MONDO

La lotta delle donne per Afrin, oltre ogni confine

Il ricordo della britannica Anna Campbell e della rivoluzionaria argentina Alina Sanchez. Cadute in questi giorni in Rojava-Nord Siria. La loro vita rappresenta un rinnovamento del senso profondo dell’internazionalismo, capace oggi di trasformare il mondo in un momento di sollevazione delle donne su scala planetaria

Una resistenza storica è attualmente in corso nel cantone di Afrin, nella Federazione Democratica della Siria del Nord. Contro la dominazione maschile del regime fascista del governo dell’AKP e delle sue bande alleate jihadiste, a più di tre anni di distanza dalla storica liberazione della città di Kobane, la resistenza in Afrin è entrata in una nuova fase.

Dopo le sollevazioni dell’8 Marzo, mentre organizzazioni di donne di tutto il mondo hanno bloccato il pianeta denunciando la guerra globale in corso contro la violenza patriarcale, statale e capitalista sulle donne, tessendo nuove alleanze ed elaborando nuove prospettive e soluzioni comuni, è giunta la notizia, seguita dall’assassinio dell’attivista brasiliana Marielle Franco, dell’uccisione dell’internazionalista britannica Anna Campbell.

Proveniente dall’East Sussex, nome di battaglia Helin, Anna Campbell ha preso parte alla lotta in difesa di Afrin con le Unità di Protezione delle Donne, YPJ, quando, il 16 Marzo, il convoglio sul quale viaggiava è stato colpito da un missile turco. La ventiseienne si era unita alla lotta curda con l’idea di combattere contro lo Stato Islamico, ma ha voluto prendere parte al fronte di difesa di Afrin dopo che il 20 Gennaio la Turchia ha iniziato un’offensiva aerea sulla zona. Anna Campbell, aveva parlato in un’intervista dell’importanza di partecipare alla rivoluzione delle donne come una responsabilità storica del suo tempo. La sua grande perdita viene ricordata dalla comandante YPJ Nesrin Abdullah perché «Con il suo spirito internazionale, il suo spirito rivoluzionario, che ha dimostrato la forza delle donne, ha sempre espresso una ferma volontà in tutte le sue azioni». A nome delle YPJ Nesrin Abdullah promette di seguire la missione che lei ha intrapreso, «rappresentandola in futuro nella interezza delle nostre lotte.»

Contro ogni tipo di attacco patriarcale e oppressione le autonome Unità di Difesa delle Donne YPJ come parte delle Forze Democratiche Siriane, sono composte da donne di diverse comunità: ispirano, non solo a livello militare, ogni sfera della società, composta da consigli, comuni cooperative autonome, che alimentano la solidarietà tra donne in lotta contro la violenza e per la costruzione di una società libera. Spiega Dilar Dirik, sull’impegno eroico della Campbell: «Dobbiamo ampliare il senso dell’internazionalismo e notiamo allora come sia significativo che una donna britannica partecipi nella lotta contro il fascismo, proprio mentre Theresa May sta firmando un accordo di 100 milioni di pounds per vendere le armi da guerra atte a supportare lo Stato turco e il suo esercito.»

Mentre ora sono in corso scioperi della fame a Ginevra di fronte all’ONU, nei giorni scorsi l’Unione Europea, ha deciso il finanziamento di nuovi 3 miliardi di euro alla Turchia per tenere fede all’accordo per blindare i confini della fortezza Europa. Italia e Germania forniscono oggi armi allo Stato turco. L’attacco congiunto ad Afrin sostenuto anche dalla Russia e dalle altre forze internazionali non solo si rivolge contro Afrin, bensì contro tutte le donne e contro un modello universale, alternativo e democratico di convivenza sociale. In campo qui non c’è solo il ruolo fallimentare dello Stato-Nazione e delle sue decisioni, ma una lotta paradigmatica: contro la direzione dei profitti e dei piani egemonici delle potenze mondiali nella regione, si oppongono comunità liberate sulla base di valori etici; contro gli attacchi e i massacri razzisti, fondamentalisti e sessisti del regime dello stato turco, si oppongono nuovi istituti confederali basati sull’autogoverno, un sistema di educazione alternativo, la rivoluzione sociale delle donne e un sistema di autodifesa in una coesistenza pacifica tra una miriade di popoli.

Il modello di organizzazione politica e di convivenza del confederalismo democratico, come realizzato nella Federazione Democratica del Nord della Siria e elaborato dal filosofo e leader del movimento curdo Abdullah Ocalan, sulla nuova base data delle acquisizioni organizzative e intellettuali della scienza sociale della Jineoloji, è il risultato di 40 anni di lotte del movimento delle donne curde. Ha portato donne, provenienti da diversi contesti e paesi di diverse parti del mondo a trasformare in piena vita rivoluzionare l’impegno e la responsabilità di una continua costruzione sociale che sfidando ogni privilegio, rimane estranea, al potere, al dogmatismo, alla tirannia gerarchica e allo sfruttamento.

E’ solo pochi giorni dopo l’uccisione di Anna Campbell, che si è appreso della morte della medica e internazionalista argentina, Alina Sanchez.

Dopo la liberazione e la storica vittoria di Kobane, averla incontrata nel suo impegno per  la cura di molte combattenti ferite è un ricordo pieno di ispirazione, motivazione, composto dalla tenacia e chiarezza delle sue decisioni.  Alina Sanchez proveniva dall’Argentina e aveva studiato a Cuba medicina. Camminando nel sentiero tracciato da Che Guevara, lasciando l’università dopo gli studi, sentiva anche lei, nel più profondo, qualsiasi ingiustizia commessa contro chiunque in qualunque parte del mondo, aggiungendo, nel suo impegno rivoluzionario, un di più: applicava questo sentimento ai principi di liberazione delle donne del movimento curdo. Una volta aveva ricordato come non dobbiamo mai dimenticare che il movimento delle donne del Kurdistan si fonda in primo luogo su una basica regola della natura: come tutto nasce, di nuovo, sopra le proprie radici. Alina Sanchez aveva  scelto per sé il nome curdo di battaglia “Legerin”, che significa “ricerca”, una parola curda che indica il senso e lo scopo stesso della vita, la ricerca della verità e della giustizia come ragione dell’esistenza, il desiderio più profondo e comune dell’umanità di esprimere se stessa nella forma della libertà. Legerin raccontava dell’Argentina, della eredità radicata di lotte da cui sorgeva che l’aveva portata a fiorire nelle montagne libere del Kurdistan sino al Rojava. Consapevole che il motore della storia è sempre stato l’interculturale rituale di interconnessione e vicinanza tra differenti comunità, e un comune impegno creativo come soluzione ai problemi storici, in una conversazione con le sue compagne, raccontava di aver trovato nel movimento di liberazione curdo risposte per il XXI secolo, che altri movimenti rivoluzionari non riuscivano a dare, e anche nuove domande. Una volta ha confessato di aver compreso in modo profondo, il significato pieno della bellezza: aveva compreso che l’estetica, o la bellezza, e l’etica, ciò che è giusto, non possono mai essere separate. E il suo luminoso sorriso, sempre attento e pieno di rispetto, insieme alla sua determinazione e al suo coraggio,  sapevano ascoltare il dolore trasformandolo in una condivisione imprevedibile e inaspettata di allegria. Diffondeva serenità anche nei momenti più duri, quando, curando le combattenti ferite riusciva a essere per loro fonte di nuova curiosità, accogliendo, motivando e discutendo con semplicità e trasparente umanità. Lottava nella costante ricerca di piena comprensione dei bisogni sociali e politici e i suoi strumenti di cura erano il sentimento e lo spirito critico unito a un’azione puntuale. Anche Alina Sanchez, era disposta a morire, e non per difendere astrattamente un ideale, ma per farlo diventare realtà.

Mentre oggi si avvia la chiamata internazionale all’azione per Afrin, luogo che Legerin aveva dichiarato di voler raggiungere, prima di cadere tragicamente in un incidente automobilistico, viene così ricordata nelle bellissime parole di Claudia Korol:

«Alina, Ale, Ali, Lêgerîn, capiamo che il patriarcato capitalista porta avanti una guerra mondiale contro le donne e contro i nostri popoli e che mondiale è la risposta che dobbiamo realizzare. Di fronte alle sue guerre moltiplichiamo la forza delle nostre rivoluzioni internazionaliste. Alina era una militante a tempo pieno, come lo sono le compagne curde, una persona piena di luce e di umiltà rivoluzionaria. Averla conosciuta, ci fa sentire più vicine che mai con i suoi sogni, che sono anche i  nostri sogni. Alzare allora le nostre  grida per Afrin. Curare e difendere la lotta delle donne in Kurdistan. Esigere che finisca il genocidio turco e il silenzio complice dei governi della Russia, Unione Europea, e America Latina.

Averla conosciuta, ci obbliga a impegnarci individualmente e collettivamente in una lotta dura, prolungata, intensa, come tu hai fatto ogni giorno e ogni ora, in qualsiasi riunione del mondo, perché, la bellezza, continui a vivere nei nostri cuori, tanto vicini al tuo, mentre siamo vive nella lotta dei popoli»