MONDO
A 8 mesi dalla desapariciòn di Santiago Maldonado: sappiamo chi è Stato
Il 1 aprile si è svolto in Argentina un festival nella località di Mar del Plata per chiedere verità e giustizia per Santiago. Dal palco il fratello denuncia: l’autopsia non chiarisce né quando, né come né dove è morto. Intanto il ministro Bullrich promuove altri sei agenti implicati nella repressione illegale del 1 agosto scorso.
Sergio Maldonado, fratello di Santiago, parla dal palco del festival di Mar del Plata, organizzato dalla famiglia e dai compagni di Santiago, con le organizzazioni per i diritti umani, in occasione degli otto mesi dalla sua desapariciòn, durante la repressione del 1 agosto 2017 nella comunità mapuche Pu Lof Cushamen in lotta contro l’appropriazione delle terre indigene da parte di Benetton che si è costruito così un vero e proprio impero con latifondi in Patagonia. Il corpo di Santiago fu ritrovato dopo 78 giorni di desapariciòn in circostanze poco chiare. “Siamo in piazza per Santiago, per i 30mila desaparecidos e per tutti i morti per violenza istituzionale in dittatura e in democrazia”.
“Denunciamo che l’inchiesta sulla desapariciòn seguita da morte di mio fratello non è imparziale, né efficace. Chiediamo una indagine indipendente, vogliamo verità e giustizia”.
Nelle ultime settimane è entrato nel vivo il processo contro la Gendarmeria per spionaggio illegale nei confronti della famiglia di Santiago, fin dai giorni successivi alla desapariciòn del giovane artigiano solidale con la lotta dei mapuche. Intanto nelle comunità mapuche continuano incessantemente soprusi, sgomberi, repressioni e violenze da parte della polizia e della Gendarmeria, come abbiamo visto poche settimane fa con la repressione contro i manifestanti fuori dal Tribunale di Esquel in Patagonia dopo la decisione, appellata dalla difesa, di estradare il lonko (leader spiriturale e politico mapuche) Facundo Jones Huala in Cile, dove è accusato di terrorismo, senza alcuna prova, per le lotte in difesa dei territori indigeni.
Quasi nelle stesse ore in cui migliaia di persone si riunivano a Mar del Plata per ricordare Santiago, il ministro Bullrich ha promosso altri sei degli agenti implicati nei fatti, come denunciato su Pagina12 da Adriana Meyer che afferma ” dopo otto mesi una cosa è sicura: se vi è stato un patto del silenzio, quello di certo, fino ad adesso ha avuto successo”. Seppur non formalmente sotto processo, i sei agenti promossi dal governo Macri erano presenti sulla scena del delitto durante l’operazione di polizia che terminò con la desapariciòn e poi la morte di Santiago.
L’unico gendarme sotto processo è stato promosso di rango con un atto firmato il 29 dicembre scorso dal ministro Bullrich, ed oggi arriva la promozione per altri sei gendarmi che hanno partecipato alla repressione.
Il ministro Bullrich, che ha difeso a spada tratta la sua Gendarmeria durante tutti questi otto mesi, dichiarando che non avrebbe mai abbandonato nessun gendarme dato che ne aveva bisogno per “pacificare” il paese e gestire il conflitto sociale, celebra in questo modo la ricorrenza, mentre in migliaia chiedono le sue dimissioni a Mar del Plata.
La famiglia e gli avvocati difensori, impegnati nella causa per desapariciòn seguita da morte, considerato un crimine di lesa umanità, sostengono che la promozione dei gendarmi rappresenta un atto quantomeno prematuro e di certo gravissimo, trattandosi di una misura che punta ad avallare le passate, presenti e future azioni repressive e violente della polizia e della Gendarmeria, garantendo l’umpunità a chi spara ed uccide, in accordo con il nuovo paradigma in materia di sicurezza, ribattezzata “dottrina Chocobar”. Una dottrina esemplificata dal nome del poliziotto che mentre si trovava fuori servizio, pochi mesi fa nel quartiere della Boca a Buenos Aires, ha sparato alle spalle ed ucciso un giovane, già ferito e a terra, responsabile di un furto ad un turista. Sotto processo per omicidio, il poliziotto è stato ricevuto dal presidente Macri e dal ministro Bullrich che hanno sostenuto pubblicamente il suo atto, fornendo avvocati per la difesa ed elevandolo ad esempio di garanzia di sicurezza per il paese.
Oggi la famiglia torna a parlare e chiarisce: noi argentini sappiamo lottare per la verità e la giustizia, l’abbiamo imparato con il nostro sangue, e per questo siamo qui a chiedere con forza la verità, unico modo per ottenere giustizia e onorare la memoria di Santiago.
Già lo scorso 24 di marzo, all’immensa manifestazione in occasione del 42esimo anniversario del golpe militare, era stata richiesta ancora una volta verità e giustizia da parte delle Madres e delle organizzazioni dei diritti umani. Secondo la famiglia di Santiago, le responsabilità della lentezza e dell’inefficacia delle indagini sono ascrivibili tanto al potere giudiziario quanto al governo, come affermano in una lettera aperta: entrambi devono dire chiaramente “cosa è successo a Santiago, chi sono i responsabili della desaparición seguita da morte e comminargli la pnea corrispondente al reato. Si tratta di un compito inderogabile e necessario il cui procedimento viene ritardato senza ragione alcuna”.
Dal festival di Mar del Plata durissime accuse da parte della famiglia. Tantissime le incongruenze nell’inchiesta, denunciate durante tutti gli otto mesi passati prima a chiedere apparizione in vita e poi, dopo il ritrovamento del cadavere di Santiago, verità e giustizia.
Dal palco del festival Sergio Maldonado, mentre si alzano cori che invocano le dimissioni del ministro Bullrich. chiarisce per punti le rivendicazioni della famiglia, e ricostruisce in undici punti le questioni principali.
Uno: Santiago si trovava ad un blocco stradale sulla strada 40 quando la repressione è avanzata illegalmente fin dentro alla comunità mapuche. Due: le forze di sicurezza hanno attaccato attaccato Santiago e gli altri compagni sparando nei territori della comunità.Tre: i gendarmi oltre a sparare, tiravano pietre alle persone che provavamo ad attraversare il fiume. Quarto: la prefettura navale ha perquisito lo stesso luogo più di tre volte senza alcun risultato. Cinque: corpi specializzati nella ricerca di resti umani hanno perquisito più di tre volte lo stesso luogo senza alcun risultato. Sei: la gendarmeria di Chubut responsabile della repressione è contemporaneamente parte dell’indagine, questo fatto di per sé ne compromette l’imparzialità. Sette: diversi esponenti del governo hanno sostenuto che Santiago non era presente durante la repressione di Pu Lof de Cushamen. Otto: una deputata nazionale della coalizione di governo ha affermato mesi dopo la sua desapariciòn che ci fosse una alta probabilità che Santiago fosse in Cile e questa notizia è stata ripresa e fatta circolare dai media. Nove: nell’indagine non vengono chiarite le responsabilità della Gendarmeria nella desapariciòn e morte di Santiago. Dieci: i risultati dell’autopsia non dicono né dove, né quando Santiago sia morto. Undici: il corpo di Santiago è stato trovato 80 metri controcorrente rispetto al punto in cui era stato visto in vita per l’ultima volta.
In chiusura, richiede la conformazione di un gruppo di esperti, indipendenti dal potere esecutivo federale, per portare avanti una indagine imparziale. Si tratta, afferma Sergio, di una misura imprescindibile per poter ottenere verità e giustizia. “In caso contrario, è gravemente a rischio la possibilità di sapere la verità su questi fatti. Occorre continuare ad insistere e pressare le autorità statali perché non evadano le loro responsabilità. Giustizia per Santiago!” Sul palco, prima dell’esibizione di diverse band, arriva la lettera del famoso cantante Indio Solari, che manda un messaggio alla famiglia e al paese.
“A Santiago, ovunque tu sia. Come tanti altri non sapevo chi fossi, non ti conoscevo. Ti trovavi laddove il tuo generoso e giovane coraggio ti avevano portato. Con gli spossessati. Condividendo la vita con gli autentitci abitanti naturali di un territorio conteso. Così vicino alle loro necessità da diventare una sagoma tra le altre, tra loro. Una sagoma da tiro al bersaglio. Il mio rispetto per te, sempre, Indio”.
In migliaia ancora in piazza dicono ancora una volta che finchè non ci sarà verità e giustizia, processo e condanna ai responsabili, non si fermerà la lotta. Perché, come è apparso su un manifesto attacchinato durante la manifestazione del 24 marzo a Buenos Aires dall’organizzazione Garganta Poderosa, “né i desaparecidos lanciati dai voli della morte nel Rio de la Plata, né Santiago Maldonado, sono annegati da soli”. La parte migliore dell’Argentina ancora una volta scende in piazza per difendere la vita e i territori sotto assedio della violenza neoliberale, chiedendo verità e giustizia per Santiago Maldonado, affinchè paghino i responsabili materiali e politici di questo ennesimo crimine di Stato.