INCHIESTE
Guida (auto)critica all’uso di Tinder in Italia
O meglio, dell’ansia sociale di essere single.
Superati i trent’anni, il tuo feed di Facebook piano piano inizia a comporsi di feste di matrimoni, neonati e molte coppie felici. Non importa che questo sia vero o falso, ciò che importa è che tutte le tue amiche hanno dei partner (e non si chiamano più ragazzi, perché sono proprio relazioni stabili)… e tu no. Tu continui a saltare da una storia fallimentare all’altra e, se del vestito bianco non ti è mai importato tanto, devi però sostenere l’ansia sociale dell’orologio biologico. E di tua zia, tua madre e ora pure tua sorella che ti ricordano del tic-tac del tuo corpo. Alcuni parenti ti chiamano anche da oltreoceano per dirti «Guarda che se non ti sbrighi a trovare qualcuno rimarrai sola a vita».
Ma… incredibile! Tu il tic-tac non lo senti, o comunque non lo vuoi sentire. In realtà, la tua vita da single ti piace. Ciò che trovi difficile di quella che viene definita vita adulta invece è “il restringersi delle cerchie”. La scuola e l’università sono finite e se si lavora (magari da casa), non è più così semplice incontrare persone oltre gli amici di una vita. Che – insomma – conosci già tutti e non sono decisamente opzionabili.
E poi c’è quest’ansia terribile: da un lato, nonostante i trenta, sei ancora convinta che bisognerebbe cambiare il mondo (incredibile, non ti sei lasciata sconfiggere dal cinismo, dall’individualismo e dai “cazzi tua”) e, dall’altro lato, senti la pressione sociale che avanza (non hai un lavoro stabile, non hai una relazione stabile, non hai una prospettiva stabile). Ecco, questi sono gli echi delle voci primordiali che compongono il tuo super-io. E non vogliono affatto tacere.
Così per comporre tutte queste ansie da single trentenne, hai deciso di iscriverti a Tinder. Sconfitti i dubbi, hai lanciato il cuore oltre l’ostacolo e deciso di fare un tentativo. Basta snobismi! Vuoi comprendere se questa app è una schifezza o se davvero può servire a qualcosa. D’altra parte tua sorella convive da due anni con un tipo conosciuto su Tinder. Ma, dato che hai la presunzione di attraversare i fenomeni sociali con occhio critico, hai deciso di scrivere una guida sull’uso e l’abuso di Tinder e la sua influenza nelle relazioni sociali. Poveri ignari usciti con te: mentre cercavi di capire se potevano più o meno piacerti, li stavi anche studiando pensando a quest’articolo. Quindi ogni riferimento a nomi e cose non è puramente casuale, ma realmente accaduto.
L’iscrizione: come aprire il proprio profilo
La prima cosa che devi fare è aprire un profilo. E se qualcuno lo viene a sapere? E cosa penserà la gente? E se si vede sul mio Facebook? Queste sono le principali domande che ti passano per il cervello, mentre cerchi di tenere il tuo profilo il più nascosto possibile, almeno inizialmente. Questo perché Tinder in Italia si porta dietro tutto il senso di colpa che questo paese cattolico ancora attribuisce alla voglia di fare sesso, soprattutto per le donne. In più, si aggiunge la condanna sociale da povera incapace. Scopri, invece, che su Tinder è pieno di tuoi amici e conoscenti: insomma, tutti sentiamo le stesse pressioni sociali e voglie individuali, nessuno escluso.
Con il peso della sfiga che incombe, inizi scaricando l’app.
In ogni caso ti sei decisa: e apri il profilo! Primo step, quindi, evitare che sia collegato con tutti gli altri social (da Spotify a Instagram. Non sia mai che qualcuno si accorga che ascolti musica di merda).
Secondo step, scegliere le foto. Scegli in modo poco convinto – ma con occhio attento – le foto da mettere sul tuo profilo.
E qui emerge già il primo problema di questo mezzo, come per tutti i social in generale: ci dobbiamo mettere in vetrina, ci dobbiamo sponsorizzare, dobbiamo vendere la nostra immagine. Allora ti barcameni tra quelle due ansie di cui sopra, la performance neoliberale e la microresistenza a questo teatrino. Quindi metti delle belle foto, ma non troppo. Pose sì, ma senza esagerare. Selfie, ma non allo specchio. Ora, qui qualche consiglio spassionato: no pose esagerate, no foto con amiche/i dove non si capisce chi sei tu, no foto con figli, e… no foto con gli ex. Insomma sono dei suggerimenti semplici… (ma come ti viene in mente di mettere la foto con la tua ex, su Tinder?!?).
E poi c’è la bio. Ora, qui arriva il secondo problema: che ci scrivo sulla bio? Inizialmente, non ci scrivi niente, troppo presa dall’idea di fare finta che non sia vero che effettivamente ti sei scaricata Tinder. Ma in poco tempo hai capito che la descrizione è necessaria per evitare: militari della Folgore, addominali spropositati, gente che si fa i selfie al bagno dove tu non riesci a vedere altro che la tazza del cesso dietro. Sei così arrivata a una conclusione semplice: sei attivista, femminista, quindi no guardie, no militari, no razzisti e no fascisti. Potrebbe suonare un po’ drastico, ma è meglio chiarire fin dall’inizio. In ogni caso, nonostante tu abbia messo le cose nero su bianco, continui ad essere contattata da gente che la bio non l’ha letta, o se l’ha letta, non l’ha capita. Quindi mai abbassare la guardia. MAI.
Ora, oltre la sponsorizzazione di se stessi, qui sorge un altro problema sull’utilizzo dei nostri dati. Quanti dati stiamo (in)coscientemente regalando a Tinder? E cosa ci può fare? Sul sito si possono leggere le regole sulla privacy. Tinder spiega che i dati raccolti saranno usati per: fornire e migliorare prodotti e servizi; gestire le attività di Tinder; svolgere ricerche e analisi sul tuo utilizzo o interesse per i prodotti, servizi o contenuti; comunicare con te su prodotti o servizi che potrebbero essere di tuo interesse; sviluppare, visualizzare e tracciare contenuti e pubblicità personalizzati; far valere o esercitare qualsiasi diritto dei termini d’uso. E molto altro ancora.
Regaliamo a Tinder una quantità enorme di dati senza conoscerne l’effettivo utilizzo. Per questo la giornalista inglese Judith DuPortail li ha richiesti indietro sulla base delle leggi sulla privacy e si è vista recapitare a casa un plico di più di 800 pagine. Tinder conosceva meglio di lei i suoi gusti sessuali, le sue strategie di comunicazione e di approccio. Questa è la cosiddetta “profilazione” fatta dalle aziende, condotta in genere con il fine di venderti al meglio i loro prodotti. Nel caso di Tinder, i nostri dati sono usati per migliorare la nostra “esperienza online”: in poche parole, l’algoritmo impara dai nostri swipe e cerca di implementare la possibilità di match. Insomma, sarà un algoritimo che ci farà accoppiare! Ci vendiamo ai possibili partner e invochiamo l’algoritmo per diminuire la nostra possibilità di risk managment, come ci spiega Barnaby Lewer. Della serie, pensavi fosse attrazione e invece è puro marketing.
Ecco, forse bisogna essere coscienti di tutto questo, tutte le volte che usiamo un social network, non solo Tinder.
Swipe e Match
Swipe, in italiano si potrebbe tradurre con passare o strisciare. Così funziona Tinder: se uno non ti piace, scarti la foto verso sinistra, se uno ti piace fai scivolare il dito verso destra. Se anche a lui sei piaciuta, è un match! E potete cominciare a inviarvi messaggi.
Ora in questo passaggio da sinistra a destra si esemplifica tutto il valore simbolico della commercializzazione, e del divenire merce di noi stessi. Il nostro profilo è un insieme di foto e qualche riga di bio, e veniamo scartati o scelti solo sulla base di questo, così come facciamo anche noi. Brutto, brutto, ha la pancia (come se tu avessi gli addominali, eh), vediamo le altre foto – selfie in palestra, no ti prego – carino, swipe a destra! Poi ci sono quei momenti in cui ti sbagli e metti super-like a caso, oppure scarti uno che invece – forse – avresti potuto salvare.
Certo, alla fine anche quando sei in un locale inizi a parlare solo con quelli che ritieni interessanti e che incontrano il tuo gusto personale. Ma li stai incontrando in uno spazio, in un tempo e in un luogo dove il loro corpo esiste, e non ne è solo la sua (auto)rappresentazione. Magari quel ragazzo che pensavi non avresti mai potuto degnare di uno sguardo è invece uno che ti fa ammazzare dalle risate e con il quale ti trovi in sintonia perfetta. Insomma, quante persone bellissime e fantastiche hai scartato sulla base di un’occhiata veloce? E con quanti mentecatti e imbecilli parlerai solo perché hanno il “six pack” che oggi va tanto di moda?
Siamo tutti in vetrina. Siamo in vetrina sui social network, dove facciamo vedere agli amici quanto siamo simpatici, intelligenti e festaioli con un post studiato ad hoc per fare il pieno di like. Siamo in vetrina su Linkedin, Addlance, Infojobs, Indeed per mettere in mostra le nostre skills professionali e accaparrarci l’ennesimo lavoro sola, sottopagato e precario. Siamo in vetrina su Instagram, dove speriamo di diventare influencer e dettare la linea su gatti e cibo. E siamo in vetrina su Tinder, sperando di accalappiare una persona che ci faccia sentire meno soli, di avere un partner, o anche solo una serata. «Mamma come vi sieti incontrati te e papà?». «L’ho trovato in offerta al supermercato tesoro».
Eppure per come è strutturata oggi la nostra società, è difficile socializzare con persone che non facciano parte della nostra già ristretta cerchia. Tinder – o app di questo tipo – diventano quasi una scelta obbligata. O almeno, così sembra. Per alcuni funziona, per altri no. Per dirla in parole povere: o vi capita la classica botta di culo – cosa che succede però sempre agli altri – o vi troverete la chat di Tinder intasata da conversazioni mai avvenute, conversazioni lasciate a metà o conversazioni terrificanti.
Chat
E così arriviamo alla chat. La domanda fatidica che ogni uomo-macho-latino-italiano chiede su Tinder è:
«Allora, come mai su Tinder?». Secondo te? No, dico, ma secondo te? Una volta, magari, hai avuto una botta di sincerità e hai deciso di rispondere senza filtri a mister “viva la banalità”: «Tinder me l’ha scaricato mia sorella, perché ha paura che rimanga senza uno straccio d’uomo e per sempre col mio gatto». Inutile dire che non hai più ricevuto risposta, e il tizio ti ha anche levato il match. Pare non abbia colto l’ironia.
Ed è qui – proprio nella chat – che l’uso di Tinder in Italia rivela tutti gli stereotipi di genere, i ruoli imposti del corteggiamento, e l’incapacità del virilissimo macho-latino di comprendere l’emancipazione femminile. Rispieghiamo brevemente alcuni passaggi. Siamo su Tinder perché abbiamo voglia di fare sesso (sì, wow, è incredibile, siamo donne con voglia di fare sesso). E per noi non è una cosa oscena, o di cui ci dobbiamo vergognare. Siamo su Tinder perché vogliamo conoscere persone, ma non con l’obiettivo dell’anello al dito (ecco, capiamo che anche questo sia difficile da comprendere per il macho-latino). Questo non toglie che se da cosa nasce cosa e ci piacciamo, saremo felici di capire cosa fare a quel punto. Insomma, niente paletti.
Bisogna ammetterlo: la maggior parte delle chat sono un nulla di fatto, perché anche gli uomini sembrano avere timore di questa app. In realtà, gli italiani sembrano essere ancora molto restii all’uso spasmodico di Tinder e, nonostante ci siano centinaia di migliaia di persone iscritte, quelle veramente attive non sono poi così tante. Quindi, se in tantissimi Paesi – specialmente anglosassoni – Tinder è un modo per conoscersi e passare del tempo insieme, in Italia ancora si pensa che sia una app solo ed esclusivamente per scopare dopo due ore. E questo alla fine ne riduce l’uso.
In ogni caso, le persone piacevoli e simpatiche ci sono. Sono rare, ma ci sono. Non gente che ti deve piacere per forza eh, sia chiaro. Ma è pieno di ragazzi e ragazze in grado di fare due battute e che spesso hanno in comune con la tua vita più di quanto si possa immaginare. O perché fate lo stesso lavoro, o perché vivete le stesse condizioni di precarietà. Quando incontrerete una persona del genere, penserete «Ma sì, prendiamoci un caffè». Ed è lì che vi tirerete a festa, indosserete le calze a pois che ha Julia Roberts nella pubblicità di Calzedonia e andrete all’appuntamento piene di belle speranze. Spoiler: la maggior parte delle volte, sono disattese.
Dating
Se sei riuscita a superare le domande più idiote, se hai spostato la chat da Tinder a WhatsApp, non ci pensare troppo: è arrivato il momento di incontrarvi.
Che faccio? Mi metto in tiro, ma non troppo? Mutandoni che contengono la pancia e mi fanno sembrare più magra, o tanga sexy che mi entra su per il culo (e inizia a dare fastidio dopo tre minuti)? Deciso: reggiseno di pizzo, e pantaloni push-up! Va beh, pare che ci sono, arrivo cinque minuti in ritardo, ma non troppo.
E ti ricordi che ai tuoi tempi non si facevano gli appuntamenti al buio, e forse è il primo che fai. E se è un cesso, che fai? E se è carino? La cosa incredibile di tutte queste domande è che se le sta ponendo anche lui, anche se forse non lo vuole ammettere. E lo noti, viene con la felpa figa, si è pure pettinato. Forse è carino, e forse intavoliamo una discussione interessante.
Ecco: qui non è una questione di amore romantico, scappatella, sesso, fidanzamento, o cosa ne so. Ma di come uomini e donne possano costruire una relazione paritaria per qualsiasi livello di coinvolgimento si voglia mettere in campo. Eppure questo sembra molto difficile. Nei primi appuntamenti, nelle sveltine occasionali rimediate per caso, siamo sempre trascinati dagli stereotipi di genere e dalla cultura patriarcale, che influenzano il nostro comportamento.
Oltre che da una totale mancanza di educazione sessuale. Ancora oggi, ci sono uomini che dicono di non poter fare sesso con il preservativo o donne che affermano di essere allergiche al lattice, senza aver mai fatto alcuna verifica. O, peggio ancora, che non lo vogliono usare perché al partner non piace. E così, il preservativo in Italia continua a essere utilizzato poco e male. Con il relativo aumento di malattie sessualmente trasmissibili.
Così, ci ritroviamo su una app di dating, che commercializza i nostri dati, che fa diventare noi stesse una merce, mentre siamo sempre meno consapevoli dei nostri piaceri, del nostro corpo, di cosa ci fa godere e di cosa no. App di dating con zie che ancora ci ricordano che “il matrimonio è il giorno più bello nella vita di una donna!”.
Una app di dating che divide con una linea chi è nel mercato – i single che si postano felici e contenti, ma alternano momenti di depressione per la loro condizione di single – e le coppie che si dichiarano amore eterno e si rinchiudono nei tradizionali cliché piccolo borghesi (casa-lavoro-figli). Forse, oltre a superare il binarismo di genere, dovremmo superare questa dicotomia tragicomica tra single e coppie eterne.
Ciò di cui abbiamo bisogno è riscoprire diversi tipi di amore e di piacere sessuale. Riappropriarsi del proprio piacere e della voglia di amare, e della capacità di entrare in contatto con gli altri. Usando Tinder o meno. Ma se una sera vedete una persona carina che vi intriga potreste parlarci, anche prima di aggiungerla su Facebook.
Perché – nonostante tutto – le nostre emozioni non si possono vendere e non si possono comprare. Solo noi le possiamo esplorare. Che sia da soli o in compagnia.