EUROPA
Riflessioni sulla morte di Mame Mbaye a Madrid
Giovedì 15 marzo un uomo di 35 anni del Senegal, Mame Mbaye, è morto per un attacco di cuore nel quartiere multietnico Lavapiés di Madrid. Mame Mbaye era un venditore ambulante, caduto a terra nel corso di un inseguimento da parte della polizia. Nei giorni successivi, la sua morte ha suscitato grande emozione e rabbia
I fatti
Lo scorso venerdì (16 marzo, ndt), all’interno di uno spazio condiviso con le abitanti e gli abitanti del quartiere, cercavamo di scrivere un comunicato sulla morte di Mame Mbaye. Con il ronzio delle reti sociali come sottofondo, la discussione nel nostro gruppo Whatsapp verteva sull’accertamento dei fatti e se fosse necessario aspettare che venisse fatta chiarezza. Come se le diverse versioni fossero una sorta di foschia che avrebbe finito per diradarsi, facendoci così capire se fosse successo prima o dopo, quel giorno o in mille altri. Però la stampa dirà tutto e il contrario di tutto.
La polizia rilascerà una serie di comunicati ufficiali per cercare di chiudere la questione. Del resto, solo la morte è cosa certa e tutto il resto può essere riscritto a seconda dei gusti del consumatore. E così, distratti dal dibattito sui fatti e dalla disputa della narrazione perdiamo di vista la questione di fondo: la vita trasformata in paura, l’abolizione del riposo e della serenità per chi non trova collocazione in una città che accoglie a braccia aperte speculatori, multinazionali e fondi di investimento.
Torneremo a normalizzare le centinaia di persone come Mame che, per ore in piedi sui marciapiedi, osservano il viavai dei turisti, dei cittadini a pieno titolo che vanno al lavoro o dalle proprie famiglie, dei precari che temono di non riuscire ad arrivare alla fine del mese senza però il rischio di essere arrestati o deportati, dei giovani spensierati che si dirigono alle piazze della movida. Non poter acquisire il diritto alla serenità ti tiene sempre in allerta, sempre sul filo del rasoio. La paura ti ruba i tuoi migliori anni, limita la tua felicità, ti colpisce come una malattia. Aver paura di essere, di stare, di cercare di sopravvivere in una città sicura come Madrid è una delle disuguaglianze peggiori. Ed è una vergogna. Questi sono i fatti.
I danni
In città, sono molte le persone preoccupate. Preoccupate dei danni arrecati dai manteros [“venditori ambulanti”. Da “manta”, coperta in spagnolo – ndt] che con le loro merci coprono le sofisticatissime strade del centro, in cui qualsiasi segno di ingiustizia sporca quell’immagine di Disneyland del consumo e del turismo in cui si stanno trasformando sempre più quartieri. «Si danneggia l’immagine di Madrid», affermano solennemente coloro che contribuiscono a costruire una città-spettro, nemica dei suoi abitanti e polo di attrazione per investitori e altri sciacalli. Si danneggiano le grandi aziende internazionali di borse, scarpe e profumi. Quelle stesse aziende che si dividono succose plusvalenze ottenute dalla combinazione letale tra leggi sulla proprietà intellettuale che le coccolano e una deregolamentazione lavorale che le privilegia. Si danneggiano i commercianti. Ma quali commercianti? Quelli che sono rimasti dopo aver buttato fuori le piccole attività con affitti proibitivi e orari di apertura no-stop?
Altri aggiungono che ci sono manifestanti che esprimono la propria rabbia e costernazione danneggiando l’arredo urbano del quartiere, mentre i difensori del buon senso ritengono che i manifestanti, sprovvisti di senso civico, peggiorino la propria legittima tristezza con questo comportamento irrazionale. Peccato che il senso civico sia un lusso che si possano permettere solo quelli che vivono in serenità, che sentono la città come una cosa che gli appartiene, con le facciate colorate, il selciato in ordine e che accettano e vedono di buono occhio le banche invece di considerarle parte di uno scenario che li vuole espellere dalla società. Uno scenario che ricorda loro che qui non sono i benvenuti con il loro sporcare di realtà queste piazze agghindate per essere occupate da persone più produttive.
La vendita ambulante
A causa della cattiva abitudine della gente di cercare di provvedere alla propria sopravvivenza e quella dei propri cari, la vendita ambulante è diventata una forma di vita diffusa in tutto il pianeta. Quando non c’è mercato del lavoro che possa integrarti o non hai il capitale per poter affittare un locale o pagare una licenza, quando non puoi produrre perché ti mancano i mezzi necessari, quando ti trovi solo davanti al mondo e hai bisogno di tirare avanti ai margini di un sistema economico incentrato sulla produzione infinita di benefici, allora fai ciò che va fatto. Molte volte e in molti posti questo significa comprare merci e venderle per strada illegalmente a un prezzo maggiorato. Tutto questo, ovvero cercare di sopravvivere come si può, è una cosa normale in quei paesi in cui non si può evadere dalla realtà o dalle tremende disuguaglianze. Però in questo paese [Spagna – ndt], che lotta per mantenere viva la finzione che vada tutto bene e che la povertà e lo sfruttamento non esistono, potrebbe farti finire in carcere.
Il vicinato
Gli abitanti di Lavapiés [quartiere nel centro di Madrid ad alta densità migrante – ndt], molti dei quali africani come Mame, invadono il quartiere in sua memoria. Denunciano la condizione di molti dei loro vicini neri, sprovvisti del diritto a vivere senza paura, di potersi guadagnare da vivere senza dover stare continuamente sotto tensione, di poter stare per strada senza che la loro semplice esistenza venga vista come un atto criminale. Sono le stesse vicine e gli stessi vicini che hanno denunciato le ronde razziste, che hanno formato reti di solidarietà e che hanno cacciato la polizia dal quartiere. Persone che rifiutano di accettare un modello di città che opprime e criminalizza i loro vicini migranti. Per questo la battaglia si svolge nei quartieri e nelle strade dove la gente si unisce, si sfiora, discute, si muove insieme. Mantenere i quartieri vivi e solidali è la miglior forma di contestazione possibile a questa città sempre più affollata.
I manteros
Tra i vicini era forte la presenza dei manteros, che avevano convocato i concentramenti. I sindacati dei manteros e dei venditori di birra ambulanti, movimento ben organizzato, non sono importanti soltanto per chi li compone. Rappresentano una risposta ai sindacati tradizionali e un incoraggiamento collettivo per fare fronte allo spaesamento causato dalla mancanza di legittimità, la precarizzazione dell’esistente, l’atomizzazione delle lotte e l’individualismo che ci ha fatto arretrare sulle nostre posizioni. In questo panorama che ci disorienta, a essere forte e chiara è proprio la voce dei movimenti di base come quello degli ambulanti o delle attiviste di Territorio Doméstico [collettivo femminista di collaboratrici domestiche – ndt], delle Kellys [collettivo di cameriere di albergo – ndt], della PAH [Plataforma de Afectados por la Hipoteca “Piattaforma delle Vittime dei Mutui”, rete e movimento sociale per il diritto all’abitare – ndt] e di tutti coloro che si vedono privati dei diritti più elementari. Tutte e tutti hanno capito che nessuno prenderà le loro difese. Ora hanno a disposizione quell’agenda politica che molta gente cerca da anni, fin da quando ci siamo svegliati dal sogno della rappresentanza. Che nessuno li lasci inascoltati.
Articolo apparso su elsaltodiario
Traduzione di Michele Fazioli per DINAMOpress