MONDO
Una Presidente indigena per il Messico
Marichuy: una battaglia “para seguir existiendo”
Lo scorso 28 di novembre il cortile immenso del rettorato dell’Università Nazionale Autonoma del Messico ha ospitato il comizio della candidata indigena nella città mostro alle elezioni presidenziali messicane del 2018. La decisione, lanciata dall’EZLN, ha causato un ampio dibattito tra le fila di tutta la sinistra messicana, ma anche grande curiosità a giudicare dal numero delle persone intervenute. Finora María de Jesús Patricio, Marichuy, la donna di origine Nahia scelta dal Congresso Nazionale Indigeno come rappresentante alle elezioni federali, ha raccolto sessantamila firme, circa il 10% di quelle che servono per presentarsi come candidata indipendente e che ha tempo di raccogliere fino al prossimo 8 febbraio. Nel suo intervento pacato, lontanissimo dai tradizionali toni del populismo elettorale, Marichuy ha ricordato che l’obiettivo non è il risultato, né il numero di voti “Sbalordiamo questa nazione, decolonizziamo il pensiero capitalista e patriarcale. Dimostriamo che un’altra maniera di governare è possibile. Dalle rovine nascono speranze e mondi nuovi.” Si è parlato del Messico reale, quello dei conflitti socio ambientali, dove i diritti di base sono privatizzati, e dove l’organizzazione comunitaria e la capacità di organizzarsi aldilà delle istituzioni è l’unica speranza di sopravvivenza.
In un contesto nel quale le elezioni sono lo strumento neocapitalista per legittimare chi verrà a governare quella di Marichuy è stata definita una crociata. Nel paese delle fosse comuni, delle sparizioni forzate, dei femminicidi, dei giornalisti morti, dei detenuti politici, l’obiettivo non può che essere uno: continuare ad esistere.
Come? Unendo i settori sfruttati della popolazione per lottare contro i grandi capitali e le politiche neoliberiste e repressive che ne sono l’espressione. Alla domanda: che Messico vogliamo? La risposta non è, come ci si aspetterebbe in un comizio elettorale, un programma, ma è una proposta: concepire la traiettoria elettorale come un percorso di riorganizzazione dal basso e a sinistra. Un obiettivo coerente col cammino intrapreso già con la otra campaña, in cui la spinta a unire le lotte aveva lo scopo di smuovere e rivitalizzare il variegato mondo dell’attivismo messicano e internazionale. E anche l’analisi del fenomeno richiede probabilmente un cambio di paradigma: non si tratta di commentare programmi, riportare il numero dei sostenitori o di discutere che probabilità ci sono di raggiungere lo scanno presidenziale. L’analisi più interessante è sicuramente sul versante del dibattito che sta alimentando le discussioni nei principali collettivi messicani così come le chiacchiere tra amici.
Da qualche anno è calata l’attenzione nazionale e internazionale verso lo zapatismo. Oltreoceano in molti si chiedevano dove fossero finiti. C’è chi interpreta la mossa elettoralista come una trovata per rinnovare l’attenzione nazionale in primis ma non solo, e per spostare l’asse del dibattito pubblico su temi realmente urgenti approfittando del periodo di propaganda elettorale. Parte della sinistra messicana critica l’eccesso di verticalità della decisione, oltre che la scarsa chiarezza degli obiettivi e della strategia di fondo. In effetti da quando è stato lanciato il primo comunicato, tutte le comunità indigene del Consiglio Nazionale si sono riunite per discutere l’adesione al progetto, e hanno aderito in massa. Ciò ha sollevato dubbi sull’orizzontalità e sulla partecipazione reale all’idea. Il rischio più grande che si intravede è una sorta di rimescolamento della base di appoggio, nel quale le frange fedeli all’autonomia finora professata lasciano il posto a componenti più “elettoraliste”, cambiando radicalmente la fisonomía dell’attivismo filozapatista. In questo processo un fenomeno importante in quanto a possibili implicazioni certamente è rappresentato da quanti si sentono “orfani”, dopo questo repentino cambio di rotta dell’EZLN.
Per comprendere meglio la situazione bisogna chiarire che in Messico è altissimo il numero di persone che non hanno mai richiesto neanche la tessera elettorale, e non hanno mai partecipato a un processo elettorale di nessun tipo, reclamando l’astensionismo come un diritto alla pari di quello al voto. L’EZLN è sempre stato una voce attiva in questo senso, sollevando polemiche di rango nazionale anche sui principali media. Dal lato dei sostenitori di Marichuy e della sua candidatura, certamente c’è chi vede la possibilità di palesare l’astensionismo critico e distinguerlo da quello acritico, e che si spinge a sperare in una riorganizzazione a livello nazionale dalla quale possa scaturire un nuovo progetto più ampio, più deciso, un nuovo progetto di Messico, per un Paese che conta all’attivo già 3 rivoluzioni nel passato recente… Su alcuni punti c’é pieno accordo: un candidato espressione del mondo indigeno e rurale messicano è un segnale fortissimo nei confronti di una società classista e “pigmentocratica”. Una candidata donna è un segnale fortissimo quasi ovunque in un mondo ancora fortemente patriarcale.