TERRITORI
Cosenza, senza un occhio in nome di Minniti e della “democrazia”
Una manganellata a tradimento, senza motivo, dritta sulla pupilla. Il 19 giugno scorso, Francesco Formisani, ingegnere informatico e studente in procinto di conseguire la laurea specialistica, insieme ad altre decine di persone stava contestando pacificamente la visita del ministro Minniti all’Università della Calabria, ad Arcavacata di Rende, nei pressi di Cosenza. A causa di quella manganellata ha riportato gravi danni a un occhio. Adesso vuole raccontare la sua storia. E si è presentato in procura per sporgere denuncia contro il poliziotto che lo ha colpito, fornendo prove fotografiche, referti medici e nominativi di testimoni.
Francesco, anzitutto come stai?
Ho riportato un danno neurologico che mi ha causato la midriasi della pupilla destra. È completamente dilatata e non risponde agli stimoli luminosi che invece dovrebbero causare la sua contrazione. Di questa condizione non conosco l’effettiva persistenza. Potrebbe essere permanente come no. I vari medici che mi hanno visitato, dicono che è necessario far passare qualche mese (3, 6 o 9) per capire se e quando il danno rientrerà o meno. In più da oggi dovrò portare degli occhiali da vista in quanto anche le diottrie ne hanno risentito.
Qual è il motivo che ti spinse, insieme agli altri tuoi compagni, a contestare quel giorno Minniti?
La stretta securitaria che c’è stata immediatamente dopo l’insediamento del ministro dell’Interno, è abbastanza evidente e dura. In nome delle due nuove parole d’ordine, decoro e legalità, si sono infatti riproposti atteggiamenti che credevamo ormai sepolti da 70 anni. Si pensi alle nuove misure prese nei confronti dei migranti o ai fogli di via contro i compagni e compagne in occasione del G7 di Maggio a Taormina, passando per le cariche alla movida di Torino, fino ad arrivare al più recente sgombero mattutino di Piazza Indipendenza a Roma. Esiste infatti una direttiva del ministero dell’Interno che invita a procedere con gli sgomberi dei palazzi occupati in tutt’Italia. Complice la solita emergenza terrorismo e sicurezza, il ministro Marco Minniti ha impostato la sua azione sulla sicurezza e decoro urbano, caposaldo di quel decreto Minniti-Orlando dove si parlava di Daspo urbano e di ordinanze dei sindaci contro abusivi e accattonaggio vessatorio.
Com’è cambiata la tua vita dopo quella giornata?
Soffro di una notevole fotofobia che si traduce in tutti quei “fastidi” e disagi che sto vivendo quotidianamente. Solo per accennarne alcuni, avverto frequenti mal di testa, ho la necessità di dover portare gli occhiali da sole durante tutte le mie ore di veglia. La mia giornata è scandita interamente dalle applicazioni dei colliri che tendono a mitigare leggermente gli effetti della midriasi.
Che lavoro fai?
Il mio studio e il mio lavoro si svolgono prevalentemente al computer. Ogni volta che sto più di un paio d’ore davanti allo schermo del PC, mi si scatena una forte emicrania.
Quella del giugno scorso fu una manifestazione pacifica oppure c’era tra di voi la volontà di arrivare allo scontro?
Eravamo studenti, ricercatori, docenti, disoccupati, dirigenti e militanti di sindacati, migranti, occupanti di case e singoli cittadini. C’erano finanche dei bambini, il tutto a dimostrare la nostra “pericolosità” e le “cattive intenzioni”… Il concentramento era alle pensiline degli autobus dell’Unical e lì abbiamo iniziato la sensibilizzazione degli altri studenti rispetto alle motivazioni della nostra contestazione. Dopo un paio d’ore venivano chiuse entrambe le strade d’accesso all’Unical da cordoni di polizia, carabinieri e guardia di finanza, tutti in assetto anti sommossa, in quanto era imminente l’arrivo del Ministro. Vista l’impossibilità di raggiungere il piazzale antistante l’aula magna, luogo in cui si doveva tenere l’incontro pubblico, abbiamo deciso di comune accordo con i “dirigenti responsabili della sicurezza e dell’ordine pubblico”, di manifestare sul ponte carrabile dell’Università e stendere dallo stesso, in corrispondenza dell’Aula magna, degli striscioni, di cui peraltro il contenuto era stato reso pubblico diversi giorni prima sia sulla carta stampata che sul web.
Perché la polizia caricò?
Nel momento in cui siamo giunti sulla parte del ponte che affaccia sull’aula magna, e non appena abbiamo iniziato ad appendere uno degli striscioni e a srotolarne un secondo, l’atteggiamento delle forze dell’ordine è mutato improvvisamente, impedendoci di esporre il primo striscione, spingendoci e schiacciandoci pericolosamente contro i parapetti del ponte e strappando dalle mani il secondo.
Quindi, sono iniziate le cariche della Polizia contro di noi per spingerci lontano dalla parte visibile del ponte e rendere “decorosa e pulita” la passerella del ministro. Quasi contemporaneamente all’interno dell’aula magna un ricercatore che aveva osato contestare il Ministro, è stato prontamente allontanato. Infine in un momento in cui mi stavo riportando indietro, sono stato colpito duramente da un agente di polizia con un manganello all’altezza della parte superiore dello zigomo destro. Ripensando a quanto accaduto e rivedendo le immagini, mi rendo conto del fatto che il bilancio dei feriti poteva essere molto più grave visto anche il luogo fisico in cui ci trovavamo. Ad ogni modo, realmente grave è stato l’atteggiamento inutilmente (ammesso che mai sia utile) aggressivo e delle forze dell’ordine quel giorno. Basti pensare che durante la prima carica sono stati sorpresi e coinvolti anche alcuni dirigenti con cui stavamo parlando.
Credi che in questo Paese esista la libertà di manifestare?
La risposta rischia di scivolare sul filosofico e sul retorico. Potrei dire che la libertà di manifestare è ancora prevista dalla costituzione ma poi ci si scontra inevitabilmente con la realtà. Mi chiedo infatti se impedire anche la semplice affissione di uno striscione per non sporcare la passerella del ministro all’interno di un’università non sia sintomo di un atteggiamento che dimostra invece il contrario. Il problema è infatti più profondo.
Noi italiani siamo esterofili convinti, per cui ci indigniamo profondamente solo quando questi fatti succedono all’esterno dei nostri confini geografici, per cui siamo pronti a condannare l’atteggiamento dittatoriale di Erdogan in Turchia o a condannare con forza le violenze recenti accadute in Catalogna. Certo, poi ci dimentichiamo magari del fatto che il nostro Stato è stato condannato più volte dalla Corte europea dei diritti umani per gli atti di tortura perpetrati dalle forze dell’ordine nella notte tra il 20 e 21 luglio 2001 nella scuola Diaz, durante il G8 di Genova, ai danni di diverse persone. Ma si sa il potere non si può e non si deve contestare e mettere in discussione in nessun modo, per cui passino anche le cariche al corteo degli operai Thyssen del 2014 che protestavano perché l’azienda voleva licenziare oltre 500 persone, ed è inutile ovviamente menzionare tutti gli episodi che hanno visto invece coinvolti gli studenti.
Perché ti sei deciso a raccontare la tua storia?
Sono stato tirato in ballo direttamente e forzatamente da un articolo apparso su una testata giornalistica online qualche settimana fa. Ho tentato fino a quel giorno di far restare la mia vicenda personale il più possibile in secondo piano in quanto solitamente ci si concentra sui singoli episodi, quelli che fanno più notizia, e così facendo si decontestualizza l’accaduto e si tralasciano quasi completamente i fatti, il tempo, il luogo e specie le motivazioni che nel caso specifico ci hanno spinto quel giorno a manifestare e contestare il Ministro Minniti. Quello che è successo a me quel giorno poteva infatti succedere a chiunque.
Cosa speri di ottenere con la tua denuncia?
Innanzitutto ribadire il fatto che l’università rappresenta ancora un luogo libero in cui si possa e debba formare un pensiero critico e quindi anche la possibilità di manifestarlo anche se in contrasto con i dettami del governo di turno. Oramai invece si sta asservendo alla politica riducendosi a una triste e servile passerella per i vari politici di turno per di più sempre accompagnati dalla presenza delle forze dell’ordine come scorta.
Inoltre, mi piacerebbe che si aprisse nuovamente il dibattito sulla necessità di introdurre numeri identificativi del reparto e/o della persona sulle divise degli agenti, sull’introduzione di chiare regole di comportamento da parte della Polizia in occasione di cortei e manifestazioni pubbliche, considerando anche il fatto che, per quanto riguarda l’uso del manganello esso “…non deve essere considerato come un mezzo punitivo” e deve essere utilizzato indirizzando i colpi “mai al capo, al volto e a tutte le parti vitali del corpo”, cosa che invece accade purtroppo regolarmente. Anche per questo motivo ho deciso di presentare alla procura della Repubblica una denuncia-querela, tramite l’avvocato Eugenio Naccarato, in modo da riuscire non soltanto a individuare i soggetti responsabili della deprecabile violenza perpetrata nei confronti miei e di altre persone, attuata al solo fine, probabilmente, di evitare “imbarazzi” o critiche legittime al Ministro dell’Interno, ma anche per scongiurare il ripetersi di questi abusi nei confronti dei cittadini e della loro libertà di manifestazione del pensiero.