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La casa di carta, tra Spike Lee e Bella Ciao
La serie spagnola è diventata un successo globale e il volto di Salvador Dalí comincia ad apparire nelle piazze. Da dove deriva tanto clamore? Dietro le maschere gli spunti politici sono seri e hanno molto a che fare con i movimenti contro la dittatura finanziaria nati nel 2011
Chissà se anche Torres Soban Sebastian Chabarro, colombiano, 18 anni, arrestato il giorno di Pasqua, dopo aver scavalcato le recinzioni di Via Nazionale a Roma, nel tentativo di assaltare a calci e pugni Banca d’Italia, si sia ispirato a La casa di carta.
Ora ne parlano tutti. Già con la prima stagione la serie spagnola aveva avuto un grande successo virale, ma con la seconda, in onda dal 6 aprile, è arrivata la consacrazione come fenomeno cult e – secondo i dati forniti da Netflix – è diventata la serie “non anglofona” più vista nella storia del portale. Ma da dove deriva tanto successo? Partiamo dall’inizio. La serie, ideata da Álex Pina e prodotta da Antenna 3, sbarca sulla piattaforma Netflix nel 2017, dopo il primo successo in Spagna. Già il titolo, con una doppia citazione, tra Mao Tse Tung e House of cards, ci proietta al cuore della questione. “Il capitalismo è una tigre di carta” e la forza attrattiva diventa subito evidente.
Se qualcuno poi ci avesse detto qualche tempo fa che il 7 aprile 2018 milioni di persone avrebbero visto una serie tv in cui il capo di una banda armata che fa tremare lo Stato è “il Professore”, avremmo pensato a uno scherzo di un novello Calogero, autore di pessime trame fuori tempo massimo.
Tra Spike Lee e Romanzo Criminale c’è una bella differenza
La trama invece è molto seria e si inserisce nel glorioso – e parecchio battuto – filone dei cosiddetti caper movies, con al centro grandi rapine o il “colpo grosso”. Numerosi sono i celebri precursori e le esplicite ispirazioni. Da Rapina a mano armata (1956) di Stanley Kubrick a Le Iene (1992) di Quentin Tarantino, da Point Break (1991), fino alla più recente saga di Oceans’ Eleven (2001). Ma l’ispirazione più evidente è Inside Man, bel film del 2006 di Spike Lee. Qui un gruppo di rapinatori, una volta entrato in una filiale della Manhattan Trust, veste con delle tute blu e con un fazzoletto bianco sul volto tutti gli ostaggi, rendendoli indistinguibili da se stessi. Obiettivo della rapina non sono direttamente i soldi, ma mettere in discussione la reputazione di chi ha fondato quella banca con i diamanti rubati dai nazisti agli ebrei durante la Seconda Guerra mondiale.
Per chi ha visto e amato il film di Spike Lee la prima puntata de La casa di carta dà la netta sensazione di essere un remake del film del regista afroamericano (il personaggio di Raquel, la poliziotta che gestisce la trattativa, ricorda moltissimo la Jodie Foster di Inside Man). Ma la serie, puntata dopo puntata, nonostante le tante somiglianze e le molte citazioni, riesce invece a diventare un prodotto unico nel suo genere. Innanzitutto per la capacità della produzione di dilatare il tempo (cinque giorni è la durata della rapina) in modo magistrale per 22 puntate serratissime, piene di colpi di scena e ribaltamenti di prospettiva. Ci sono anche diversi colpi a vuoto nella sceneggiatura, non tutti gli episodi funzionano allo stesso modo e l’imprevista variabile X (di cui non parliamo, per non rovinare l’effetto sorpresa a chi ancora non l’ha vista) a volte prende troppo il sopravvento sull’intreccio complessivo.
Ma quello che colpisce è soprattutto la forza di creare immaginario e senso comune radicale nel tempo che stiamo vivendo. Mentre in Italia le serie di successo compiono discutibili operazioni storio-(cinemato)grafiche, facendo immedesimare una generazione di giovanissimi nelle imprese di Genny Savastano di Gomorra, nel Libanese di Romanzo Criminale o negli Andrei di Suburra, La casa di carta produce un’empatia mondiale per la banda che – cantando Bella Ciao – organizza la più grande rapina del secolo alla Zecca di Stato di Madrid. La differenza non è di poco conto.
Abbiamo un piano
Il piano – sempre cercando di evitare lo spoiler – è studiato in modo maniacale per molti anni da Sergio Marquina, alias “il Professore”, alias Salvador, interpretato dall’efficace Alvaro Morte. Figlio di un rapinatore e nipote di un partigiano spagnolo che ha fatto la Resistenza in Italia, la mente della banda progetta di introdursi nella Zecca di Stato spagnola e di stampare 2400 milioni di euro.
Mette insieme un gruppo di 8 persone che non si conoscono tra di loro e organizza una lunga preparazione del colpo, prevedendo tutti i possibili scenari. Tutti tranne uno. I componenti della banda prendono – come ne Le Iene – degli pseudonimi, ognuno di una città. Berlino è l’elegante comandante in campo, che nasconde un segreto personale. Tokio, interpretata dalla bellissima Ursula Cobrero, è l’imprevedibile, sexy guerrigliera. Rio è l’esperto di sistemi di sicurezza informatica, bel ragazzo di buona famiglia. Nairobi dirige i lavori di stampa del denaro e la sua forza deriva da un importante obiettivo personale. Mosca ha un passato da operaio socialista prima di diventare rapinatore. Denver, figlio di Mosca, esce ed entra in galera per spaccio e altri reati minori. Helsinky e Oslo sono il braccio militare del gruppo, origini serbe e reduci da diverse guerre in Est Europa, cugini gay con estetica bear. Gli otto della banda indosseranno tutti delle tute rosse e metteranno le maschere che ritraggono il volto dell’icona spagnola surrealista Salvator Dalì. Gli ostaggi che si troveranno all’interno della Zecca al momento dell’azione, verranno tutti vestiti allo stesso modo, per renderli indistinguibili da parte della polizia.
Non stiamo rubando a nessuno
Il piano è folle ma perfetto, la rapina è pulita perché stampando denaro «non stiamo rubando niente a nessuno». È qui la chiave della serie. Tra fiction brillante e fine provocazione economica, vengono messi in discussione l’istituto della proprietà e il monopolio statale nella produzione di moneta. Nell’epoca della dittatura finanziaria, delle banche centrali diventate cuore della governance, la potenza di rottura nell’immaginario è evidente. Più dei bitcoin e delle monete smaterializzate. Il rischio della privatizzazione della moneta è dietro l’angolo, ma questo è un discorso più complesso.
Ci copriamo il volto per farci vedere
Il ricorso alla maschera di Salvador Dalí è un’altra questione centrale e chiave del successo. La funzione è quella di confondere la polizia, ma l’obiettivo è anche produrre un’immagine spiazzante nell’opinione pubblica. La maschera chiaramente è un tema ricorrente nel genere (da Rapina a mano armata a Point Break, fino al recente The Town), ma il riferimento più immediato sembra essere alla maschera di Guy Fawkes di V per Vendetta, diventata poi simbolo di ribellione nelle piazze di ogni angolo del pianeta a partire dal 2011.
Celare l’identità individuale e crearne una collettiva, ma anche coprirsi il volto per rendersi visibili è una pratica diffusa tra i movimenti, a partire dalla risignificazione del passamontagna fatta dagli zapatisti negli anni ’90 e in particolare nell’epoca della profilazione pervasiva dei social network e degli apparati di controllo. L’antichissima questione della maschera torna prepotentemente al centro della comunicazione politica e Salvador Dalí rischia di diventarne nuovo surreale protagonista.
In maniera del tutto atipica, anche rispetto al genere cinematografico di riferimento, i protagonisti de La casa di carta cercano il consenso nell’opinione pubblica per mettere in difficoltà la polizia. Il Professore in questo caso parla direttamente del movimento del 15M, quando, nella prima stagione, racconta come “nel 2011 migliaia di ragazzi occuparono a Madrid Puerta del Sol e la polizia non poté cacciarli, perché il paese era con loro”. Questo riferimento, inserito ad arte dagli sceneggiatori, rende forse più chiara l’origine del successo della serie, che insiste sulle stesse ragioni del movimento contro la crisi e la dittatura finanziaria che crearono un contagio planetario.
Iniezione di liquidità for the people
«Nel 2011 la Banca Centrale Europea ha creato dal nulla 171.000 milioni di euro. Dal nulla, proprio come stiamo facendo noi, però alla grande. 185.000 nel 2012. 145.000 milioni di euro nel 2013. Sai dove sono finiti tutti quei soldi? Alle banche, direttamente dalla zecca ai più ricchi. Qualcuno ha detto che la banca centrale europea è una ladra? Iniezione di liquidità, l’hanno chiamata. Io sto facendo un’iniezione di liquidità, ma non alle banche. La sto facendo qui, nell’economia reale di questo gruppo di disgraziati (…) per scappare da tutto questo. Tu non vuoi scappare?»
E qui, proprio sul finale di stagione, il discorso si fa tremendamente serio. Alcuni hanno accusato l’invettiva del Professore e la serie complessivamente di essere “populismo spicciolo”, altri invece – come Roberto Ciccarelli su il manifesto – di essere “l’analisi più lucida della storia economica degli ultimi tre anni” e, in qualche modo, in grado di indicare una via d’uscita dalla crisi di stagnazione europea. Noi, ovviamente, siamo d’accordo con Ciccarelli, che argomenta con serietà come il tema dell’immissione di liquidità non esclusivamente alle banche sia tema dibattuto tra economisti liberali e keynesiani per rilanciare l’economia. Marco Bertorello e Christian Marazzi, in alternativa al Quantitative easing della BCE parlano proprio di «QE for the people», per redistribuire la ricchezza socialmente prodotta in Europa.
Contagio o marketing?
Il successo de La casa di carta è dirompente e inizia forse a fare anche un po’ paura, per la miscela esplosiva tra una serie cult mondiale, una colonna sonora come Bella Ciao che diventa inno pop e una rapina alla Zecca di Stato che sottende una teoria economica neanche troppo peregrina.
Alcuni personaggi del mondo del calcio (Castro, Juan Jesus, Pato) hanno pubblicato ultimamente video in cui cantano Bella ciao. In alcuni casi sono stati anche criticati per una presa di posizione troppo politica, in altri è stata addirittura Netflix a utilizzare calciatori come testimonial.
Gli hackers che hanno cancellato per qualche minuto il video più visualizzato della storia su YouTube (Despacito) hanno sostituito il video con un fermo immagine de La casa di Carta. Nelle piazze degli scioperi francesi (a cinquant’anni dal ’68) sono apparse le maschere di Salvador Dalí accanto a quelle di Guy Fawkes. Anche in Italia ci sono state le prime apparizioni di tute rosse.
Netflix, visto l’enorme successo, ha lanciato un gigantesco battage pubblicitario e annunciato già la terza stagione. Quale sarà l’intreccio tra quest’immaginario e le lotte a venire è difficile prevederlo, ma certamente non morire di Gomorra e Suburra ci rende già più felici.