EUROPA

Madrid: «Sorella, io ti credo». Il movimento femminista torna nelle strade

 Venerdì scorso, 17 novembre, forte e massiccia risposta da parte del movimento femminista madrileno nei confronti dell’atteggiamento della giustizia e dei mezzi di comunicazione riguardo il caso di violenza sessuale nei confronti di una donna durante le feste di San Firmino a Pamplona

Migliaia di persone di sono date appuntamento davanti al Ministero di Giustizia per manifestare il proprio supporto alla vittima e denunciare un sistema che protegge i violentatori.

«Bisogna fare in modo di ribaltare colpa e vergogna cosicché ricadano sull’aggressore e non sulla vittima». Questo era quello che nella serata del 17 novembre veniva reclamato a gran voce da quasi 3mila persone, in maggioranza donne, accorse davanti al Ministero di Giustizia per protestare contro le modalità di svolgimento del processo a “La Manada” [Il Branco” nome che gli stessi aggressori hanno dato alla loro conversazione di gruppo su WhatsApp – ndt], il gruppo di 5 uomini che nel luglio 2016 hanno violentato una giovane di 18 annidurante le feste di San Firmino a Pamplona.

L’obiettivo principale della concentrazione però era quello di esprimere il proprio sostegno alla vittima della violenza. “Bisogna fare luce sulla verità, fare giustizia e far ottenere alla vittima il maggior risarcimento possibile per il dolore sofferto, evitando di aggiungere anche la benché minima violenza istituzionale” reclamavano a gran voce le firmatarie dell’appello letto durante la manifestazione.

«Giudici machisti fuori dai tribunali», «Sorella, io ti credo» e «Non è un caso isolato, questo è il patriarcato» sono alcuni degli slogan cantati dalle centinaia di voci di giovani donne di fronte al Ministero di Giustizia in Calle San Bernardo a Madrid. Su Twitter, la mobilitazione è stata condivisa online da decine di account tramite l’hashtag #LaManadaSomosNosotras [#IlBrancoSiamoNoi – ndt].

Dalle 19:30 le persone presenti, che già superavano le cinquemila, hanno attraversato la Gran Via con un corteo spontaneo fino alla Puerta del Sol mentre manifestazioni simili si svolgevano anche a Barcellona, Saragozza, Siviglia, Granada e Huelva.

MACHISMO ISTITUZIONALE

Il processo al “branco”, cominciato lo scorso 13 novembre e che continuerà fino a venerdì prossimo, si sta celebrando nel Tribunale Provinciale di Pamplona a causa della mancata applicazione della Legge sulla Violenza di Genere (che obbliga a far svolgere il processo nel tribunale più vicino alla vittima, oltre ad altre misure di tutela nei suoi confronti) poiché la violenza è avvenuta al di fuori della sfera di coppia o familiare.

«Bisogna invertire colpa e vergogna cosicché ricadano sull’aggressore e non sulla vittima» recita il comunicato letto durante la concentrazione odierna.

Martedì scorso, secondo giorno del processo, i tre magistrati del Tribunale Provinciale hanno deciso di ammettere tra le prove un rapporto stilato da un investigatore privato assunto dalla difesa sullo stile di vita della vittima dopo i fatti. «Il messaggio è chiaro: non puoi superare quello che è successo, devi soffrire». Così indicava il comunicato della manifestazione in riferimento all’inserimento di questo rapporto tra gli elementi probatori.

Gli stessi magistrati hanno negato l’ammissione come prova dei messaggi di WhatsApp scambiati tra gli accusati prima e dopo la presunta violenza. Lo stesso giorno su vari mezzi di comunicazione sono stati pubblicati articoli che mettevano in discussione lo stile di vita della vittima dopo lo stupro.

Durante il concentramento si è ricordato come, secondo i dati del Ministero degli Interni, nello Stato spagnolo ci siano 25 donne che ogni settimana trovano il coraggio di denunciare uno stupro. Cifra molto al ribasso rispetto al numero reale degli stupri secondo lo stesso Ministero che calcola come soltanto il 10% delle violenze venga denunciato e di come il 28% delle vittime siano minorenni.

I dati sugli stupri citati dalla Commissione Parlamentare sulle Violenze di Genere sono più allarmanti: 120.600 aggressioni a sfondo sessuale ogni anno, ovvero 330 ogni giorno di cui il 40% sono stupri veri e propri e il resto è rappresentato da altre forme di violenza sessuale. Secondo queste cifre l’impunità delle aggressioni a sfondo sessuale raggiungerebbe il 99%.

«Il processo non si svolge in un tribunale specializzato nella violenza contro le donne vicino al domicilio della vittima e hanno provato ad impedire che l’Ayuntamiento di Pamplona e la Comunità Autonoma di Navarra utilizzassero lo strumento dell’acusación popular [“accusa popolare” – strumento giuridico dell’ordinamento spagnolo che permette l’esercizio dell’azione penale da parte dei cittadini – ndt]» recita l’appello letto durante la concentrazione di piazza che denuncia come, in questa maniera, non solo non si combattano gli stereotipi di genere ma li si ampli sistematicamente. «Si marchia la donna con lo stigma della provocazione, perché va in giro da sola la sera».

I collettivi e i gruppi che hanno organizzato la manifestazione esigono una risposta da parte della giustizia, dei mezzi di comunicazione e della società. «Dobbiamo invertire colpa e vergogna cosicché ricadano sull’aggressore e non sulla vittima».

* Articolo pubblicato su ElSaltoDiario

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Traduzione dallo spagnolo a cura di Michele Fazioli per DINAMOpress