EUROPA
Hunger for Freedom: la protesta delle donne migranti scuote Londra
120 donne in un centro detentivo vicino la città di Londra, hanno iniziato una protesta contro le condizioni di reclusione dei migranti. Allo sciopero della fame, si sono unite altre forme di lotta e il sostegno dei collettivi femministi e LGBT
Il coraggio di 120 donne, chiuse nel centro di detenzione di Yarl’s Wood, nei pressi di Londra, ha risvegliato l’attenzione pubblica sulle condizioni inumane di reclusione dei migranti nel Regno Unito. Uno sciopero della fame, cominciato il 21 febbraio e ancora in corso, si è trasformato in pochi giorni in una protesta massiccia che ha visto bloccare qualsiasi forma di collaborazione e di accettazione delle norme previste dal sistema detentivo: le donne non partecipano più alle attività lavorative, non acquistano i prodotti venduti nello spaccio interno, rifiutano l’assistenza medica e persino l’assunzione di medicinali.
Al rifiuto da parte dell’Home Office (il dipartimento del ministero dell’Interno responsabile in UK in materia d’immigrazione) di rispondere alle richieste avanzate con lo sciopero della fame, le detenute hanno risposto la settimana scorsa occupando per diverse ore gli uffici dell’Home Office e dell’Healthcare department all’interno del centro.
I collettivi femministi e LGBT e i gruppi attivi nella difesa dei diritti dei migranti si sono mobilitati a sostegno della protesta, facendo da tramite con le detenute e portando le loro voci all’esterno. La pagina web “Detained Voices” pubblica quotidianamente i messaggi delle donne in sciopero e gli aggiornamenti inviati dall’interno del centro. Questo canale diretto ha contribuito a dare a questa lotta una grande risonanza mediatica e la copertura da parte dei più importanti media britannici. «La determinazione delle donne di Yarl’s Wood è stata capace di riattivare un grande movimento di solidarietà in tutto il Regno Unito» – spiega Rosy del gruppo SOAS Detainee Support – «La settimana scorsa centinaia di persone hanno manifestato davanti alla sede del Ministero dell’Interno a Londra, nonostante la manifestazione fosse stata convocata d’urgenza solamente il giorno prima». Dietro l’hashtag #hungerforfreedom stanno girando sul web migliaia di tweet, messaggi di solidarietà, foto personali con cartelli in sostegno alle donne di Yarl’s Wood. E pochi giorni fa la deputata laburista Diane Abbott è riuscita a ottenere l’accesso al centro e a incontrare le scioperanti, dopo oltre un anno che tale permesso le veniva negato. Insieme al grande sostegno politico, si sono attivati anche meccanismi di aiuto materiale alla lotta delle donne, come la creazione di una raccolta di fondi per permettere alle scioperanti di ricaricare i telefoni, e rimanere in contatto con la stampa e le persone solidali all’esterno, e per finanziare il biglietto del pullman a ex detenute e richiedenti asilo che vogliono partecipare alle manifestazioni di sostegno.
A Yarl’s Wood sono detenute circa 410 persone, per la grande maggioranza donne. La normativa inglese in materia d’immigrazione prevede un sistema di detenzione cosiddetta “amministrativa” attraverso il quale vengono chiuse nei centri (strutture detentive del tutto assimilabili a prigioni vere e proprie) diverse categorie di persone, da migranti che sono in attesa di risposta alla richiesta d’asilo in corso a coloro che vivono e lavorano nel Regno Unito da molti anni. L’Home Office sostiene che, sulla base dell’articolo 16 dell’Immigration Act, la detenzione è una misura appropriata «per effettuare deportazioni; per stabilire l’identità della persona o la fondatezza del proprio caso; laddove ci siano ragioni di credere che la persona non soddisfi i requisiti necessari per ottenere un permesso temporaneo o essere rilasciati». In pratica dunque, essere “migranti” è una condizione sufficiente per essere rinchiusi in uno di questi centri, per un periodo di tempo indeterminato. Il sistema inglese è uno dei pochi in Europa che non prevede un limite di tempo per la detenzione amministrativa.
L’abolizione della detenzione a tempo indeterminato rappresenta una delle rivendicazioni principali portate avanti dalle donne di Yarl’s Wood che, a partire dalla denuncia delle condizioni disumane del centro, stanno lottando per un radicale cambiamento di tutto il sistema di repressione e confinamento a cui sono soggetti i migranti nel Regno Unito. Come si legge nel loro appello: «Stiamo lottando per un sistema equo e per la fine di questa politica intrisa di ostilità nei confronti di persone che hanno motivi legittimi per rimanere nel Regno Unito».
Fra gli obiettivi di questa lotta c’è inoltre la fine della pratica delle deportazioni immediate, che spesso avvengono senza che venga concesso il tempo di appellarsi alla decisione dell’Home Office e persino quando le procedure d’asilo sono ancora in corso.
Una detenuta, al quarto giorno senza cibo, scrive: «Siamo in sciopero della fame perché stiamo subendo una detenzione ingiusta e un abuso di natura razzista all’interno di questa arcaica istituzione inglese». A Yarl’s Wood molte delle donne rinchiuse sono vittime di violenza, fuoriuscite dalla tratta, vittime di tortura e di stupro. Nell’appello delle donne si sottolinea la gravità del fatto che chi ha subito simili abusi venga sottoposto all’ulteriore violenza della detenzione. Va notato che l’Home Office, secondo il racconto di una delle detenute, continua a rifiutarsi di definire lo stupro una forma di tortura, rispondendo no comment in proposito.
Le migranti chiedono inoltre: «la fine dell’impiego delle donne in lavori servili all’interno del centro, pagati 1 £ l’ora, che obbligano le persone a contribuire al mantenimento dello stesso sistema che le opprime […] un’amnistia generale per tutte e tutti coloro che vivono nel Regno Unito da più di dieci anni, soprattutto per coloro che vi sono arrivati da bambini e sono cresciuti come inglesi».
La protesta preoccupa le autorità e negli ultimi giorni è aumentata la stretta repressiva nei confronti delle scioperanti. L’Home Office e la Serco, l’azienda privata che ha in appalto la gestione del centro, mentre continuano a negare pubblicamente l’esistenza stessa di uno sciopero della fame, hanno adottato una serie di misure tese a rompere la coesione tra le detenute. Sabato scorso è stata ordinata la deportazione immediata in Botswana di due donne che partecipavano allo sciopero, tentativo che è stato poi bloccato grazie all’intervento in aeroporto del loro avvocato e di alcuni parlamentari. Sempre in questi giorni, l’Home Office ha inviato alle detenute una lettera con la quale le avverte che il loro rifiuto di assumere cibo e liquidi «potrebbe portare all’accelerazione del proprio caso e a una più rapida espulsione dal territorio inglese».
Ma se aumentano le pratiche repressive, aumenta anche la forza del movimento di solidarietà: per l’8 marzo – giornata di sciopero globale delle donne – centinaia di persone in Gran Bretagna parteciperanno a uno sciopero della fame di 24 ore, in sostegno alla lotta di Yarl’s Wood. Come si legge nell’appello congiunto: «Sentiamo che sia anche nostra responsabilità spingere l’Home Office a rispondere di queste accuse, e sentiamo di dover intervenire anche con i nostri corpi […] Vogliamo che si sappia che la detenzione delle migranti è violenza istituzionale e di genere».
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