ROMA

Casa Internazionale delle Donne: vendetta a 5 Stelle

Al termine di una complicata seduta del Consiglio comunale capitolino, continuamente sospesa per riunioni di maggioranza e dei capigruppo nel goffo tentativo di gestire la folle proposta di mozione presentata da alcune consigliere pentastellate , si è consumata l’inconsulta vendetta della maggioranza 5 stelle contro la Casa Internazionale delle donne. La discussione e il voto si sono svolti tra le rumorose contestazioni delle femministe romane che occupavano tutti i posti concessi al pubblico.

L’origine della mozione è da rintracciare nella relazione alla commissione delle elette stilata dalla consigliera 5stelle Gemma Guerrini (la stessa dei “misurati interventi” sulla vicenda dell’arena cinema di Piazza San Cosimato) nelle cui 11 pagine si liquidava la Casa Internazionale e se ne argomentava il fallimento per inadempienza rispetto agli obiettivi prefissati. La stessa consigliera dunque ha proposto una mozione in cui se ne tirano le conseguenze e si propone di cancellare la Casa Internazionale delle Donne per come l’abbiamo conosciuta finora, per sostituirla con un centro di coordinamento a gestione comunale e la messa a bando dei servizi.

«Riallineare alle moderne esigenze dell’amministrazione capitolina», in questa espressione è riassumibile il contenuto della mozione ma anche l’approccio “ortopedico” della maggioranza rispetto alle pratiche di autogestione, partecipazione democratica e di libera associazione di cittadine e cittadini nella città di Roma.

Non si smentisce l’usurato e odioso tic di additare come corrotte, velleitarie, illegittime le reti di solidarietà e culturali che praticano l’autogestione, retorica utile alla stretta neoliberale sulle città, a Roma passata dalla Giunta Marino per il commissario Tronca fino alla sindaca Raggi. Nessuna discontinuità, insomma, rispetto al passato recente ma anzi un peggioramento del quadro.

Ciò che si prefigura ora è la separazione dello spazio dalle comunità, dai movimenti e dalle storie che lo hanno immaginato, costruito e animato: non un’operazione neutra, quindi, ma un atto violento che trasforma la città.

 

 

Vale la pena qui ripercorrere rapidamente la storia, davvero lunga, della Casa Internazionale delle donne di Roma.

 

«Nato come primo reclusorio carmelitano per laiche, poi trasformato in monastero, il seicentesco palazzo del Buon Pastore a Via della Lungara è stato a lungo il luogo esemplare della subalternità femminile all’ordine sociale e simbolico della Controriforma.
Per oltre tre secoli infatti vi furono recluse donne per lo più giovanissime e povere, imputate di trasgressione dall’ortodossia cattolica (dopo il 1876 di disubbidienza alle leggi dello Stato) alle quali venivano imposti percorsi di ‘pentimento’ individuale e collettivo, attraverso la mortificazione dei corpi e ‘annullamento dell’identità’. E’ evidente, dunque, l’alto significato simbolico della scelta che compirono i gruppi femministi di Via del Governo Vecchio quando, nel 1983, ottennero dalla Giunta comunale l’assegnazione dell’immobile di Via della Lungara, come luogo della cittadinanza femminile».

 

Proviamo ora a riassumerne gli ultimi 40 anni circa. Bisogna partire dall’occupazione nel 1976 di palazzo Nardini a via del Governo Vecchio (stabile di proprietà della regione Lazio oggi alla ribalta delle cronache perché sottoposto all’ennesimo piano speculativo nel centro della città). Fu poi durante la Giunta Vetere che inizia la trattativa per il passaggio al Buon Pastore, tra il 1983 e il 1985 ne viene assegnata una prima parte al Centro Femminista Separatista, che raccoglieva 12 gruppi femministi, per la “gestione collettiva della sede comune”. Nel 1987 verrà poi occupato il resto del complesso, i gruppi a sostegno dell’occupazione sono diventati 46. Fu la Giunta Rutelli nel 1995 a deliberarne la definitiva assegnazione e i lavori di restauro, percorso concluso nel 2001 con la consegna delle chiavi del Buon Pastore e la costituzione del  consorzio della Casa internazionale delle donne.

La Casa è dunque un’istituzione, ma un’istituzione costruita dal basso sulla spinta del movimento femminista romano che ha avuto nell’intenso lavoro sui temi della sessualità, del separatismo, del lesbismo i suoi cardini, intrecciando alla lotta politica la creazione di spazi per l’autodeterminazione delle donne, come fu per i consultori e i centri antiviolenza.

Paradossalmente la mozione che intende cancellare la Casa viene votata lo stesso giorno in cui il Consiglio comunale approva a larga maggioranza l’impegno a promuovere  la giornata internazionale contro l’omotransfobia. Fa riflettere come la ratifica istituzionale assuma, come sempre accade, tardivamente un cambiamento della sensibilità, della cultura e dei rapporti di potere avvenuto grazie alle lotte. E fa riflettere che ciò avvenga contemporaneamente al voto della mozione che cancella la Casa Internazionale delle donne, un luogo simbolico delle battaglie per i diritti civili.

Se risulta sempre più difficile leggere una coerenza negli atti del Consiglio e della maggioranza capitolina – smentita nell’arco di una sola seduta di Consiglio -, risulta evidente come solo i processi  di partecipazione sociale e politica autonoma possono essere motore di trasformazione reale della società.

Di certo istituzioni come la Casa Internazionale delle donne – e come tutti gli altri spazi femministi, sociali e culturali minacciati di sgombero – non sono rimpiazzabili da centri a gestione comunale: chi li gestirebbe e sulla base di quali saperi? Di quali percorsi condivisi? Con quale efficacia? Con quali risultati? E soprattutto, con quali obiettivi? Non si tratta di servizi pubblici ma della costruzione collettiva di spazi comuni, in continua trasformazione e confronto.

La Casa da giovedi scorso è in mobilitazione con il sostegno di tutta la città femminista e solidale. Domenica alle 15 è convocata un’assemblea pubblica per darsi appuntamento lunedì 21 alle ore 18 in Campidoglio, contemporaneamente all’incontro con le assessore Marzano, Castiglione e Baldassarre.

 

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#LaCasaSiamoTutte