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Il viaggio di Edipo alla radice dell’umano
Un estratto da “L’attualità inattuale di Elvio Fachinelli” nel quale emergono le traiettorie di una ricerca che è in ogni suo passaggio «scoperta e ritrovamento» e che segna un itinerario che è allo stesso tempo psicoanalitico, culturale e politico, capace di offrire una prospettiva rovesciata di lettura e interpretazione.
La rilevazione dei “nessi”, dei rapporti interindividuali attraverso cui l’individuo si forma come tale, comincia già con Freud come una sorta, dice Fachinelli, di nexologia umana (dal latino nexus: legame, intreccio), che include il corpo come parte in causa e interlocutore. È merito dunque del padre della psicanalisi aver tentato una scienza dell’individuo «sulla base di una peculiare interrelazione tra il bambino e l’altro, gli altri, che si prendono cura di lui» all’inizio della vita, e che sono per lui contemporaneamente «i rappresentanti dell’universo simbolico».
Ma è Fachinelli che, in modo originale, riconosce in questo processo di formazione degli individui, un «ritmo temporale» diverso da quella corsa verso la morte che è la «coazione a ripetere» per Freud.
È quello che viene definendo come «il paradosso della ripetizione»: la tendenza delle esperienze più intense e significative fatte nell’infanzia a ripresentarsi, a voler essere rivissute, e non solo ricordate. Ma, proprio per questo, dal momento in cui cadono in un contesto di realtà diverso, c’è la possibilità che il gioco si riapra e avvenga un cambiamento.
Questa teorizzazione avviene tra il 1971 e il 1973 e ha presente dichiaratamente l’evoluzione della «breve, intensa, esclusiva» stagione rivoluzionaria del ’68 verso forme chiuse, settarie, di organizzazione – i gruppi marxisti-leninisti, le gerarchie, la dipendenza, la passività di massa –, le stesse che erano state prima criticate nella sinistra e nel sistema di dominio.
Un cambiamento che volesse essere processo di umanizzazione, rispondente a quella «passione dell’uomo» di cui parla il giovane Marx – più volte citato da Elvio negli scritti degli anni ’70 –, doveva andare alle radici dell’umano, toccare zone che la storia ha rimosso o confinato nella natura, scavare dentro l’uomo stesso, in quel passato che non ha mai smesso di essere una «presenza reale», qualcosa che «urta nel presente e insiste per la propria reincarnazione e ri-soluzione futura». Anche la lotta con la Sfinge psicanalitica dovrebbe avere il senso di una conquista: «la decifrazione dell’umano da parte dell’uomo» (Che cosa chiede Edipo alla Sfinge? in Il bambino dalle uova d’oro, cit.).
Negli anni ’70, questa “radicalità” Fachinelli la riferisce alla politica. Nello scritto Masse a tre anni (in Il bambino dalle uova d’oro, cit.) – riflessioni a margine dell’esperienza fatta nell’asilo autogestito di Porta Ticinese –, dopo aver constatato quanto siano precocemente interiorizzati i comportamenti di una società violenta, «tra il fascista e il mafioso», conclude:
«Qui la sola politica che abbia un minimo senso liberatorio – una politica necessaria, anche se può apparirci impossibile – è una politica radicale, nel senso marxiano del “prendere l’uomo alla radice”».
Dal punto di vista della ricerca, ciò significava, innanzi tutto, la più radicale ed esplicita messa in questione della contrapposizione duale natura/cultura, e simili (biologia/storia ecc.), cioè l’uscita da quella «dialettica rovinosa» su cui avevano finito per modellarsi anche la psicanalisi e il marxismo, divenuti rispettivamente custodi di saperi opposti e complementari: l’individuo e i rapporti sociali. Alla vulgata marxista Elvio rimprovera di aver cercato la verità degli individui «fuori dagli individui stessi, nell’insieme dei rapporti sociali ‘oggettivi’», cioè l’idea che, tutto sommato, gli individui avrebbero seguito il cammino della Storia.
Alla psicanalisi Elvio riconosceva di aver elaborato «uno specifico campo di osservazione per alcuni aspetti essenziali dell’individuo», ma di trovarsi “disarmata” di fronte a processi sempre più totalitari di intervento diretto sulle condizioni di formazione degli individui. L’uscita dalle contrapposizioni dualistiche significava, in positivo, cercare i “nessi”, i legami che ci sono sempre stati tra aspetti diversi dell’esperienza, ma la cui esplicitazione costituiva un problema della ricerca.
Di politica del desiderio e del bisogno si parla in entrambi gli scritti. Dietro la contestazione di un padre forte e autoritario, figura già sbiadita, si profila un «bersaglio più lontano» e più difficile da portare allo scoperto, un fantasma di società che abbina a un’offerta di sicurezza immediata, «completa liberazione dal bisogno», una prospettiva inaccettabile: la «perdita di sé come progetto e desiderio». Al culmine del suo sviluppo, la società dei consumi sembra configurarsi immaginariamente come una madre «saziante e insieme divorante», che offre cibo in cambio di una dipendenza incondizionata, a cui si accompagnano senso di impotenza e angosce di inglobamento.
Il processo di individuazione che si fa strada nel corso della civiltà, attraverso strappi, tagli violenti, distacco dall’involucro che ha fatto di due esseri una «unità compatta» fuori dal tempo, è quello dell’essere umano di sesso maschile, l’unico che abbia potuto raffigurarsi una messa al mondo, al linguaggio, a una storia collettiva di simili.
Identificata col corpo, col processo generativo, col luogo dell’accoglimento, delle esperienze sensoriali e sensuali più intense dei primordi della vita, oltre che con funzioni materne “naturalizzate” e protratte ben oltre il tempo della dipendenza di un figlio, la donna è stata storicamente per l’uomo oggetto primo del desiderio e, forse per questo, trasformata in terra di dominio, in cui continuano a intrecciarsi e confondersi odio e amore, violenza e tenerezza.
Chi può pensare di abbassare le difese e rivivere senza perdersi quel primo passaggio di vita, in cui si è tutt’uno con l’«oceano materno», è solo il sesso che quelle difese ha costruito, affinché la donna gli restasse per sempre madre, nutrimento vitale, fonte inesauribile di una pienezza di vita perduta nel corso della civiltà, garanzia di sopravvivenza ben al di là dei suoi bisogni di bambino.
Definita da un destino biologico senza tempo e senza storia, privata della nascita e della sua esistenza sociale come “persona”, la donna non poteva che perpetuarsi, nei sogni della specie e nelle istituzioni della comunità umana, come luogo di un «desiderio preistorico», cercato e temuto, terra promessa di una «gioia eccessiva» e perciò stesso rimossa, esaltata immaginativamente, come ha scritto Virginia Woolf, e resa storicamente “insignificante”.
Che la maschera di una virilità violenta, pronta alla difesa e all’offesa, fosse legata all’idea di onnipotenza che il bambino attribuisce alla madre, alla donna che ha fatto di una “schiavitù” l’arma di un potere fantasmatico di indispensabilità, Fachinelli l’ha intuito, ma è rimasta una notazione del tutto marginale rispetto alla sua “passione” di uomo-figlio.
Estratto di un testo pubblicato originariamente sul sito di zeroviolenza
Nella foto di copertina, Elvio Fachinelli e Lea Melandri, dall’archivio personale di Lea Melandri