ITALIA
Dannata detenzione. Mappa delle carceri italiane, prima parte
Nelle carceri continua a morire una persona ogni tre giorni. È così da vent’anni, un arco di tempo durante il quale più di mille detenuti si sono tolti la vita. Eppure, le condizioni in cui versa il sistema penitenziario italiano dovrebbero essere ben conosciute dai parlamentari, se non altro perché i deputati lo scorso 27 marzo hanno ricevuto la mappa completa e aggiornata in 400 pagine della reclusione italiana, cioè, la relazione annuale sulla detenzione (del 2018) che il Garante Nazionale Detenuti, Mauro Palma, ha presentato al Parlamento
Un suicidio alla settimana. Un morto, per le cause più disparate, ogni tre giorni. Sono i numeri, le cifre fredde dei decessi nelle celle italiane, nei primi tre mesi del 2019. È un bollettino di guerra che si continua ad aggiornare, di anno in anno. Come ha rilevato in vent’anni di attività l’Osservatorio sulle carceri Ristretti Orizzonti nei penitenziari italiani si muore costantemente, «a causa dell’assistenza sanitaria disastrata, per overdose, per la volontà del detenuto di togliersi la vita, o, in alcuni casi, accade anche che qualcuno di loro muoia per cause e in circostanze, non del tutto chiare». Il centro studi di Padova ha calcolato che dal 1990 a oggi sono decedute in carcere 2915 persone (i dati sono aggiornati a ieri) e, tra questi, più di un terzo sono stati classificati come suicidi
Nel carcere di Viterbo si muore spesso. L’ultimo decesso in cella è avvenuto qualche giorno fa, lo scorso 29 marzo, nel carcere di Viterbo. Si è trattato di un omicidio; come le cronache hanno riferito «un detenuto indiano, già arrestato lo scorso febbraio per tentato omicidio, ha ucciso un altro detenuto, un uomo italiano di 61 anni, suo compagno di cella, dopo averlo colpito con uno sgabello. La lite sarebbe scoppiata per futili motivi». E in riferimento all’episodio, il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Francesco Basentini era intervenuto subito con una nota stampa, annunciando di «aver chiesto l’invio delle relazioni di servizio, al fine di poter ricostruire l’esatta dinamica dei fatti e valutare eventuali profili di responsabilità da parte del personale». Scatenando, quindi, uno scontro con il sindacato della polizia penitenziaria che da parte sua non le aveva mandate a dire all’«esimio dott. Basentini», replicando che «forse le responsabilità andrebbero ricercate in tutti quei politici e quei burocrati dell’Amministrazione Penitenziaria, che tanto si sono adoperati affinché strutture come gli O.P.G. venissero frettolosamente chiuse, per pulirsi le coscienze e per accontentare i diktat europei». E ancora: «questi sono i risultati di scelte scellerate; pazzi criminali costretti a condividere spazi e celle con persone più o meno normali». Punti di vista. Quel che è certo è questa vicenda ha acceso da qualche giorno i fari della politica sul carcere di Viterbo, tanto che il ministero della Giustizia ha inviato qualche giorno fa gli ispettori. Non soltanto. Il “carcere dei suicidi”, come era stato battezzato il carcere Mammagialla di Viterbo, aveva ricevuto dieci giorni fa anche la visita del Consiglio d’Europa che ha inviato in Italia una delegazione del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, «con l’obiettivo di esaminare la condizione dei detenuti sottoposti al regime 41-bis e all’isolamento». Che più di qualcosa non funzionasse all’interno del penitenziario laziale era già noto. Come aveva denunciato la scorsa estate il presidente dell’associazione Antigone, Patrizio Gonnella, commentando la notizia del terzo detenuto morto dall’inizio dell’anno nella casa circondariale di Viterbo, il secondo suicida in cella d’isolamento «questo è il segnale di un malessere diffuso le cui cause devono essere portate pienamente alla luce», aveva detto Gonnella. E ancora, il Garante detenuti del Lazio, Stefano Anastasia. aveva riferito allora che: «l’uomo in questione, Hassan Sharaf, un detenuto egiziano di 21 anni trovato impiccato nella cella di isolamento dove era stato trasferito da appena due ore, alla nostra delegazione che lo aveva incontrato qualche mese prima aveva confidato di aver subito violenze e aveva paura di morire». Di più, il Garante detenuti del Lazio aveva raccontato che «Sharaf mostrava alcuni segni rossi su entrambe le gambe e dei tagli sul petto che gli sarebbero stati provocati da alcuni agenti di polizia che lo avrebbero picchiato il giorno prima». Non soltanto. Questa vicenda era finita, insieme alle denunce di altri detenuti, in un esposto inviato dal Garante alla Procura locale, il 5 giugno scorso del 2018. E, sempre riguardo al “carcere dove si muore spesso”, più di recente il Tribunale di Viterbo ha condannato due medici per il reato di omicidio colposo, «perché non offrirono una giusta e adeguata assistenza medica al detenuto», l’ex brigatista Luigi Fallico, morto di infarto il 22 maggio 2013 nella cella numero 25 del carcere di Viterbo. Storie, di violazioni dei diritti fondamentali nei penitenziari italiani, che sono ben note. Così come le criticità di tutti i luoghi della pena, del resto, sono ben conosciute dai parlamentari italiani.
Nel corso di un anno difficile per i diritti, ha spiegato il Garante nazionale Mauro Palma, preposto al controllo e prevenzione della tortura e dei trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti: «Abbiamo monitorato, visitandoli, centinaia di luoghi di privazione della libertà: carceri, luoghi di polizia, centri per gli immigrati, le Residenze sanitarie per le misure di sicurezza (REMS) le quali hanno sostituto gli Ospedali psichiatrici giudiziari». E tanta strada c’è ancora da fare per rendere effettive le tutele dei detenuti, ha lasciato intendere Palma; l’occasione è stata lo scorso 27 marzo, quando è stata presentata la Relazione annuale al Parlamento del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale. Nel discorso introduttivo davanti al Presidente della Repubblica e alle più alte cariche statali, Mauro Palma ha avvertito «del rischio evidente di uno scivolamento da un diritto penale centrato sul reato, a un diritto penale centrato sull’autore, sul nemico, su intere categorie di soggetti in virtù del loro status: i soggetti socialmente deboli connotati da povertà, bisogno e desiderio di abbandonare i propri luoghi di origine. È chiaro qui il riferimento al rapporto tra la privazione della libertà e i processi migratori e su questo il Garante ha ammonito che «la relazione tra infanzia e istituzioni conduce a dire alcune cose sul difficile anno trascorso nell’affrontare i processi migratori verso l’Europa e il coinvolgimento diretto o indiretto che i minori hanno in tali contesti». E cioè, ha continuato Palma: «per esempio, le prassi frettolose in materia di accertamento dell’età dei migranti, rischiano di attenuare la garanzia assoluta di tutela dei minori che è vanto del nostro Paese». Ricordando, poi, alle istituzioni repubblicane riunite che «il rischio è ancora maggiore nel contesto del loro trattenimento a bordo di navi per periodi prolungati prima che venga concessa la possibilità di sbarco».
La privazione della libertà delle persone migranti, del resto, è un aspetto della detenzione che sta molto a cuore a Palma, che proprio sul caso della nave Ubaldo Diciotti era intervenuto più volte la scorsa estate, nella convinzione che «sia dovere del Garante nazionale esercitare il proprio controllo non solo sui luoghi in cui la privazione della libertà è formalmente e giuridicamente definita, ma anche sulle situazioni in cui essa si verifica de facto». Concetti, questi, che Palma aveva espresso qualche mese fa nel corso di una lunga chiacchierata avuta nel suo ufficio romano e che, data la sensibilità, ribadirà, si presume oggi, quando nella Sala Igea dell’Istituto della Enciclopedia italiana, a Roma, sarà presentato il volume Norme e normalità. Standard per la privazione della libertà delle persone migranti, una pubblicazione che raccoglie l’insieme delle raccomandazioni relative alla privazione della libertà, sia de iure che de facto, inoltrate tra il 2016 e il 2018 dal Garante nazionale alle autorità competenti. E sarà proprio sulla privazione della libertà delle persone migranti, negli hotspot, nei centri per i rimpatri, nei Cie, la seconda parte di questa sorta di mappa della reclusione italiana, un viaggio-inchiesta dentro la dannata detenzione.