approfondimenti

MOVIMENTO

L’attualità inattuale di Elvio Fachinelli

Nel superamento di ogni dualismo e dicotomia, così come nel riconoscimento di un solco di costante dialettica tra le vaste e inafferrabili temporalità che ci abitano, la riflessione di Fachinelli si configura in pieno una «ricerca unitaria» che ha tessuto le linee dell’insubordinazione

Una delle ragioni dell’oblio che è caduto sulla figura di Elvio Fachinelli, nonostante le sue analisi sulla modificazione dei confini tra individuo e società, natura e cultura, inconscio e coscienza, siano oggi più attuali che negli anni ’70 e ’80, va cercata proprio nell’originalità di una ricerca che ha contrapposto fin dall’inizio “prospettive impensate” alla «tragica necessità del dualismo».

Convinto che l’“insubordinazione”, la «rottura pratica delle regole imposte» fosse «il cuore di ogni politica», Fachinelli non poteva ignorare gli effetti rovinosi della dialettica che ha spinto gran parte della specie a ricorrere a dicotomie astratte e a mantenerle in vita una volta esaurito il loro valore simbolico. La scoperta dei “nessi” che ci sono sempre stati tra un polo e l’altro – la sostanziale inscindibilità del soggetto umano – delinea, fin dagli anni ’60, quello che sarà il percorso inconfondibile della sua “avventura” teorica e pratica, le «nuove strade» che veniva proponendo contemporaneamente alla psicanalisi e all’agire politico.

«Freud vide emergere lentamente, al di là della barriera della coscienza, l’essere mutilato, conculcato, che siamo costretti a chiamare corpo, con i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue ramificanti fantasie. A questo viluppo di rapporti, che si sarebbe rivelato straordinariamente complicato, egli diede il nome di sessualità […] per la prima volta la ragione esplora ciò che in apparenza le si è sempre opposto come antiragione – quel caotico mondo della notte che […] è sempre stato sentito, secondo le parole di Novalis, come la nostra ‘patria’ più segreta. […]  E infatti gli angeli e i mostri che popolano questa notte si rivelano a poco a poco famigliari […] “Io mi sono limitato al pianterreno e alle fondamenta dell’edificio” […] E qui probabilmente è anche uno dei momenti di affinità profonda con la critica della coscienza borghese elaborata da Marx una cinquantina di anni prima, sulla base del disvelamento di un altro rimosso, l’inconscio socioeconomico».[1]

Sul rapporto individuo e società, psicanalisi e politica, Fachinelli ritorna più volte negli scritti giornalistici e nelle interviste, che coprono circa un trentennio: un materiale prezioso che non può essere considerato solo un’appendice dei suoi libri. Se con la fine dei movimenti non autoritari degli anni ’70 – la rivista L’erba voglio, il movimento giovanile del ’77, le radio libere, ecc. – la ricerca condotta nell’ambito della relazione analitica sembra prendere il sopravvento sull’impegno politico, la lettura che Fachinelli stesso dà di questa “svolta” conferma che l’orientamento iniziale non è cambiato.

 

Compito della psicanalisi resta la domanda «cosa sia l’uomo» – l’attenzione verso ciò che non è noto, l’inatteso, il sorprendente; il suo fallimento storico: «non essere riuscita a intervenire, se non occasionalmente, nei luoghi in cui si forma l’individuo socializzato».

 

Attualità e inattualità, presente e passato, continuità e imprevisto, intelligenza personale ed elaborazione collettiva, non ubbidiscono a “passaggi meccanici”, il rimando reciproco non è quello di causa-effetto o del discorso lineare, ma dei “movimenti improvvisi”, della frattura. A tenerli insieme è la possibilità della “ripresa” aperta a nuove, impensate soluzioni. L’esigenza antropologica che porterà Fachinelli negli anni ’80 ad esplorare strati percettivi e cognitivi della mente tenuti ai margini, disconosciuti, perché sentiti come «minacciosi per l’Io ben individualizzato», non è la rinuncia al suo precedente impegno politico ma la sua estensione.

 

«Sono sempre diviso tra l’interesse per ciò che mi passa accanto in un preciso momento e un uso più profondo, più personale e intenso del tempo. Vorrei dire quasi un uso solitario».[2]

 

«Sono diventato più silenzioso e attento; più ricettivo forse. Non credo più, se ci ho mai creduto, alle asserzioni, allo stile affermativo o perentorio, ai discorsi d’impostazione e di programma. Ciò che è importante arriva dal fondo, dal silenzio, da una specie di passività. Il che non vuol dire: lentamente; no, anzi a volte vuol dire: bruscamente, all’improvviso, ma sempre dal fondo, come una voce diversa e insieme sempre chiara, limpida (…) Ho imparato a vivere il discontinuo, a non pretendere passaggi di sicurezza là dove non ce ne sono, o perlomeno là dove non ne conosco. Forse meglio dire: sopportare l’angoscia. Meglio ancora: sopportare la solitudine. (…) Mi accorgo allora che i programmi fatti, per esempio a partire da un certo libro, tendo a perderli, a scartarli. Sono deviato da un interesse più urgente, più fresco. Anche se dopo, a cose fatte, mi è possibile vedere che in fondo sono andato avanti nel solco di una linea presente anche prima».[3]

 

 

L’“estatico”, inteso come «la possibilità di uno sguardo dilatato, una visione più ampia e più profonda di noi stessi, un’esperienza a cui partecipa tutto il corpo», è meno distante di quanto si potrebbe pensare da quella «passione dell’uomo», da quella «molteplicità di manifestazioni di vita umane» di cui parlava Marx, e che Fachinelli rimprovera alla tradizione marxista di non aver saputo cogliere.

La “gioia massima”, che Freud aveva rifiutato sentendola come eccessiva e pericolosa, richiama non a caso la categoria del desiderio che compare negli articoli del ’68-’69, a proposito della «dissidenza giovanile» e del movimento non autoritario.

 

«Nel ’68, e in generale nella mia pratica politica, io non ho mai aderito alla concezione marxista. Proprio nel ’68 ho scritto un saggio intitolato Il desiderio dissidente: nel Movimento io trovavo proprio questa categoria di desiderio, con tutte le sue enormità, il suo senso di morte, anche. Tanto che fui attaccato dai marxisti. Per cui, secondo me, c’è una grande continuità nel mio lavoro di allora e di oggi».[4]

 

La critica che Fachinelli aveva fatto alla società dei consumi negli scritti del ’68-69 parte da un presupposto analogo a quello che lo porta ad attaccare con particolare durezza tutte le istituzioni che promettono sicurezza in cambio di subordinazione, obbedienza, passività, «perdita di sé come progetto e desiderio», non esclusa la Società di psicanalisi, “fortezza burocratica” che forma e seleziona «analisti senz’anima», «personalità smussate, arrotondate, senza spigoli». Contro la dipendenza, la passività attendista, che risorge come risposta all’isolamento e al senso di impotenza riattivando necessità elementari – sopravvivenza, nutrizione, calore –, il richiamo è sempre all’individuo, all’assunzione di responsabilità in prima persona, al “viaggio” che porta a ritrovare all’interno di se stessi un «patrimonio comune» di esperienze, di sogni, di risorse vitali insospettate.

Anche in quella singolare «conversazione conoscitiva» che è l’analisi, dove «c’è uno che parla il più liberamente possibile e uno che sta a sentire», ci sono esperienze personali variamente stratificate che emergono per entrambi gli interlocutori, in modo imprevedibile, sia pure «a tempi spostati», “per sincopi”, senza un vero dialogo.

Psicanalisi e marxismo, assolutizzando l’una l’infanzia e la vita del singolo, l’altro i rapporti di produzione, hanno finito per diventare due ideologie e svuotare di senso l’unico luogo – l’intelligenza personale – da cui far ripartire ogni volta la relazione con se stessi e col mondo.

Il rapporto individuo-società, tempo lineare della storia e tempo soggettivo fatto di salti e imprevisti, filo conduttore dell’inesauribile curiosità intellettuale di Fachinelli, ritorna in una trasmissione radiofonica del 1989, l’anno della sua morte. Il riferimento è a Freud e ai fenomeni collettivi, ma vi si può leggere quella che è stata la più profonda convinzione di tutta la sua ricerca.

 

«Il problema della società si configura così non come una semplice amplificazione dei problemi del soggetto individuale, ma in un certo senso come una situazione di mescolanza, se non di capovolgimento, in cui il soggetto individuale è già intrinsecamente, all’origine, connesso al suo gruppo sociale, alle sue appartenenze esterne. E questo non per un legame che gli venga imposto dal di fuori, ma proprio come fondazione della sua stessa soggettività».[5]

 

Aver ridotto l’individuo a “scarto”, residuo della totalità sociale, e il corpo a natura imperfetta, innominabile dell’umano, confusa con la matrice femminile della vita, ha impoverito e ingabbiato il mondo della recettività e delle esperienze più creative. Ma ha permesso anche che crescesse nelle viscere della storia un rimosso capace di deformare l’uomo e la sua civiltà «dal di dentro». Sorprese, imprevisti – prima ancora di arrivare alla messa a tema delle “illuminazioni” dell’estatico – scandiscono come un contrappunto il «viaggio privato» che Fachinelli va facendo sia attraverso la singolare «figura storica» del rapporto analitico, sia nei gruppi di autoformazione e iniziativa politica. Nello sguardo di un esploratore e ascoltatore di se stesso, che come Freud non esita ad addentrarsi nel «caotico mondo della notte», il rimosso della storia prende figure e nomi. Gli angeli e i demoni che popolano la nostra “patria” più segreta lasciano un secolare esilio per entrare impercettibili in una quotidianità che scopre così nuove forme del “reale” e del “possibile”.

 

All’origine delle scissioni che conosciamo, tra corpo e pensiero, individuo e società, attività e passività, destino dell’uomo e della donna, c’è sempre l’impostazione maschile, la «potenza virile».

 

«L’estatico come la possibilità di uno sguardo dilatato, di una visione più ampia, più profonda di noi stessi […] intendo l’accoglimento come capacità di vivere queste esperienze in se stesse senza rinnegarle. In questo senso ho parlato di un atteggiamento femminile, non certo per definire uno statuto o un privilegio della donna in quanto tale, ma per contrappormi all’idea del femminile come situazione all’ombra del maschile, modellata sul maschile e quindi inevitabilmente sentita come deficitaria rispetto ad esso […] Ho accennato anche a un intreccio maschile e femminile. Nella situazione estatica vi è una sorta di resa; una pacificazione anziché una guerra, un rapporto con se stessi e col mondo diverso rispetto a quello vigile comune, che è sempre più o meno intinto di violenza e di aggressione».[6]

Freud, Rilke e la caducità (1989), Il dono dell’imperatore (1989) parlano, indirettamente, della vicenda personale, dell’avvicinamento a una morte annunciata, ma sono non a caso anche gli scritti di massima apertura verso il mondo, la ripresa delle prospettive impensate che erano già emerse nell’«innamoramento collettivo» del ’68, nelle «nuove istituzioni d’amore» tentate da una generazione «adolescente, indecisa, staccata o renitente rispetto alla realtà produttiva dei paesi d’occidente», protagonista di una rivoluzione destinata, come il desiderio, a ripresentarsi nel futuro. In un articolo del ’76, Il denaro dello psicanalista, il nesso che congiunge le esperienze collettive degli anni ’70 al viaggio che Fachinelli farà poi in solitudine all’interno di se stesso appare già chiaramente delineato nell’idea di un tempo, non lineare, del mutamento, un tempo dove i “salti” e le “fratture” rappresentano paradossalmente la condizione stessa della “ripresa”.

Per due grandi indagatori della felicità, come Freud e Fachinelli, le strade dell’individuo e della collettività, dell’inconscio e della storia, sono evidentemente inseparabili.

 

Estratto dal libro L. Melandri, L’attualità inattuale di Elvio Fachinelli, ipoc press, Milano 2014.

 

 

 

[1] I protagonisti della storia universale, vol. 12, Il mondo contemporaneo, CEI (Compagnia Edizioni Internazionali), Milano 1966, pp. 365-91.

[2] Che tempo fa sull’albero dei lupi? Intervista di G. Buzzati, Alfabeta, n. 11, marzo 1980, pp.11-13.

[3] Dal fondo, come una voce diversa. Intervista di G. Englaro, Uomini e libri, 16, 81, novembre-dicembre 1980, p.76. In occasione della pubblicazione del libro La freccia ferma (1979).

[4] Dal movimento all’estasi. Intervista di E. Rasy, Panorama, 19 marzo 1989. In occasione della pubblicazione del libro La mente estatica.

[5] Freud e i processi collettivi. Interventi di Fachinelli (Milano, 15 settembre 1989) nel programma Percorsi freudiani, realizzato da F. Marchioro, con la regia di L. Giudiceandrea, per la terza rete RAI di Bolzano.

[6] Conversazioni sull’estasi, in Agalma. Rivista di ricerca psicoanalitica, n. 2, dicembre 1989, pp. 133-141.