INCHIESTE

Roma è sporca ma non è «degrado»: la colpa è del taglio dei servizi 

Il problema del decoro di Roma: zero investimenti, tagli al servizio di spazzamento e aumento dei costi. I dati dell’ultimo Focus sull’igiene urbana

Nonostante i proclami dell’amministrazione pentastellata, Roma resta sporca. Il voto dei cittadini romani non assegna la sufficienza a nessun aspetto del servizio di igiene urbana, secondo il Focus sull’igiene urbana a Roma, pubblicato a marzo dall’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali di Roma Capitale. «La percezione dei cittadini è particolarmente negativa soprattutto per gli aspetti ritenuti prioritari, come la pulizia delle strade e delle aree intorno ai cassonetti stradali. A questa sensazione trasversalmente negativa, diffusa fra la popolazione, corrispondono livelli di qualità erogata insufficienti proprio per quanto riguarda pulizia e decoro urbano».

Roma è peggiorata. Rispetto all’ultima campagna di monitoraggio effettuata nel primo bimestre 2015 (e poi sospesa fino ad ora), «tutti gli indicatori di pulizia e decoro sembrano essere nettamente peggiorati», tenendo conto però di procedure di valutazione diverse e dell’invecchiamento dei contenitori che comporta un «naturale peggioramento del livello di decoro».

Il degrado delle condizioni di pulizia della città è l’effetto più evidente di un problema strutturale di gestione dei rifiuti a Roma, un servizio pubblico pagato dai cittadini con una tassa sui rifiuti tra le più care d’Italia (la seconda più onerosa dopo Napoli), anche se in diminuzione negli ultimi due anni. Il vero problema resta a monte: dove finiscono i 1,68 milioni di tonnellate di rifiuti, questa la quantità raccolta nel 2017, che si accumulano negli androni e sui marciapiedi della città.

«I nodi più critici, che due successive gestioni commissariali non sono ancora riuscite a sciogliere, sono l’insufficiente raccolta differenziata, soprattutto della frazione umida, l’utilizzo solo parziale degli impianti di trattamento meccanico biologico già esistenti e, soprattutto, l’individuazione di un sito alternativo a Malagrotta come discarica di servizio per i residui di trattamento». Queste le indicazioni contenute nella relazione del Comune sull’igiene urbana del 2012.

Alcuni miglioramenti ci sono stati: la produzione di rifiuti è diminuita dell’8,3% dal 2010, è aumentata la raccolta differenziata, soprattutto l’organico (+ 174% dal 2012) ed è diminuita l’indifferenziata (-28% dal 2012). Ma resta il nodo della mancanza di autonomia di impianti di trattamento e smaltimento della Capitale. Dopo la chiusura di Malagrotta, prorogata fino al settembre 2013, a Roma manca ancora una discarica di servizio e gli impianti per il trattamento dei rifiuti, i quattro TMB, due di proprietà di Ama (Rocca Cencia e Salaria) e due del consorzio privato Colari di Manlio Cerroni (a Malagrotta) sono insufficienti. Ama è costretta a esportare i rifiuti e i residui di trattamento, con una conseguente aumento di costi e perdita di ricavi.

Oggi Ama tratta solo un terzo del totale dell’indifferenziata, l’8% di multimateriale e vetro e il 6% dell’organico. Il resto, e quasi la totalità dei residui di lavorazione destinati a discarica, sono esportati in altri impianti nel Lazio e in altre regioni. Dunque, nonostante il decrescere della raccolta indifferenziata, le risorse dedicate al servizio non diminuiscono in maniera proporzionale e dal 2003 il costo unitario del servizio è più che triplicato.

Di più, la gestione dell’indifferenziata ha sottratto un terzo delle risorse del servizio di spazzamento delle strade, passate da 183,8 milioni nel 2011 a 121,4 milioni nel 2017: ovvero 62,4 milioni di euro dirottati per potenziare la raccolta dei rifiuti indifferenziati – di cui tuttavia non si riesce ad avere un riscontro immediato poiché le risorse per l’indifferenziata hanno un andamento altalenante per un complessivo taglio del 4,5% dal 2012 al 2018. Insomma «il calo del voto assegnato dai romani alla pulizia delle strade è strettamente correlato alla riduzione delle risorse economiche per lo spazzamento e la pulizia delle strade» destinate a sostenete il costo – che lievita per la carenza di impianti – della gestione dell’indifferenziata, secondo l’ultimo rapporto annuale sullo stato dei servizi della Capitale.

 

La buona notizia è che il Piano Finanziario 2018 interrompe l’erosione di risorse destinate allo spazzamento con 3 milioni di euro in più rispetto allo stanziamento del 2017. Più di quelli previsti per risolvere a monte il problema dei rifiuti, perché alla voce investimenti in impianti lo stanziamento è di 2 milioni di euro – una cifra comunque superiore agli investimenti in impiantistica realizzati nel 2016: 700mila euro a fronte dei 30 milioni stanziati. «Con l’approvazione del bilancio 2017 si potrà verificare quanto realizzato dei 38 milioni programmati l’anno scorso». In generale dal 2003 «gli investimenti programmati e finanziati in tariffa non sono mai stati integralmente realizzati». Dal 2008 Roma non investe più in impianti: «gli investimenti sono stati sempre al di sotto dei 3 milioni e limitati a interventi di manutenzione straordinaria, così che il parco Ama è diventato obsoleto rispetto all’evoluzione dei rifiuti e meno efficiente» secondo il rapporto annuale.

 

La linea del Comune sull’indifferenziata, che ancora costituisce più della metà della raccolta totale, sembra utopistica all’esame dei dati: si ipotizza una riconversione dell’impianto TMB del Salario, di cui ogni tanto si annuncia la chiusura, ma non sono previsti investimenti in impianti perché si punta tutto sull’aumento della raccolta differenziata. Nonostante l’aumento della differenziata e l’estensione della raccolta porta a porta, anche qui il voto dei romani è in calo.

Il piano rifiuti presentato da Ama prevede di aumentare la percentuale della raccolta differenziata fino al 70% nel 2021, dal 44,2% del 2017. Ma già a inizio 2018 l’obiettivo fissato (arrivare al 48%) non è stato raggiunto. In verità, nota il Focus, dal 2015 «l’effetto propulsivo delle modifiche organizzative introdotte nel 2012 si è andato attenuando». La raccolta differenziata organizzata secondo tre modelli (domiciliazione, cassonetti intelligenti e domus ecologiche) e associata ad un meccanismo di tariffa puntuale, che sostituirà la raccolta differenziata da strada, è ancora in fase di sperimentazione in vari quartieri della città, come sanno bene i cittadini romani che chiedono il rimborso della Tari a fronte dei disservizi, per esempio a San Lorenzo, dopo il fallimento della sperimentazione del porta a porta. Se poi da qui al 2021 si dovesse raggiungere il 70% di raccolta differenziata, allo stato attuale gli impianti romani non sarebbero comunque sufficienti per gestirne la valorizzazione.

Infatti dal 2008 la frazione di differenziata valorizzata nei centri Ama è andata diminuendo fino a toccare l’8% nel 2016. Il 92% della raccolta differenziata viene inviato a impianti terzi per la valorizzazione e realizzazione di ricavi in proprio, con una diminuzione dei ricavi da valorizzazione di Ama di circa il 60% negli ultimi dieci anni. Il costo unitario di gestione dell’indifferenziata è in forte ascesa dopo la chiusura di Malagrotta: dopo un’inflessione grazie a contributi governativi e regionali per 38 milioni di euro, dal 2013 il costo del servizio è raddoppiato, a causa dei costi di trasporto. Ma, di nuovo, secondo il Focus non sono previsti investimenti per nuovi impianti per la differenziata: le decisioni in merito sarebbero al momento «sospese in attesa di orientamenti normativi e di mercato».

La frazione organica, più che raddoppiata, viene esportata quasi completamente: nel 2016 Ama ne trattava solo il 6%, inviando il resto in Friuli Venezia Giulia, con costi significativi. Dopo ripetuti solleciti da parte del governo e della Regione, il Comune ha da poco presentato i progetti per la realizzazione di due impianti di compostaggio che dovrebbero affiancarsi a quello di Maccarese, con l’obiettivo di garantire un’autonomia di trattamento dell’organico del 60%. Si tratterebbe dei primi investimenti in impianti dal 2008. Peccato che delle aree scelte per i nuovi impianti dall’amministrazione pentastellata, una ­­– il sito di Casal Selce, ricada nei vincoli paesaggistici per l’Agro romano, mentre l’altro è un sito rilevante per l’agricoltura secondo Coldiretti Lazio, che lamenta un mancato confronto dell’amministrazione nella scelta dei siti.

La tariffa di igiene urbana copre i costi del servizio. «In teoria, una volta definito il servizio, il gettito tariffario dovrebbe essere aggiornato tenendo conto dell’inflazione programmata e di un piano pluriennale di efficientamento. Di fatto, ogni anno nella capitale sono stati approvati e finanziati in tariffa significativi incrementi di costo, giustificati con variazioni nell’organizzazione di servizi, ambiziosi obiettivi di raccolta differenziata (mai conseguiti), nonché ingenti programmi di investimento (mai realizzati)» .Il rapporto annuale sui servizi evidenzia come «nonostante a consuntivo alcuni programmi ed obiettivi non vengano mai conseguiti non esiste un meccanismo che colleghi costi e risultati ai fini della quantificazione della spesa negli anni successivi».

Sebbene in 15 anni il tasso di inflazione sia stato praticamente nullo, il costo del servizio a Roma è raddoppiato tra il 2003 e il 2016 (passando da 362 a 724 milioni), per poi scendere a 713 milioni fra il 2017 e il 2018. Le tariffe sono state leggermente più contenute grazie al recupero dell’evasione, arrivando ad incrementi massimi del 75% per le utenze non domestiche e del 65% per quelle domestiche nel 2015.

Allo stato attuale dunque il Comune continua a finanziare il settore più oneroso e meno redditizio della gestione dei rifiuti, quello della raccolta, senza affrontare il problema a monte dell’emergenza rifiuti che periodicamente investe la capitale, quello dell’impiantistica. Il settore veramente redditizio, che a Roma varrebbe un miliardo l’anno, quello del trattamento e della valorizzazione dei rifiuti, continua così a essere affidato a impianti terzi e privati. In quest’ottica la decisione di «sospendere» ogni decisione in merito all’investimento in impianti per il trattamento della differenziata, su cui tutto si punta, in attesa di «orientamenti normativi e di mercato», desta qualche dubbio. Anche perché con una maggiore autonomia impiantistica del servizio pubblico i ricavi da valorizzazione potrebbero ridurre notevolmente i costi spalmati sulla la tassa sui rifiuti, pagata dai cittadini. É chissà, potrebbe anche avanzare qualcosa per assumere e pagare gli operatori addetti alla pulizia e al decoro della città.