ROMA

Uno, due, tre… dieci clochard morti a Roma

A Roma 14mila persone vivono in mezzo alla strada. Si trovano in condizioni al limite della dignità umana, trovano rifugio in baracche, sottopassaggi, parchi pubblici, lungo gli argini del Tevere. Il Piano Freddo del tutto insufficiente messo a punto dall’amministrazione non ha impedito la morte di dieci di loro.

Il primo è stato trovato il 29 ottobre vicino a San Pietro, un mese dopo a San Lorenzo il secondo. A dicembre sono tre, di nuovo a San Pietro, sulla sponda del Tevere all’altezza di Testaccio e a ponte Marconi. Le temperature in picchiata che porta il nuovo anno allungano la lista. Sono cinque in soli quindici giorni.

Quando un passante li trova sono corpi ancora avvolti da cartoni e coperte, con le quali hanno inutilmente cercato di ripararsi dal freddo. Accanto qualche busta con tutto quello che possedevano. Qualche volta un cane che li veglia. Di loro non si sa quasi nulla. L’età è apparente. La nazionalità incerta. Il freddo probabile causa della morte. Sono numeri di un elenco infinito di uomini e donne che vivono in strada. E in strada spesso muoiono.

La loro è stata una scelta? O non avevano altra scelta? Sono morti nel sonno o hanno battuto i denti fino a quando il loro cuore non si è fermato? Chi dovrà essere avvisato della loro morte? Non ci sono mai le risposte.

Solo numeri. E allora vediamo se i numeri ci danno indicazioni.

A Roma sono 14 mila le persone che vivono in strada, secondo il rapporto presentato dalla Caritas. Si trovano in condizioni al limite della dignità umana, trovano rifugio in baracche, sottopassaggi, parchi pubblici, lungo gli argini del Tevere. La maggioranza dei senza fissa dimora non ha la residenza anagrafica, alla quale sono legati i diritti civili e sociali. Una persona senza residenza è inesistente, non può avere un medico di base né usufruire di prestazioni sanitarie, ma solo accedere al Pronto Soccorso nelle situazioni di emergenza. È inesistente anche per lo Stato: non può avere carta d’identità e patente di guida, non può votare, non può partecipare ai bandi di assegnazione di case popolari, iscriversi alle liste di collocamento, né accedere a misure di sostegno, non può stipulare un qualunque contratto.

Molti sono finiti in strada a seguito di uno sfratto, evento finale di una catena di fragilità. Roma, con 6.700 provvedimenti di sfratto emessi e 2.927 eseguiti, è la città con la situazione più drammatica. Il 90% di questi è dovuto a morosità. In graduatoria, in attesa di un alloggio popolare, ci sono 12500 persone, 3000 vivono nei residence, 250 hanno diritto all’assistenza alloggiativa. Gli studenti fuori sede che abitano a Roma sono 85.000, solo 2.000 i posti letto messi a disposizione dalla Regione. Numeri che non riescono a comprendere tutti quelli che vivono in alloggi di fortuna, in campi informali, lungo gli argini del fiume. Restano invisibili anche per i numeri.

A Roma sono 100 le occupazioni di edifici lasciati a lungo vuoti. Assicurano una casa a 12.000 persone. Si parla di sgomberi, senza pensare a soluzioni alternative per gli occupanti. Come è avvenuto alle 100 persone di via Vannina a giugno e alle 200 di via Costi a settembre, quando sono stati sgomberati gli immobili occupati per la maggior parte da migranti fuoriusciti dai circuiti istituzionali dell’accoglienza.

Persone che si spostano in nuovi luoghi andando ad aumentare il numero di chi vive in mezzo alla strada o in ruderi urbani. Come è avvenuto per lungo tempo nello stabile della Penicillina sulla via Tiburtina, sgomberato il 10 dicembre con una delle operazioni di polizia più costose e mediatiche della storia. Delle 600 persone che lì vivevano ne erano rimaste appena 40, mentre le altre si erano già allontanate per trovare rifugio in altri accampamenti informali. Uno di questi a Tor Cervara è stato sgomberato nei giorni scorsi. Uomini e donne lasciati ad aggirarsi per le strade di questa città, invisibili a chi dovrebbe offrire loro aiuto, indicati come causa del degrado.

Prendiamo in esame altri numeri. Il Comune assicura quotidianamente 1075 posti letto. Sono stati integrati con il Piano Freddo operativo dal 10 dicembre, con 486 posti per l’accoglienza, e con il Piano Gelo con ulteriori 100 tra stazione Tiburtina, stazione Termini e Casa di Riposo di via Ventura. Vengono poi aperte la notte le stazioni metro di Piramide e Flaminio. Questo è l’abitare che la Capitale d’Italia offre ai suoi cittadini più deboli.

Troppo poco secondo la Comunità di Sant’Egidio, rispetto al bisogno espresso da quelle 8000 persone che vivono all’aperto. Numero destinato ad aumentare nei prossimi mesi come conseguenza della legge Salvini che vedrà i richiedenti asilo mandati via dai centri dove oggi sono accolti. Per loro non ci sarà altra soluzione che la strada.

Andranno ad accrescere il numero degli invisibili e purtroppo anche la lista dei morti di freddo. Ma è davvero il freddo che uccide? O è l’indifferenza nei confronti della loro sofferenza?