MONDO
Israele e Gaza: brutalità contro disobbedienza civile
Nella giornata del 6 aprile un’altra grande mobilitazione promossa dalla Great Return March davanti al muro che chiude la striscia di Gaza si è trasformata in un massacro di 8 palestinesi con centinaia di feriti. E la protesta continuerà ogni venerdì fino a metà maggio. L’autore del presente articolo collega le importanti mobilitazioni ed esperienze di disobbedienza civile degli ultimi mesi in Israele/Palestina.
Chiunque voglia comprendere le intenzioni di Israele a Gaza dovrebbe pensare al recente comportamento del primo ministro Netanyahu rispetto ai richiedenti asilo africani. Meglio ancora, torniamo indietro a quanto accadde quando il governo israeliano decise di posizionare metal detector all’entrata della spianata delle moschee, l’estate scorsa. Nonostante le differenze, queste tre lotte hanno un comune denominatore, lo stato sta cercando di stroncarle, ma trova sulla sua strada solo disobbedienza civile e resistenza.
Il primo assunto che dobbiamo avere è che in questa dinamica lo stato è colui che ha il potere. Una singola persona, un gruppo, un’organizzazione non sarà mai in grado di impedire allo stato di portare avanti il proprio piano. L’enorme differenza nel potere, combinata con una leadership cinica che ha ben poca cura della sorte di esseri umani – siano o no cittadini – è ciò che porta il governo israeliano ancora una volta a fare errori che dipendono da una lettura distorta della realtà. Iniziano con belligeranza, continuano con arroganza e finiscono con il cedere alla pressione. Nel frattempo i leader politici israeliani incitano e avvelenano l’opinione pubblica. Intanto, ovviamente, la gente muore.
Tra protesta e resistenza
I metal detector all’entrata della Spianata delle moschee hanno portato a una impressionante ondata di disobbedienza civile. Il potere del regime si basa sull’obbedienza della popolazione sotto il proprio controllo. Ma quando i palestinesi di Gerusalemme Est si sono rifiutati di obbedire hanno completamente cambiato le relazioni di potere tra il regime e la popolazione. I palestinesi per la maggior parte sono rimasti convinti della disobbedienza civile, era solo una questione di tempo perché il governo cedesse alla pressione e rimuovesse i metal detector.
Il governo Netanyahu ha letto così in modo distorto la situazione che continuava a ripetere lo stesso mantra «I cittadini di Gerusalemme Est non avranno altra scelta che quella di abituarsi ai metal detector». Alla fine è venuto fuori che avevano una scelta ed erano pure disponibili a sacrificarsi un bel po’.
Il caso dei richiedenti asilo è ben differente, soprattutto per il coinvolgimento di cittadini israeliani. I cittadini hanno un bel po’ di più potere dei non-cittadini, e perciò non hanno dovuto ricorrere alle scelte drastiche degli abitanti di Gerusalemme Est. E comunque la dinamica tra lo stato e i cittadini è rimasta la stessa: belligeranza e bugie che però – per un breve momento – è sembrato che arrivassero a impensabile retromarcia davanti alle ampie proteste pubbliche. Qui bisogna esaminare i limiti della protesta pubblica, Gene Sharp, un teorico che ha scritto molto in merito alla lotta nonviolenta e che è morto lo scorso gennaio, ha spiegato la differenza tra protesta e resistenza. Il potere della protesta è quello di raccogliere sostenitori e offrire il suo appoggio a coloro che investono tempo ed energia nella lotta.
Mentre però proteste di massa sono di grande significato nel generare attenzione pubblica, incoraggiare organizzazioni di rifugiati e portare membri della Knesset e altre figure pubbliche a sostegno, è sbagliato pensare che da sole abbiano influenzato Netanyahu nel suo prendere le decisioni. Finché la protesta non si traduce in atti di resistenza – cioè finché non esige un prezzo politico al governo – quest’ultimo non ha ragioni per cui preoccuparsi.
Al contrario, Netanyahu ha momentaneamente abbandonato l’idea di deportare i richiedenti asilo – adottando un piano per rifugiati dell’Agenzia Onu per i rifugiati – per reali ostacoli: il Rwanda che si tirava fuori dal piano e altre serie conseguenze legali. Non dimentichiamo che c’è pure un significativo movimento di protesta che si oppone all’assorbimento dei richiedenti asilo in Israele. Solo una settimana fa quelli che si oppongono ai richiedenti asilo erano ancora i migliori amici di Netanyahu. All’improvviso ha accettato l’accordo con l’ONU e ha lasciato i suoi sostenitori senza scelta se non quella di accettare la realtà.
Ma chi voleva la deportazione sa che potrebbe far pagare un prezzo caro a Netanyahu il giorno delle elezioni. Il ministro dell’educazione Naftali Bennett ha colto l’opportunità e si è presentato come colui che si prende cura di tutti gli scontenti di Netanyahu. Perciò, in poche ore, Netanyahu è stato forzato a cedere alle pressioni (bloccando l’accordo con l’ONU, ma senza ritornare al piano di deportazione in Rwanda ndr)
Evitare la catastrofe
A Gaza la belligeranza di Israele è al suo punto di massima brutalità: sparare su civili disarmati per uccidere. Per giustificare queste azioni, il governo parla di uno scenario da incubo nel caso in cui i manifestanti attraversassero il muro. Mettendo da parte la morale, la brutalità a Gaza è giustificata con la stessa ratio dei casi precedenti, ma la crudeltà è di gran lunga maggiore. «Non hanno sceltaı» diventa «hanno paura di morire, così se ne ammazziamo un po’ sarà un deterrente per gli altri».
E cosa è questo se non un’altra distorta lettura della realtà sul terreno? In un giorno solo hanno ucciso 16 persone, 14 di queste erano disarmate, e ne hanno ferito 750. La protesta palestinese sul confine con Gaza continuerà per sei settimane. Cosa accadrà se i residenti di Gaza agiscono nello stesso modo dei residenti di Gerusalemme Est e si rifiutano di obbedire ai brutali dettami di Israele? Quanti ne uccideremo se scopriamo che i manifestanti palestinesi continuano ad arrivare vicini al muro? Quanti morti saranno troppi, anche per noi? Quanti dovremo ucciderne finché la resistenza popolare nonviolenta di Gaza spingerà in strada anche i palestinesi di Gerusalemme Est?
È impossibile dire dove ci porteranno le prossime settimane. Il problema a Gaza è ben più complesso dei metal detector o della deportazione di richiedenti asilo ed è difficile immaginare uno scenario realistico in cui in manifestanti palestinesi possano dire di aver vinto. Ma tutti gli ingredienti ci sono: determinazione, brutalità e arroganza sul lato israeliano, determinazione, rabbia e volontà su quello palestinese.
È molto probabile che, ancora una volta, il governo israeliano stia leggendo in modo così distorto la realtà che porterà a un terribile spargimento di sangue. È nostro dovere dimenticare l’allarmismo e dire chiaramente che il nostro governo funziona secondo una logica che si è dimostrata sbagliata ancora una volta. La scommessa che sta facendo ora potrebbe portare a un’altra catastrofe a Gaza. Noi che vogliamo impedire questa catastrofe dobbiamo trovare strumenti efficaci e veloci per resistere.
L’articolo è stato pubblicato su +972mag.com, portale indipendente di informazione israeliano. Traduzione a cura di DINAMOpress.