ITALIA
“Se le nostre vite non valgono”: lo sciopero femminista invade l’Italia
Per il terzo anno consecutivo lo sciopero femminista dell’8 marzo conquista le piazze di tutta Italia. Interruzioni dal lavoro, assemblee, azioni e cortei hanno composto una costellazione di pratiche e intrecciato le lotte dentro e fuori il mondo del lavoro.
Centinaia di città in 50 paesi in tutto il mondo, più di 40 solo in Italia si sono riempite di presidi, cortei, assemblee, azioni di lotta per lo sciopero femminista dell’8 marzo. Un’indefinibile esplosione di iniziative variegate che hanno trovato per un giorno convergenza e linguaggi comuni: vertenze sindacali per il miglioramento delle condizioni di lavoro; rivendicazioni generali per l’autodeterminazione e contro la dipendenza economica; mobilitazioni per il ritiro immediato del Ddl Pillon di riforma della separazione e dell’affido, contro il decreto sicurezza, per il diritto alla salute universale e per l’accesso all’aborto, contro la violenza di genere e i femminicidi. Lo sciopero di quest’anno ha posto al centro la guerra alle donne portata avanti dalla maggioranza di governo ma anche il razzismo istituzionale montante, due dinamiche che stanno diventando ormai tratto comune di molti governi a livello globale.
La giornata di mobilitazione si è chiude con un’invasione delle piazze di moltissime città italiane: più di 50mila persone hanno inondato Roma, 20mila a Milano, 10mila a Bologna. A Torino il corteo della mattina, autorizzato, è stato bloccato dalla polizia ed è ripartito solo per la determinazione delle manifestanti. Migliaia anche a Napoli, Pisa, Alessandria, Firenze, Benevento, Brescia, Salerno, Venezia, Cagliari, Catania, Fano, Genova, Grosseto, L’Aquila, La Spezia, Livorno, Lucca, Macerata, Palermo, Pavia, Pescara, Reggio Emilia, Salerno, Trento, Verona, Treviso, Padova, Lecce, Cosenza e in molte altre città. Nei cortei gli interventi dai camion alternano i motivi dello sciopero con esperienze di vita, rivendicazioni del movimento femminista con attacchi alle politiche sessiste del governo. La denuncia degli abusi sul corpo delle donne si intreccia a quella della violenza economica, dentro e fuori i posti lavoro. Soprattutto, rimbalza l’emozione di abitare insieme lo spazio pubblico delle città e riconquistare protagonismo politico.
I dati che circolano sull’adesione allo sciopero parlano di una forte crescita rispetto allo scorso anno. In alcuni settori come la scuola, la sanità e i trasporti, l’adesione è stata altissima (fino al 70% in alcune regioni), determinando in alcuni casi la chiusura di molti luoghi di lavoro. Mezzi pubblici fermi o dimezzati nelle principali città. Una forte crescita nonostante l’ostinata e ostentata indifferenza dei sindacati confederali – quando non l’esplicito boicottaggio – e il sostanziale silenzio mediatico. Lo sciopero ha contato sul sostegno dei sindacati di base e indipendenti (come Usb, Cobas e le Clap) e sulla partecipazione di alcune organizzazioni di categoria locali della Cgil: eppure il successo dello sciopero nei posti di lavoro è stato soprattutto l’esito di una campagna di agitazione diffusa, che in modo molecolare in questi mesi ha attraversato il paese suscitando discussioni nei posti di lavoro e mobilitando le lavoratrici ben oltre l’appartenenza alle sigle sindacali.
Oltre i dati sull’adesione la caratteristica saliente e forse più significativa dello sciopero femminista è proprio il fatto di rivolgersi a coloro che non possono scioperare, a quell’invisibile galassia di lavoro di cura e informale, di lavoro gratuito e non riconosciuto che muove silenziosamente l’economia. Quest’anno, la scommessa politica è stata soprattutto quella di investire sulla diffusione delle iniziative e la moltiplicazione e l’apertura alle forme più svariate di partecipazione allo sciopero. Flash mob, cortei studenteschi, pedalate, azioni dimostrative, happening, speakers’ corner e lezioni in piazza. A Milano un’azione di fronte all’Agenzia delle Entrate, esponendo una grande banconota rosa, ha ribadito la necessità del reddito di autodeterminazione. Centrale la questione del reddito anche al presidio davanti al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dove si è tenuto un incontro tra Non Una Di Meno-Roma assieme ad alcune vertenze (Anpal, Istat, Sogesid, Sistri, Sky) e il vice di gabinetto nel Ministero. Al centro dell’incontro, le critiche alle misure economiche del governo e al carattere familistico, condizionato e discriminatorio nei confronti delle persone migranti del reddito di cittadinanza gialloverde.
L’opposizione al Decreto Sicurezza e alle politiche di chiusura dei porti ha attraversato tutte le mobilitazioni, mostrando il legame che esiste tra le forme di discriminazione delle e dei migranti ai confini prodotti, dall’interno, dalle molte facce della precarietà. A Roma, mentre davanti al Viminale un intreccio di nastri ha allestito un confine fittizio rivendicando libertà di circolazione, dal camion le madri dei ragazzi tunisini scomparsi in Italia ha riconosciuto nel corteo femminista uno spazio per far risuonare la loro battaglia.
A Pisa un concentramento mattutino di fronte all’Inail ha chiesto il riconoscimento delle malattie professionali causate dai forti carichi del lavoro ripetitivo. In Emilia Romagna le operatrici e gli operatori del sociale hanno animato uno sciopero regionale.
La giornata dell’8 marzo ha smesso definitivamente di essere quel rituale stanco e svuotato di senso. Quando tre anni fa la nuova ondata dei movimenti femministi ha voluto riappropriarsi della data trasformandola in un appuntamento per uno sciopero globale, sembrava difficile che quella sfida potesse riuscire. Possiamo dire oggi che per il terzo anno consecutivo quella sfida politica è stata vinta.
Ma lo sciopero dell’8 marzo non è solamente un passaggio di qualità per i movimenti delle donne. È anche una sfida lanciata dalla nuova onda femminista alla natura stessa dello sciopero. Con l’8 marzo lo sciopero smette di essere una proprietà esclusiva delle centrali sindacali per diventare una prerogativa – e un’arma – di tutte le sfruttate e gli sfruttati. Un punto di connessione tra il lavoro produttivo e quello riproduttivo, tra quello retribuito e quello gratuito e invisibile.
Mai come in queste giornate di lotta, le differenti dimensioni dello sfruttamento e dell’oppressione hanno trovato tanta visibilità e mostrato i fili spesso nascosti che le lega tutte insieme: per questo lo sciopero femminista è uno sciopero sta facendo saltare le barriere tra l’economico e il politico e i confini che separano le lotte all’interno dei singoli paesi. Da questa scommessa politica non possiamo più tornare indietro, ora che abbiamo visto che un nuovo internazionalismo e una nuova potenza delle lotte è possibile.
Foto di copertina di Daniele Napolitano