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L’irriducibile estremismo del divenire altro dei Motus

È in scena per Romaeuropa Festival dal 31 ottobre fino al 3 novembre al Teatro Vascello di Roma “Panorama”, l’ultima produzione dei Motus. Biografia plurale e visionaria portata in scena da un gruppo interetnico di performers del La Mama, mitico teatro dell’East Village newyorkese, lo spettacolo continua la decennale riflessione del collettivo di Rimini sulla dimensione nomadica dell’identità

Da sempre i progetti dei Motus irrompono sulla scena e la spalancano al di là del teatro. La scena per loro è uno spazio liminale, una soglia, qualcosa che sta fra il dentro e il fuori, fra il vissuto e il rappresentato; e non potrebbe essere altrimenti: è la fedeltà al nome che si sono scelti (motus, participio passato del verbo mòvere, che significa “mosso”) a fargli intendere lo spazio della rappresentazione come una zona di transito in cui sperimentare nuovi modelli, paradigmi, il non-luogo in cui è possibile giocare con i simboli e le appartenenze culturali, dando vita a una riflessione critica sull’individuale e sul sociale. Con la loro ultima creazione, proposta in anteprima italiana al Teatro dell’Arte della Triennale di Milano, ribadiscono questa loro connaturata predisposizione: PANORAMA, come ci ricordano nel testo di presentazione, «è una parola di origine greca formata dalla radice del verbo vederee dalla parola tutto e sulla possibilità di “vedere il più possibile”, di intraprendere nuove avventure esistenziali Altrove, senza barriere o limiti all’orizzonte delle opportunità».

Ci troviamo di fronte a una scenografia astratta in Chroma key (effetto che permette d’“inserire” un’immagine dentro un’altra e ricavarne dall’intersezione tutti i possibili effetti) su cui campeggia la scritta «panorama»; dal fuori campo (dal retropalco; dalla platea; dal fuori sala), uno a uno, invadono il proscenio gli attori della compagnia di La MaMa, uno dei centri più importanti, dagli anni ’60 del cosiddetto Off-Off-Broadway, la casa del teatro sperimentale, con i cui i Motus hanno dato vita, da tempo, a un intenso rapporto di collaborazione. Davanti a loro un cavalletto su cui è poggiata una videocamera. Lo spettacolo richiama la scena primaria da cui esso stesso ha preso vita: i registi, Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, sono infatti partiti da lunghe videointerviste, articolate in 40 domande, agli attori e alle attrici della compagnia. L’idea era di raccogliere materiale biografico (ricordi, episodi minori della propria esistenza; oggetti; fotografie) su cui costruire la drammaturgia. Frammenti di queste interviste appaiono su due schermi posti ai lati del palco; sulla scena invece ogni attore interpreta la vita di un altro, quell’altro che in quel momento si trova a riprendere la performance (ripresa che appare alle spalle del performer), ritrovandosi così spettatore della propria storia.

In PANORAMA ognuno si riflette, duplicandosi, incessantemente nell’altro. Quello a cui si assiste è un ininterrotto riversamento tra l’io e il noi, a una mescolanza che crea un’unica biografia con infinite sfaccettature. Si è spettatori di un divenire paradossale, dove per “paradosso”, come ci ricorda Deleuze, bisogna intendere tutto «ciò che distrugge il buonsenso come senso unico, ma, anche, ciò che distrugge il senso comune come assegnazione di identità fisse». Quello messo a punto è un dispositivo narrativo, così lo raccontano i due autori, «“post-documentario”, che attinge all’esperienza dell’essere attore (e straniero) […], per esplodere in – un caleidoscopico spettacolo – sull’umano diritto all’essere in movimento». Uno spettacolo autenticamente politico, che manda letteralmente in frantumi l’io, per dar vita a un nuovo soggetto finalmente libero dagli argini e dalle pastoie della soggettività. Se di iosi può ancora parlare va però inteso in termini universali, non territoriali, un Io che accomuna tutte le persone in una “sinfonia profonda”, quell’Io che “è un altro”: Je est un autre.

E qui ritorna quell’idea di spazio liminale a cui si faceva riferimento all’inizio: la scena diventa la terra di mezzo dove, scomponendo e frammentando il nostro immaginario collettivo, possiamo riflettere sullo stato delle cose, e che per il suo carattere di possibilità trasformatrice finisce per essere il regno del congiuntivo. Del resto come sostiene Victor Turner, che del concetto è stato il teorico, «proprio come il modo congiuntivo di un verbo è usato per esprimere supposizione, desiderio, ipotesi o possibilità più che per enunciare fatti reali, così la liminalità dissolve tutti i sistemi positivi e accettati dal buon senso […] e “gioca” con essi in modi inesistenti […] nelle consuetudini, almeno a livello di percezione diretta». I Motus chiedono al teatro (e a chi vi partecipa) di rifondarsi attraverso l’irriducibile estremismo del divenire altro (si pensi, ad esempio, al recente MDLSX), un teatro che va pensato come ipotesi di futuro, che ha la forza e la leggerezza di credere che la realtà possa essere diversa da com’è.

Ecco quindi spiegato l’impiego del Chroma keyche si fa strumento tecnico capace di tradurre in chiave scenica tutta questa riflessione teorica: grazie ad esso, fonti diverse (registrazioni, sequenze cinematografiche, riprese in diretta e, ovviamente, atti performativi) si mescolano tra loro all’interno di uno spazio unitario, senza alcuna censura; quello che si realizza è una sorta di montaggio ontologico costruito sulla coesistenza di elementi ontologicamente incompatibili all’interno dello stesso tempo e dello stesso spazio. PANORAMA è un crossover transmediale che ci pone davanti a frammenti di situazioni simultanee in azione reciproca, a una visione stereoscopica. La scena chiede di essere vista con sguardo prismatico e poi ricomposta, come in una sorta di montaggio in macchina, nella mente dello spettatore.

PANOARMA è uno spettacolo che si confronta con la fuga, un concetto che i Motus vogliono però leggere in termini di slancio propositivo: quindi non una fuga da, ma una fuga verso. Non a caso è citata la sequenza di Professione reporter, quella dove Maria Schneider, mentre sfreccia sulla decappottabile con Jack Nicholson, gli domanda: «Da cosa stai scappando?». Lui risponde: «Voltati e guarda indietro». Maria si gira sorride, poi resta a fissare la strada che scorre.