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Hostia. L’innocenza del male
Come si racconta la genealogia di una periferia senza speranza né possibilità di redenzione? Nel libro di Federico Bonadonna Ostia emerge dall’acqua come luogo diviso tra criminalità organizzata e sfruttamento urbano. Popolato da personaggi dalle biografie disperate, il romanzo non si presta a facili soluzioni e vie di fuga, presentandosi allo stesso tempo come radiografia di una città e storia di un’amicizia inaspettata
Hostia. L’innocenza del male (Round Robin 2018) è l’ultimo romanzo di Federico Bonadonna, ambientato sul mare di Roma un secondo prima che tutto crolli. L’intreccio prende le mosse nel 1986 e si conclude all’arrivo del ciclone che porterà via con sé la così detta Prima Repubblica. È ambientato in un mondo diverso del nostro anche se così vicino, in quel periodo febbrile di avvenimenti che è in realtà la calma che precede la tempesta; quando si sente che le cose, così come sono, sono già finite, ma il futuro riusciamo soltanto a scorgerlo.
Elemento fondamentale del racconto è l’acqua. Su una barca nel canale dei pescatori vive Martino, psicologo che lavora per i servizi sociali del municipio. In equilibrio precario tra un lavoro regolare e una vita privata in perenne bilico, ostaggio di troppi nodi irrisolti e di una madre che l’ha legato a sé con i suoi continui ricatti, non riesce a vivere in una casa sulla terra ferma, al massimo a buttare l’ancora in quel canale. Anche quando deve muoversi per arrivare in città preferisce risalire il fiume e attraccare lungo le banchine disabitate e tristi. C’è Ostia nel libro di Bonadonna, quando i clan di mafia e‘ndrangheta si stavano cominciando a fare largo, ma nessuno ancora conosceva il nome degli Spada, tantomeno si sognava mettere in discussione le concessioni balneari, quando era un pensiero che poteva toccare al massimo qualche accanito ambientalista.
Quella città nella metropoli gettata sul mare ancora doveva diventare un cliché da serie tv e Romanzo criminale, ma nei palazzoni delle case popolari si viveva la stessa sofferenza ed emarginazione che passa dai servizi delle trasmissioni di attualità e dei telegiornali dopo un fatto di cronaca grave. Forse era solo più invisibile. Il lato buio degli anni ’80, che diventerà invisibile nei ’90, quando tutti fecero finta di non vedere come interi settori della città venivano occupati dalla criminalità organizzata.
Alla porta di un appartamento di quei palazzoni, costruiti da poco più di un decennio ma già decrepiti, mangiati dalla salsedine e vittime del vandalismo dei loro stessi abitanti, busserà Martino per tentare di salvare Emma, una bambina figlia di una mamma che si prostituisce e saltuariamente fa uso di eroina, e di un padre che fa fuori e dentro la galera. La lingua sprezzante usata con gli adulti e il viso triste di Emma possono essere sovrapposti a quelli di Barbara, la bambina protagonista di Fortunata di Sergio Castellitto, con la sua voce roca e i capelli arruffati. Ma Emma non è solo la figlia di una periferia popolata di disperazione e difficoltà, ma dove assieme all’orrore emerge anche la solidarietà e l’amore, come si vede nella Torpignattara del film, ma nasconde un segreto terribile e l’amore non l’ha mai ricevuto. Nella sua vita non c’è nulla a cui aggrapparsi se non una sorella immaginaria.
A tentare di portare fuori dall’abisso Emma ci penserà Martino, costretto così a fare i conti con il suo di passato e a tirare le somme del suo rapporto con la madre di fronte alla sua malattia che riporta nella sua vita anche il padre, uomo del Partito che attende da sempre il suo momento mentre passa da un letto all’altro. Alla conclusione, nessun lieto fine, il passato lascia le sue cicatrici ma l’amicizia tra Emma e Martino, assieme al tempo, lenisce il dolore e aggiusta le cose: Martino lascerà la sua barca per andare a vivere sulla terra ferma.