MONDO

Dimenticati e massacrati per lo sfruttamento forestale: i popoli indigeni del Brasile

Intervista a Francinara Barè, attivista indigena brasiliana della Coiab, in prima linea nel difendere l’Amazzonia e i diritti degli indigeni, resistendo alla repressione di Temer

Dinamopress ha incontrato a Roma Francinara Baré, difensora di diritti umani indigena brasiliana e coordinatrice di COIAB (Coordinadora de Organizaciones Indigenas de la Amazônia Brasilera) all’interno della sua visita in Italia coordinata dalla rete In Difesa di e da Greenpeace.

L’attivista ci aiuta a comprendere la situazione molto poco conosciuta delle popolazioni indigene brasiliane, in prima linea per difendere l’Amazzonia dallo scempio dello sfruttamento agroindustriale ed estrattivo e al tempo stesso isolate e dimenticate anche all’interno dello stesso Brasile.

 

Puoi spiegarci il lavoro sociale e ambientale della vostra organizzazione in Brasile?

Sono la coordinatrice generale di Coaib, lavoriamo in nove stati dell’Amazzonia brasiliana, siamo parte della Coica (Coordinazione delle popolazioni indigene del Bacino del Rio delle Amazzoni, che unisce anche indigeni di paesi limitrofi come Perù, Colombia e Bolivia ndr) e il nostro coordinamento nazionale in Brasile è la PIB (Articolazione dei Popoli indigeni del Brasile)

Siamo nati nel 1988, successivamente alla Costituzione. La Costituzione in due articoli specifici garantisce i diritti dei popoli indigeni, sono gli articoli 31 e 32. Il primo ci riconosce come indigeni e riconosce la nostra forma organizzativa originaria. Nonostante questo abbiamo deciso di avere una personalità giuridica, perché per lottare per i nostri diritti dovevamo avere uno strumento istituzionalmente riconosciuto. Nel nostro lavoro principale ci interfacciamo con lo stato per garantire i diritti e l’accesso a una serie di servizi sociali. Difendiamo i diritti degli indigeni, non solo di chi abita in comunità rurali ma anche di chi ha deciso di vivere in città. Siamo presenti a livello statale e regionale, abbiamo anche rappresentanze municipali.

 

Quali sono le principali discriminazioni che vivono oggi i popoli indigeni brasiliani?
La discriminazione più grande è proprio quella di essere indigeni. Il governo brasiliano non riconosce la nostra specificità e le nostre necessità in quanto indigeni. Siamo 365 popoli differenti ma fingono di non vederci e ci lasciano nell’ombra.

Soffriamo di discriminazioni quando lasciamo le nostre comunità e andiamo in città per poter studiare.

Parliamo 275 lingue diverse, ci è difficile spesso avere pronuncia ottima del portoghese e questo ci discrimina molto. Siamo discriminati per il modo di vestire e comportarci. Appena vestiamo scarpe sportive o utilizziamo un cellulare non siamo più riconosciuti come indigeni.

Sono e rimarrò indigena in qualunque luogo di questo mondo. Se ho accesso a tecnologie, come i droni, per poter monitorare la foresta, non smetto di essere indigena e voglio essere riconosciuta come tale.

 

La questione indigena in Brasile come in tutta l’America Latina è molto legata al problema della proprietà della terra, a che punto è il vostro lavoro per tutelare le terre all’interno dell’Amazzonia?

Diciamo sempre che dobbiamo iniziare a lavorare dai libri di storia. Nei nostri libri di scuola la storia parte dall’arrivo degli europei, non prima.  Noi abitavamo quelle terre ben prima del loro arrivo. Gli europei non hanno scoperto il Brasile perché non è mai stato scoperto, è stato invaso e saccheggiato.

Abbiamo una grande biodiversità e infinite risorse naturali. Gli invasori sono arrivati dalla costa e hanno subito distrutto un bioma, la Mata Atlantica, prima parte di foresta Amazzonica a essere distrutta.

La terra genera vita più di quanto facciamo noi con le nostre strumentazioni ma si è voluto distruggere l’ecosistema esistente. Chi è arrivato da fuori ha iniziato a saccheggiare la natura e a cambiare il nostro sistema agricolo.

L’agricoltura è diventata agrobusiness su larga scala ed è ora questa una delle cause principali della deforestazione e una minaccia enorme per la popolazione indigena.

Siamo stati allontanati dalle nostre terre perché erano ottime per monoculture e allevamenti.

Dividiamo la nostra storia in tre momenti fondamentali, prima, durante e dopo la Costituzione.
Prima della Costituzione sono stati gli anni più difficili, siamo stati massacrati in modo atroce, perché il piano del governo brasiliano era quello di incorporare l’Amazzonia al Brasile uccidendo chi vi abitava. Prima della scrittura della Costituzione, a causa di queste violenze, abbiamo iniziato ad andare a Brasilia e chiedere i nostri diritti. Nel 1988 ci hanno finalmente accolto e hanno incluso i due articoli nella Costituzione.

Tra il 1987 e il 1988 viene deciso che tutte le terre dei popoli indigeni devono essere riconosciute di nostra proprietà collettiva attraverso un procedimento di demarcazione, con una deadline di 10 anni per chiudere il processo. Numerosi attivisti sono morti nel processo che ha permesso questo risultato.

Nel 2018 tuttavia sono ancora molto poche le terre indigene riconosciute. Lottiamo perché ciù avvenga, ma l’obbiettivo è ancora molto lontano dalla realtà. Oggi il processo di demarcazione delle terre che permetterebbe il nostro riconoscimento si è paralizzato. Per questo ci troviamo ad affrontare megaprogetti: dighe, ferrovie, passaggi fluviali costruiti per trasportare la soya, abbiamo visto negli ultimi anni un preoccupante aumento della deforestazione legale all’interno delle terre dei popoli indigeni.

Dal primo invasore a oggi il nostro grande slogan è “Resistere”. Dobbiamo tenere duro nonostante la situazione così difficile.

 

In Italia si è parlato di Marielle Franco, e Dinamopress ha seguito con molti articoli quanto è accaduto. Il suo caso è uno specchio di quanto si vive in Brasile?

Marielle è un esempio di quello che può succedere in Brasile. L’elemento straordinario è che è accaduto in una città. In questo caso il suo destino è stato molto simile a quello che accade ogni giorno nella foresta amazzonica.

È stata uccisa perché aveva denunciato la violenza della polizia contro la popolazione delle favelas di Rio e contro l’immenso potere del narcotraffico rispetto alla polizia stessa. Pur nella sua tragicità, per fortuna, essendo accaduto in città e a una donna nera l’omicidio ha ottenuto visibilità e se ne è potuto parlare e ci sono state grandi proteste. Purtroppo ci sono molte donne e uomini indigeni che vengono uccisi in tutto il Brasile rurale e nella foresta, nessuno ne parla, neppure all’interno del paese.

 

Ci sono statistiche sul numero di morti indigeni?

Non ci sono numeri precisi. Non c’è nessun sistema di sostegno per chi difende i diritti umani degli indigeni ci grandi difficoltà organizzative logistiche per reperire numeri e raccogliere le testimonianze.

La visibilità è un problema enorme, non riusciamo a portare l’attenzione sui nostri problemi. A Brasilia, quando ci raduniamo, affrontiamo gas, pallottole a salve, gas al peperoncino che la polizia utilizza contro di noi.

Ancora più tremendo è quello che accade nella foresta. Quando lì cerchiamo di contrastare l’avanzata dell’agrobusiness ci troviamo davanti a pallottole vere e alla morte.

Alle Nazioni Unite hanno presentato alcuni dati sulla situazione dei diritti umani nel paese, ma le statistiche sono sempre divise tra bianchi e neri:  gli indigeni non sono considerati.

Il governo non ci riconosce e non classifica i nostri dati. Ci stiamo organizzando con una banca dati indipendente e cerchiamo di compensare la mancanza di dati da parte istituzionale.

 

Ritieni che la condizione dei popoli indigeni sia peggiorata da quando Temer ha preso il potere?

Ora siamo molto più perseguitati. Facciamo molta più fatica a riunirci e ad avere spazio nel Congresso per farlo. Parte del nostro abbigliamento tradizionale (archi, frecce) è ora considerata “arma bianca” e se più di una persona che ha con sé quegli oggetti si riunisce viene accusata di associazione a delinquere

Siamo molto più criminalizzati e a causa della criminalizzazione veniamo arrestati con frequenza.
Abbiamo avuto più visibilità in questioni ambientali come la Renca, (riserva ambientale amazzonica che Temer voleva aprire allo sfruttamento minerario e che è stata fermata grazie a un intervento della magistratura, ndr), ma in tema di diritti umani nessuno parla di noi.

Spesso le leggi che sta promuovendo Temer vanno contro i nostri interessi e vengono discusse in momenti in cui non siamo presenti o non siamo stati avvisati.

Cerchiamo di comunicare i dati che stiamo raccogliendo sulla repressione e sulla devastazione dell’Amazzonia. Ci rendiamo conto che veniamo ascoltati di più all’estero, anche perché c’è grande differenza tra i dati che presentiamo noi e quelli che il governo brasiliano comunica al resto del mondo.