasella: ancora revisionismo sul Corsera
Federico Argentieri firma un articolo dal titolo I comunisti e via Rasella. L’attentato inspiegabile. Di inspiegabile, però, rimangono solo le posizioni di chi vuole ancora delegittimare una delle più grandi azioni partigiane
Se ci sono delle costanti nella storia italiana, una di esse si può certamente rintracciare nella difficoltà a considerare legittima la pratica della resistenza, tanto di quella attiva quanto di quella passiva. Una tendenza che percorre trasversalmente la storia d’Italia e arriva fino all’odierno ciclo politico reazionario, con la proposta contenuta nel “pacchetto sicurezza bis“ di inasprire le pene non solo per chi si oppone a pubblici ufficiali praticando una resistenza attiva, ma anche per chi ne pratica una passiva, utilizzando «scudi e altri oggetti di protezione» ai «materiali imbrattanti».
È in questo contesto culturale, dunque, che nel corso degli ultimi settant’anni si è radicata una delle più potenti leggende nere della Resistenza italiana, quella che riguarda l’attentato partigiano di via Rasella e il suo legame con la strage delle Fosse Ardeatine. Non si vuole, ovviamente, diventare banali affermando che il discredito gettato su via Rasella serva a legittimare i provvedimenti odierni, o alludere a ciò. Ma certamente l’uno e gli altri pongono le loro radici nello stesso humus politico e culturale, generalmente attendista e ostile alla resistenza attiva.
Momentanea ultima puntata della “leggenda nera di via Rasella” è stata la pubblicazione sul «Corriere della sera» del 12 maggio di un articolo intitolato I comunisti e via Rasella. L’attentato inspiegabile a firma di Federigo Argentieri, professore di Scienze politiche alla John Cabot University. L’articolo, sicuramente più inspiegabile dell’azione partigiana di cui parla, fa riferimento al «peso di gravi omissioni, reticenze, errori compiuti sia in ambito politico che storiografico» e innalza a faro in queste tenebre i libri pubblicati da Pierangelo Maurizio, dipinto come un perseguitato che «ha dovuto pubblicare tutti i suoi libri (molto spesso citati) in proprio, come i dissidenti dell’Est sotto il comunismo, per il rifiuto opposto da molte case editrici». Che Maurizio sia citato è indubbio: lo è, però, come autore di tesi revisioniste e per nulla convincenti.
Giornalista del «Tempo», del «Giornale», del «Borghese», di «Libero», oggi della «Verità» di Belpietro – quotidiani sulla cui onestà intellettuale qualcosina si potrebbe eccepire – Maurizio è autore non solo di un volume su via Rasella intitolato Via Rasella, cinquant’anni di menzogne pubblicato nel 1996, ma anche di uno su piazza Fontana in cui mette in discussione l’esistenza della strategia della tensione (Piazza Fontana, tutto quello che non ci hanno detto). Un bel tipo, insomma.
Proprio Maurizio, inoltre, nel 1996 aveva firmato il celebre articolo sul «Tempo» in cui furono mostrate per la prima volta le presunte foto del corpo senza vita di Piero Zuccheretti, il tredicenne che rimase accidentalmente vittima dell’attentato di via Rasella, poi riprese con grande clamore dal «Giornale». Nel 2003 la corte d’appello di Milano condannò Feltri – allora direttore del «Giornale» – e l’editore del quotidiano a versare 45mila euro al gappista Rosario Bentivegna – che materialmente il 23 marzo 1944 portò la bomba a via Rasella – come “risarcimento danni” per aver pubblicato tali fotografie, giudicate dei falsi.
Nonostante sull’inattendibilità di Maurizio sembrerebbe esserci poco da discutere, sulle colonne del «Corriere» vengono riproposte acriticamente le sue tesi, giungendo a questa conclusione: «la verità è che l’attentato e la rappresaglia aspettano ancora di essere ricostruiti in modo convincente. […] L’azione fu decisa in ambito comunista senza consultare gli altri partiti del Cln. La rappresaglia era prevedibilissima e decapitò la componente della resistenza filo-monarchica, e della sinistra non comunista o non affiliata al Cln».
Il fatto che l’attentato e la rappresaglia non siano ancora stati ricostruiti in modo convincente è un’affermazione del tutto aleatoria: cosa non convince Argentieri? Cosa vorrebbe fosse meglio indagato? Certo, ci sono delle discrepanze nelle memorie dei protagonisti degli attentati (anche tra quelle di Rosario Bentivegna e di Carla Capponi, entrambi presenti sul luogo, che in seguito si sposarono e che dunque avrebbero avuto tempo per “escogitare” una versione alternativa e solida, se avessero voluto nascondere qualcosa), ma da qui a dire che le ricostruzioni attuali non siano convincenti ce ne passa. Anzi, le discrepanze sono generalmente proprio una manifestazione del fatto che ci si trovi davanti a memorie disinteressate.
Che l’azione non fosse stata decisa senza consultare il Cln è, invece, del tutto scontato: all’interno del Comitato di liberazione nazionale i partiti avevano piena autonomia per quanto riguardava la lotta armata e i tentativi dei democristiani, dopo la strage delle Fosse Ardeatine, di sconfessare pubblicamente l’attentato di via Rasella furono arginati dagli altri partiti, compresa la destra liberale, il cui rappresentante affermò che il Cln doveva assumersi la piena responsabilità di tutte le azioni armate contro il nemico.
Quanto alla presunta “decapitazione” di correnti di resistenza ostili al Pci si tratta di un’invenzione. Scrive Ranzato nel suo recente volume La liberazione di Roma (tra l’altro richiamato sul «Corriere» nel colonnino accanto all’articolo), che
il PdA [Partito d’azione] ebbe, tra tutti i partiti antifascisti, il più alto numero di vittime nella rappresaglia, oltre 40, e il PSIUP circa 15. Quale pericolo costituissero quegli uomini tra cui non emergevano personalità ostili al PCI, che di vittime ne ebbe 29, non è dato sapere. Anche l’eliminazione dei 20 ufficiali che furono uccisi alle Ardeatine non sguarniva di certo granché i comandi dell’esercito badogliano qualora si fosse dovuti arrivare con esso a una prova di forza. Tanto meno può avere fondamento la tesi che l’attentato avesse di mira l’annientamento del gruppo dirigente di Bandiera Rossa, tra le cui 32 vittime accertate della rappresaglia soltanto 7 […] possono considerarsi dei quadri direttivi, mentre altri di questi o furono fucilati dai tedeschi in più occasioni al Forte Bravetta oppure in buon numero si salvarono. L’eventuale persecuzione da parte del PCI non ha del resto impedito che fin dall’immediato dopoguerra una gran quantità dei militanti di Bandiera Rossa confluisse nelle file del Partito Comunista. (pp. 415-416)
Posto che il libro di Maurizio a cui si fa riferimento è uscito oltre 20 anni fa (nell’articolo si cita una nuova edizione del 2017, alla quale però non si trova accenno nel sistema bibliotecario nazionale) e che da allora molto altro e molto di meglio è stato scritto in merito. È l’articolo stesso del «Corriere» a risultare inspiegabile, anche alla luce del fatto che l’occhiello parla menziona una polemica. C’è una polemica in corso su via Rasella? Ci sono novità storiografiche? O le uniche polemiche sono sempre le solite palle revisioniste che vanno avanti imperterrite da decenni e alle quali, evidentemente, il «Corriere» ha deciso di prestare il fianco?
Accanto all’articolo una colonnina fa riferimento alla pubblicazione del recente libro di Ranzato, ma – come abbiamo visto – nell’articolo di Argentieri il contenuto di questo volume (non sempre condivisibile sotto il profilo politico, ma certamente misurato e circostanziato) non viene minimamente tenuto in considerazione. Tra l’altro, insieme al volume di Ranzato, nella bibliografia di libri su via Rasella proposta fa bella mostra anche il Diario inedito (1943-44) di Luigi Federzoni, cioè di uno dei principali gerarchi fascisti, poi condannato all’ergastolo dall’Alta corte di giustizia dopo la guerra (e amnistiato nel 1947). Francamente uno che è un po’ difficile considerare come degno di avere qualcosa da dire sull’attentato di via Rasella.
Se si volesse parlare del binomio via Rasella-Fosse Ardeatine e farlo con uno sguardo rivolto alle novità, si potrebbe fare. Poche settimane fa, proprio su queste pagine, si parlava ad esempio della piattaforma documentale sperimentale ViBia (Virtual Biographical Archive victims of Fosse Ardeatine), attraverso la quale si sta elaborando una raccolta di oggetti, dati, ricordi scritti e orali di testimoni e familiari delle vittime delle Fosse Ardeatine. Un tentativo che guarda alla complessità, alle contraddizioni e al dolore e che, per questo, è tutt’altro che facile.
Se si volesse, appunto.