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Difendiamo la Terra di Mezzo
Riflesssioni sull’ultimo libro di WuMing 4 e sulla necessità di raccontare storie, d’inventare miti.
Difendere la Terra di Mezzo (ed. Odoya) è il nuovo libro solista di Wu Ming 4, non un romanzo ma una raccolta di saggi e interventi su J.R.R. Tolkien scritti negli ultimi anni, risistemati e rivisti per proporli in un’opera organica. Se volete sentirne parlare WM4 in persona a Roma, fargli qualche domanda, togliervi un sassolino dalla scarpa o soddisfare una curiosità, la vostra occasione è il prossimo 16 gennaio al centro sociale Astra 19 alle ore 19.30, puntualità tipicamente romana. E non vi preoccupate della cena che c’è l’osteria popolare.
Un libro per tutti
Partiamo da un presupposto: il libro di WM4 è un libro per neofiti, certo non per estranei al mondo di Tolkien. Per goderne sarà sufficiente aver letto almeno il Signore degli Anelli e magari aver visto i film. Non c’è bisogno di mandare a memorie genealogie di dinastie di nani, elfi e re degli uomini, né parlare elfico. Per gustare Difendere la Terra di Mezzo basta essere curiosi verso un mondo che ci ha affascinato e catturato anche solo in maniera occasionale.
Ho letto lo Hobbit e il Signore degli Anelli nell’estate del 2002. Avevo tredici anni ed ero costretto ancora alle vacanze con la famiglia. Pochi mesi dopo sarebbe uscito il primo film di Peter Jackson, e avremmo assistito ad una nuova mania tolkeniana. Annoiato da ogni cosa in cui c’è uno zampino magico, non ho letto altro fantasy, ho sempre amato di più la fantascienza. Ma non ho saputo resistere alla serie televisiva Game of Thrones.
E allora perché ti leggi un saggio su Tolkien e poi senti anche il bisogno di raccontarlo ad altri? Perché Tolkien è un’altra cosa, la sua opera ottant’anni dopo è un fatto culturale con cui occorre misurarsi. E se si è anche un po’ nerd e si amano le storie non si può evitare di incontrare questo vecchio professore di Oxford.
Restituire Tolkien al suo tempo
Il primo merito che va riconosciuto a WM4 è di inserire Tolkien nella temperie della sua epoca, aggiornandoci senza tediarci sul dibattito letterario internazionale, svoltosi per lo più nel mondo anglosassone.
Perché se il nostro J.R.R. narra di alberi che parlano e che si incazzano, orchi, elfi e compagnia cantante non ha scritto la sua opera in una torre d’avorio fantasticando. Ha vissuto le due guerre mondiali, durante la prima ha anche combattuto salvandosi dalla carneficina grazie ad una provvidenziale febbre da trincea. Proprio tra le due guerre ha preso vita l’universo del Signore degli Anelli, anche se è stato dato alle stampe a metà degli anni Cinquanta. Tolkien, dunque, si pone le stesse domande dei “grandi” della letteratura di fronte all’omicidio di massa e lo sterminio, alla bomba atomica e al mondo diviso in blocchi. Come gli altri scrittori a lui contemporanei fa i conti con la modernità e l’alienazione, il consumismo e la tecnologia, la libertà e il totalitarismo. Potete metterlo sullo stesso scaffale di Joyce, Musil, Woolf e Sartre insomma. La differenza è che l’opera di Tolkien non mette in crisi la forma classica del racconto. D’altronde, come avrebbe potuto uno studioso di letteratura inglese, che mastica e rimugina poemi e canti, scrivere l’Ulisse? Tolkien si misura con i temi del suo tempo con il linguaggio che gli è più consono e studia. Lo prende, lo stravolge, non lo imita pedissequamente. Lo fa parlare con gli uomini del suo tempo dei problemi contemporanei.
Ci arriviamo subito: no, Tolkien non era fascista
“Le radici profonde non gelano. Dalle ceneri rinascerà un fuoco. Nuova sarà la lama ora rotta”. Con questa citazione dell’Enigma di Granpasso, un tweet di Gianni Alemanno rilanciava l’idea di scongelare il simbolo di Alleanza Nazionale per le prossime elezioni, in modo da riunire la diaspora post missina. Ci piaccia o no, i giovanotti della destra (post)fascista italica sono cresciuti a pane e Tolkien.
Tanti di sinistra, magari di estrema sinistra, amano le gesta degli Hobbit o di Aragon, stanno in fissa con Gandalf o con la Battaglia del Fosso di Helm, ma un po’ se ne vergognano perché Tolkien “è da fascisti”. Così arrivano al libro del nostro WM4 pensando “Cazzo, mo’ questo che è un compagno ce dirà perché il Signore degli Anelli non è roba da fascisti, e dire che gli hobbit so’ i più sfigati e pacifici non basta”. Ci potevate arrivare da soli, ma se non lo avete fatto la risposta la potete trovare in Difendere la Terra di Mezzo. Questa storia che Tolkien è dei fasci è una cosa proprio tutta italiana, eredità di alcuni stronzi come Julius Evola e dei critici simbolisti, che avrebbero visto il simbolo del Santo Graal anche nella teiera sbeccata di mia mamma. Nel resto del mondo Tolkien piace soprattutto agli hippy, al massimo ai metallari degli anni Ottanta-Novanta.
Tolkien non è stato di certo un rivoluzionario. Ma non per questo è stato un reazionario, nonostante fosse un cattolico praticante. Questo vecchio prof di Oxford ha passato la vita a ribaltare e sputtanare l’etica cavalleresca. Aborriva, da studioso di letteratura, chi ha trasformato i poemi antichi in clave per il nazionalismo. Non guardava all’arcadia perduta di un mondo passato di valori tradizionali oramai scomparsi.
Insomma se i fasci fanno le canzoni sui personaggi di Tolkien, i gruppi di “rock-identitario” si chiamano la “Compagnia dell’Anello” e gli piacciono tanto le rune, i complessi se li devono far venire loro e non voi.
Un mondo, tanti mondi
Ma il mondo di Tolkien non è solo quello dei libri, lo Hobbit, la trilogia dell’anello e via a seguire lo sterminato e apparentemente inesauribile corpus che va a costituire il Silmarillion. Ci sono i film, i videogiochi, i giochi di ruolo e le simulazioni, le storie laterali, quelle prima e dopo raccontate con ogni mezzo necessario da un esercito di fan e appassionati. Perché una buona storia vale, come ci hanno insegnato in questi anni quelli della Wu Ming Foundation al completo, se viene modificata, masticata e reinventata dai lettori e da chi l’ha amata, perché un racconto non può che essere collettivo. Se questo fosse il metro di giudizio per valutare quanto un libro o un’opera qualsiasi ha avuto successo, possiamo dire che quello di Tolkien è imbattibile.
Difendere la Terra di Mezzo, ovvero l’importanza del mito e di raccontare storie
Come possiamo immaginare di cambiare il mondo se non riusciamo ad immaginarlo diverso e a raccontarlo? Quanto influenzano il mondo reale e la nostra voglia di modificarlo i mondi fittizi in cui ci immergiamo? Appassionarsi a chi combatte Sauruman può portare a scegliere di lottare per un mondo dove non esista lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo? Creare miti, simboli, narrazioni non è alla base di un discorso politico? Il Signore degli Anelli si può ascrivere esclusivamente alla letteratura d’evasione, disimpegnata o per ragazzi?
La risposta è quasi ovvia. Un discorso politico, qualsiasi esso sia, per convincere qualcuno non può che basarsi su storie, racconti, miti, immagini, ancor di più se è il discorso di qualcuno che il mondo lo vuole rivoluzionare. Ne abbiamo parlato su DinamoPress con l’intervista di Giuliano Santoro a Stephen Duncombe. È il chiodo fisso dei Wu Ming dai tempi di Q, lo spiega bene Citton Yves nel suo Mitocrazia (edizioni Alegre).
Qualche anno fa facevo un turno la mattina in una radio di movimento. Appena uscì la prima versione in rete del manifesto New Italian Epic, chiamai Wu Ming1 per parlarne. Dopo una lunga chiacchierata chiamò al telefono un “compagno degli anni Settanta” ancora sulla cresta dell’onda, che cominciò una filippica condita da improperi contro certi vezzi intellettuali, rivendicando il fatto che lui leggeva solo saggi e che parlare di certa letteratura era inutile.
“Uno spettro si aggira per l’Europa” non sembra però l’incipit di una fiaba? “Liberi e schiavi, patrizi e plebei, baroni e servi della gleba, maestri delle corporazioni e garzoni, in una parola, oppressi ed oppressori sono stati continuamente in contrasto tra loro, e hanno sostenuto una lotta ininterrotta, a volte palese a volte dissimulata; una lotta che è sempre finita o con una trasformazione rivoluzionaria di tutta la società, o con la totale rovina delle classi in lotta”, non sono proprio quei due vecchi furboni di Karl e Frederich che ci lanciano subito in una dimensione mitica ed epica della lotta di classe?