ROMA
Valerio Verbano: nessun anniversario da celebrare, ma una memoria da vivere al presente
Oggi, 39 anni fa, l’omicidio di Valerio Verbano. Come ogni 22 febbraio una grande manifestazione antifascista attraverserà le strade dei suoi quartieri. Le ragioni di un ricordo che non è una celebrazione e che, fuor di retorica, è sentito nel corpo vivo delle lotte di oggi.
L’ho detto già altre volte, per l’anniversario di Valerio, e voglio ripeterlo: per lui tempo trascorso e ricordi non esistono, e la memoria di lui deve essere solo e soltanto al presente. Anche la parola “anniversario” è comunque stonata, troppo formale e celebrativa,e va cambiata o abolita. Ricordiamocene. Allora: ancora una mia testimonianza. La sua uccisione, ancora e forse per sempre rimasta senza giustizia (amo ribadirlo…) segna “sempre” la mia persona: la mia emotività, la mia razionalità, la mia etica, la sfera delle mie relazioni private e pubbliche, il mio impegno culturale e politico.
Ho sempre cercato di obbedire a questo mio motivo d’essere in maniera sempre coerente e di usare di questo mio “patrimonio” in maniera utile, collettiva e costruttiva: accanto a Carla e alla sua meravigliosa esistenza, insieme alle compagne e i compagni di allora e di nuove generazioni, quando mi è stato possibile. Quasi sempre nel contesto, se non nel cuore, delle lotte e delle tensioni che negli anni hanno caratterizzato il tessuto sociale di questo quartiere, settore non secondario della nostra città, dei suoi cicli di produzione e di riproduzione. Altro non credo sia giusto aggiungere, che mi riguardi. Più in generale, dunque: parliamo di Valerio e di noi. Il tempo si libera dai nostri freni e ci dice che non abbiamo vinto; ma anche che non siamo mai stati veramente sconfitti: perché abbiamo continuato a tentare. Ce lo conferma anche questo nostro ritrovarci oggi intorno a Valerio come se la sua non fosse un’assenza, ma una querida presencia nel qui e nell’ora di questo nostro “esserci”.
Nello spazio mai lineare e a dimensioni multiple delle nostre speranze, dei nostri sogni, dei nostri orizzonti d’attesa – e dunque del nostro (tentativo di) agire antagonista, ribelle e irriducibile. Molte cose ci costringono ad ammettere che oggi tutto è più difficile, che tutto è più incerto. È vero in buona parte: ma è anche vero che nella realtà di questi giorni, di questi anni, le grandi lotte e i grandi temi che si affollavano sulla scena in cui, con Valerio, noi ci sentivamo protagonisti, antifascismo, giustizia sociale, uguaglianza e libertà della persona, riscatto dal lavoro, assalto alla “metropoli” del capitale e delle istituzioni, diritto a essere “altri” e altrove ci sono tutti.
E dunque la strada è sempre aperta davanti a noi. Soprattutto perché, ricordiamocelo, noi non abbiamo mai veramente pensato di poter arrivare a un traguardo, a una tranquilla meta, a un approdo sicuro: anche per questo è stato più giusto e più bello metterci in marcia e cercare di avanzare, a marce forzate quando abbiamo potuto; o a passo più lento, se le circostanze ce l’hanno imposto, ma mai troppo stanco. Penso, e non mi si accusi di retorica se lo affermo, che in definitiva questa sia l’unica certezza di cui disponiamo. È soprattutto per questo che anche oggi, come sempre, più ancora che il dolore vivo per la sua fine, più ancora che la nostalgia e il rimpianto per ciò che non è stato e poteva essere, noi dobbiamo a Valerio e al suo “tempo eterno”, in cui c’è ancora posto per attesa e speranza, una continua, sempre più forte riconoscenza.