MONDO
Libia, mercato degli schiavi: ottocento dinari, il prezzo di una vita
Le immagini del mercato degli schiavi in Libia, prodotto dalle politiche di Minniti, si riflettono nello sguardo di una ragazza di origini ghanesi, nata e cresciuta in Italia (e ancora in attesa di cittadinanza). Quanto vale un essere umano?
Credo di essere una bella ragazza.
Attraente, slanciata, culo grosso, tette grosse, 1.77 di altezza, belle labbra carnose e, un’accozzaglia di caratteristiche fisiche che ti creano sempre il pubblico da Zoo intorno.
Sono la classica ragazza africana che la gente comune non si farebbe alcun problema a definire panterona, leonessa, tigre, secondo i dettami del lessico zoologico che si utilizza per definire la “bellezza selvaggia” delle donne nere.
Quanto paghereste per comprarmi?
Quanto spendereste per potermi avere in un qualunque momento della giornata, che io lo voglia o no?
Tu che leggi, che guardi le mie e foto, che mi mandi messaggi privati complimentandomi con me per la mia bellezza, a te chiedo, quanto andresti a prelevare dal bancomat per poter fare del mio corpo quello che vuoi senza che io possa dire una sola parola?
Quanti soldi mettereste sul tavolo per comprarvi una nera come me? Fisicamente resistente, piuttosto istruita, che parla bene l’italiano e se la cava con l’inglese?
Quanto?
Potreste picchiarmi, farmi preparare la cena, mandarmi a prendere i bambini a scuola o tenere in ordine la casa. Potreste violentarmi o chiedermi anche un massaggio ai piedi, o semplicemente un po’ di compagnia. Farei volentieri la badante ai vostri anziani, magari a quelli malati che sono soli e vorrebbero unicamente qualcuno che li accudisse.
Io, se qualcuno mi comprasse, lo farei perché non sarei più una donna ma una cosa per cui è stato stabilito un prezzo. E le cose, quando le compri sono tue. Ci puoi fare quello che vuoi.
Se non vi viene in mente un prezzo, pensate che in Libia anche oggi, una ragazza come me, verrà venduta ad un prezzo che non supererà i mille euro. Tanto costa la vita di un migrante, quando i barconi vengono respinti e si ritorna in Libia, non più come donne e uomini liberi, ma come schiavi.
Pensavo a questo ieri sera, a quanto costerebbe la mia vita e il mio corpo se un domani perdessi sulle coste libiche quel pezzettino di carta che mi hanno rilasciato in posta l’altro giorno e che attesta il mio nome, cognome e luogo di nascita.
Ma sono sicura che, anche se avessi delle carte, qualcuno mi prenderebbe e mi venderebbe, semplicemente. E questo perché i neri in Libia valgono meno della lota che si azzecca a terra alla fine di un concerto.
E non lo dico perché questa mattina mi va di fare la vittima o di far incazzare qualcuno. Lo ha detto la CNN, con un reportage che denuncia la vendita di donne e uomini africani a Tripoli; che i migranti, gli africani in particolare, ogni giorno vengono venduti sulle coste Libiche, in una vera e propria asta di uomini a cielo aperto.
Mentre guardavo il video, si riuscivano a distinguere le voci dei venditori, voci ferme di uomini d’affari che ti rassicuravano sulla qualità e la resistenza del corpo nero.
Può lavorare, guarda come è forte, non si stanca, ha braccia forti, è resistente…
Immaginavo me stessa in quell’asta. Cercavo di cacciare dalla testa quel pensiero ma era difficile guardarmi allo specchio senza riconoscermi in quegli uomini.
Cosa avrebbero detto di me per convincere qualcuno a comprarmi? Che cosa dicono Delle migliaia di ragazze giovanissime, delle bambine che ogni giorno, dopo essere state respinte in mare dalla nuova Italia di Minniti, spariscono tra i cunicoli le sabbie libiche?
Che se verranno stuprate non piangeranno perché sono abituate già alle carceri libiche, a uomini che ti stuprano per tutto il giorno finché non muori o ti ammazzi da sola?
Ho la nausea per quello che scrivo perché so che è vero, ed è difficile da digerire persino per me.
Dovevo immaginarmi nei loro panni per fissare meglio nella mente l’odio che provo per ciò che l’Italia sta facendo ai migranti, ma per me è facile perché come ho detto, quando mi guardo allo specchio mi chiedo se somiglio davvero a tutte quelle persone, a tutti quegli africani e quelle africane non raggiungeranno mai l’Italia, che verranno venduti e che spariranno nel circuito della tratta. E voi, bianchi, italiani, quando vi guardate allo specchio cosa vedete riflesso davanti a voi?
Il volto di Minniti che si complimenta con se stesso per una politica dell’immigrazione che provoca assassini e stupri su larga scala? Osservate la pelle pallida e le mani, pensando che siano sporche di sangue quanto quello del Ministero degli Interni?
Che cosa vedete? Che cosa provate?
Io credo che le corrispondenze cromatiche non bastino a spiegare come stanno veramente le cose in Italia e, cosa pensino gli italiani di tutta questa faccenda e del modo in cui stiamo creando l’ennesima pagina di Storia popolata di mostri ed incubi che attingono ad un passato fascista, schiavista, neocoloniale, criminale.
Minniti non rappresenta l’Italia, perché io la conosco bene ed è stato in questo Paese che ho imparato cosa significhi essere solidali, rinunciando a riconoscersi solo attraverso quei privilegi di razza e classe che ti consentirebbero verosimilmente di comprare una persona come me.
Minniti con le sue politiche è riuscito a trasformare la lotta al traffico dei migranti in un traffico peggiore: quello degli schiavi.
I Barconi carichi di persone, dal momento esatto in cui vengono respinti diventano Navi Negriere, come quelle disegnate con inchiostro di china che abbiamo imparato a conoscere e dimenticare in quelle due misere pagine di Storia dedicate alla tratta degli schiavi africani.
Nessuno è al sicuro dai rigurgiti della Storia, non lo sono io e probabilmente non lo sarete nemmeno voi.
Ma di una cosa sono certa: 800 dinari libici è il prezzo che l’Europa e che, questa Italia del PD ha dato alla vita dei migranti.
Andate a convertirli in euro e conoscerete il prezzo della vita di migliaia di persone, il prezzo della mia stessa vita se dovessero espellermi in Ghana e decidessi di fare ritorno in Italia passando dalla Libia come migliaia di miei connazionali.
Ottocento dinari, il prezzo di una vita.
Il racconto è tratto dal profilo facebook dell’autrice
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