ITALIA
Federico Aldrovandi, istigazione alla memoria
Le ragioni dell’appello di ACAD a portare ovunque l’immagine di Federico, dopo il divieto della polizia a farla entrare all’Olimpico
Ieri, Federico è potuto finalmente entrare all’Olimpico, nello stadio dove domenica scorsa un solerte dirigente di Polizia ne aveva impedito l’accesso. È solo l’inizio della settimana in cui ACAD, l’Associazione contro gli Abusi in Divisa, ha chiesto all’intera collettività, a partire dalle curve, di mettere Federico ovunque sia possibile.
Perchè questo divieto, che è solo uno dei mille abusi e provvedimenti repressivi contro i tifosi di ogni latitudine e di ogni fede agiti durante le partite, è un divieto alla libertà di ognuno di noi. Parla della nostra libertà di ricordare un figlio, un amico, un fratello, un ragazzo che aveva 18 anni, ucciso ingiustamente. Se passa con Federico, se passa il concetto che ricordare è pericoloso o che il ricordo deve essere autorizzato per poter essere espresso, siamo veramente messi male. E come sempre, se oggi ci provano nelle curve, domani estenderanno questo schema a tutte e tutti noi. Come è accaduto per il Daspo, diventato uno strumento di gestione dell’ordine pubblico nel decreto Minniti/Orlando.
Il reato di “istigazione alla memoria” scrive oggi Giuliano Santoro su Il Manifesto, dandoci una definizione importante per descrivere quello che è successo.
Tutto questo avviene a pochi giorni dal pestaggio di Luca, ultras della sanbenedettese ancora ricoverato in ospedale dopo una violenta carica della celere fuori dallo stadio di Vicenza e a poche ore da una sentenza di Cassazione che ha annullato la condanna nei confronti del carabiniere che ha ucciso Massimo Casalnuovo, costringendo la famiglia e gli amici a un nuovo e faticoso processo d’appello.
In queste ore, le tifoserie di tutta Europa, dalle squadre delle serie maggiori fino ai campi di calcio dei quartieri, stanno rispondendo all’appello di ACAD, che in tutta fretta ha dovuto tradurre il testo in cinque lingue.
A mio avviso il ruolo fondamentale che ACAD svolge è questo: riportare la lotta agli abusi sempre su un piano di massa, agito dalle persone e non delegato a qualche addetto ai lavori o a qualche enclave di illuminati.
ACAD deve costruire un processo di attenzione collettiva e partecipata spingendo le persone a resistere e a ricordare nelle strade, negli stadi, nei quartieri, nelle aule di tribunale in cui si mortifica la parola giustizia.
Stefano camminava nel parco col suo cane, Gabriele dormiva in macchina, Federico tornava a casa dopo una serata con gli amici, Massimo staccava dal lavoro, Michele chiaccherava sotto casa, Giuseppe camminava in una piazza.
C’è la nostra vita in pericolo.
Questa violenza indiscriminata e impunita va fermata ora e con provvedimenti urgenti come il numero identificativo sulle divise, come una vera legge contro la tortura. Perchè siamo tutte e tutti in pericolo.
Chiudo con le parole di Lino Aldrovandi, padre di Federico: «Quello sguardo di Federico, severo a guardarci dentro, forse fa paura alle coscienze di tanti e credo che non lo smettera’ mai, perche’ altri ragazzi possano un giorno di una qualsiasi domenica mattina poter tornare a casa».
#FedericoOvunque