ROMA

Non spegnete quella radio

A Roma, nel quartiere di San Giovanni, un altro palazzo occupato rischia lo sgombero, ma dentro c’è un intero pezzo di mondo.

Roma, ottobre 2017. Un autunno che pare essere cominciato sotto i raggi ancora caldi del sole, che senza arrendersi sfidano la grande nube scura che incombe, silenziosa e inquietante, su tutta la città, su tutti i suoi abitanti e le loro case. Per chi una casa ha la fortuna di avercela, s’intende! Già da molti mesi, forse da anni, assistiamo all’opera inesauribile di desertificazione sociale e culturale, portata avanti da chi attraverso la forza una volta, la legge un’altra, e giochi di potere un’altra ancora, decide di giostrare le vite di altri cittadini, di altri esseri umani, come fossero marionette.

Noi, però, non vediamo nessun palco sotto i nostri piedi, né tantomeno un pubblico pagante a godere dello spettacolo. Quello che vediamo è invece una realtà resa sempre più precaria da istituzioni carenti, da leggi razziste, da una generale incapacità di dialogo e ascolto da parte di chi gestisce la cosa pubblica. Che poi, ci chiediamo, che cos’è davvero pubblico?

Pubblico e condiviso, dunque comune, dovrebbe essere tutto ciò che concerne i reali bisogni della collettività, i suoi diritti. Quelli inalienabili. Come la salute, l’istruzione, la sussistenza e un tetto sopra la testa.

Su quest’ultimo punto nei mesi e settimane appena trascorsi si sono aperte reali voragini, che dimostrano chiaramente la mala gestione nonché l’inadeguatezza delle istituzioni a rispondere con responsabilità e civiltà ai reali bisogni di migliaia di persone che vivono oggi in situazioni precarie di abitazione. Stiamo parlando delle migliaia di persone straniere e italiane, che compongono quella complessa parte sociale spesso definita “fragile e sensibile”. Persone, donne, uomini, anziani e tanti bambini che vivono perennemente nella paura di uno sgombero improvviso e spesso, come ci hanno chiaramente dimostrato, violento. Cittadini e cittadine che vivono nella reale difficoltà di progettare il proprio futuro. Roma conta, ad oggi, oltre 200mila immobili sfitti o invenduti, a fronte di un centinaio di palazzi occupati, i cui sgomberi paiono essere tra le priorità dirimenti del governo. Le politiche e le strategie messe in campo fino ad ora, mostrano in maniera evidente un totale disinteresse e un continuo rimpallo di responsabilità delle istituzioni, nei confronti di una parte sociale, fortemente presente nelle grandi città, che necessita invece, in maniera netta ed evidente, di maggiori tutele.

Davanti a ciò che sta accadendo, è nostra responsabilità riportare all’attenzione delle istituzioni – così come della proprietà pubblica e privata e di chi spesso fa informazione approssimativa con il solo intento di incrementare il clima di odio e di paura, di razzismo e individualismo che già imperano urlanti nella nostra città – una riflessione ampia e puntuale, costruitasi con l’esperienza e anche con i numeri, di uno spazio sociale autogestito, che guarda caso sorge proprio all’interno di un palazzo un tempo abbandonato.

Abitato oggi da oltre 40 nuclei familiari, da soggetti fragili che vivono una realtà già in partenza priva di una rete reale di welfare e di sostegno, il palazzo in questione sorge a Viale Carlo Felice – San Giovanni – è di stile umbertino e ha una lunga storia. Di proprietà di Bankitalia, l’immobile è stato lasciato nell’abbandono più totale dal 1989 fino al 2003, quando decine di persone lo hanno riportato in vita attraverso l’autorecupero guidati e sostenuti dal movimento per il diritto all’abitare ACTION. Nel 2003 il palazzo, nonostante alcuni lavori di messa in sicurezza effettuati in precedenza dalla proprietà, si presentava in totale stato di abbandono e di degrado. Raramente si sente dibattere circa le responsabilità dei proprietari in merito all’utilizzo dei propri immobili invenduti, sfitti o inutilizzati.

Questa incuria non è svincolata dal territorio, anzi vi incide fortemente: non verificare le buone condizioni dei propri immobili abbandonati, significa non mostrare il minimo interesse e preoccupazione circa la situazione igienico-sanitaria del territorio e degli abitanti circostanti. Significa incentivare il degrado fatto di immondizia e rifiuti vari che si accumulano dentro e intorno gli immobili. Non intervenire sulla manutenzione degli immobili significa, inoltre, favorire la precarietà strutturale e interna degli stessi e va da sé che grazie all’autorecupero viene garantita maggiore stabilità strutturale.

Pertanto, tale atteggiamento irresponsabile si fonda su interessi di tipo economico relativi, ad esempio, agli sconti di cui i costruttori godono sugli immobili invenduti e in alcuni casi alla totale esenzione Imu varata con Legge di stabilità 2016.

D’altro canto, si assiste ad una sempre maggiore attenzione su quegli immobili sfitti e abbandonati che sorgono in zone centrali, più turistiche, magari diventate da un giorno all’altro zone di rinnovata speculazione e interesse commerciale ed edile, grazie all’apertura di nuovi snodi metropolitani.

Congiuntamente, proprio in quelle zone ad alto interesse economico, è chiara la volontà di eliminare qualsiasi espressione di socialità e aggregazione dal basso, quasi fosse una forma di epurazione culturale, a vantaggio di un deserto che nel nostro municipio, il 1°, è in evidente e preoccupante avanzamento.

Si pensi, ad esempio, alla storia recente del quadrante, dove in soli due anni sono state cancellate due esperienze importanti di welfare e di accoglienza. La palestra popolare che sorgeva in via Nola 5, sgomberata a colpi di ruspe, l’ex Filanda sede di un Centro di prima accoglienza a viale Castrense, inquisito nell’ambito di Mafia Capitale prima e scenario di due incendi dolosi poi, l’ex palestra castello espropriata alle associazioni di quartiere che da 40 anni emettevano servizi per San Giovanni e infine l’ex centro di accoglienza alloggiativa temporanea nei pressi della tangenziale, sgomberato dalla proprietà della Famiglia Vaselli a fronte dell’insolvenza di Roma Capitale.

Immobili di cui ora rimangono solo macerie e stanze vuote, luoghi violentati e sottratti a un utilizzo collettivo e sociale, simbolo di un degrado che è a tutti gli effetti istituzionale.

A farne le spese sono, in primis, gli abitanti del municipio, che si confrontano ogni giorno con un territorio privo di spazi di socialità, di aggregazione e di cultura che hanno per antonomasia la capacità di rendere vive e dinamiche le città, di renderle vivibili e felici.

Se ci si sposta di poco, si ritrovano altre importanti esperienze sottratte al territorio e alla collettività grazie ai tagli dei Fondi alla Cultura: si pensi all’arena estiva di piazza Vittorio (che tra le altre proponeva un’interessantissima rassegna sul Festival di Locarno) o al cinema Apollo 11, sede della nascita di un’esperienza artistica multiculturale apprezzata in tutto il mondo, l’Orchestra di Piazza Vittorio. E ancora, un Cinema-Teatro di Proprietà di Roma Capitale oggi sotto sequestro, voluto dalla giunta capitolina stessa per abbandono e incuria, nonostante diverse associazioni di quartiere avessero presentato un progetto di autorecupero e riqualificazione (per maggiori info).

Restringendo la lente su viale Carlo Felice, dove sorge il palazzo di Bankitalia, la situazione è la seguente: illuminazione scarsissima e molto spesso in black out lungo tutta la via; cassonetti della spazzatura strabordanti per giorni e adiacenti, inoltre, a ristoranti ed esercizi commerciali strangolati dal caro affitti generato dalla bolla immobiliare del 2008, i giardini Carlo Felice lasciati in totale stato di abbandono e disinteresse dalle istituzioni e riportato a nuova vita, con pulizie e migliorie varie da cittadini volontari. La mancanza di almeno un attraversamento pedonale per tutto il viale, cosa che rende di difficile e pericolosa mobilità una strada già trafficatissima (il quartiere di San Giovanni detiene il primato capitolino per inquinamento privato da Co2), così come l’assenza di una pista ciclabile. E ancora, la presenza di barriere architettoniche che lo rende non percorribile per chi ha disabilità.

In questo oscuro contesto, ciò su cui continuamente vengono puntati i fari è il palazzo di viale Carlo Felice 69, la sua presunta precarietà strutturale e la conseguente cacciata degli abusivi. Cosa che parrebbe immediata, stando alle informazioni fornite da diverse testate giornalistiche, così come dall’elenco definito nella delibera 50 dell’aprile 2016 stilato dall’ex commissario straordinario del Campidoglio Francesco Paolo Tronca.

Bene, all’interno del palazzo in questione, precisamente al piano terra, sorge, da ormai 13 anni, un Centro Sociale, il CSOA Sans Papiers. Questo ospita al suo interno un’esperienza di comunicazione digitale, Radiosonar.net, una webradio che nei soli 12 mesi appena trascorsi ha contato oltre 70mila accessi unici di ascolto. Una webradio che trasmette 365 giorni all’anno e che al momento offre un palinsesto di oltre 20 trasmissioni, che vede più di 50 persone attraversare lo studio annualmente. Uno strumento radiofonico totalmente autofinanziato e gestito in maniera volontaria, tramite cui paga legittimamente le dovute tasse. Grazie allo strumento e allo spazio radiofonico molti progetti, tra loro diversificati entrano in connessione, creando aggregazione. Ma non solo aggregazione, anche la messa a valore di nuove professionalità e competenze.

Un network che valorizza ogni singolo progetto, mantenendone le caratteristiche specifiche ed individuali, anche grazie allo spazio offerto dallo stesso sito della radio. Un progetto polivalente e transmediale, aperto a trecentosessanta gradi.

Multiculturalità e inclusione sociale attraverso il lavoro di gruppo e la condivisione dei saperi, antifascismo, antisessismo, antirazzismo, sono i valori che guidano il progetto. Esso sostiene e promuove quelle realtà che si adoperano per la tutela dei diritti dei più deboli, per la rivalutazione di spazi liberati dalla speculazione e rigenerati, per la costruzione di percorsi di democrazia diretta dal basso e la tutela dei Beni Comuni Urbani.

Un percorso che negli anni ha costruito reti solide e riconosciute con altre esperienze romane, nazionali ed internazionali, che è diventato un sostegno importante per il racconto di cortei e manifestazioni, così come di festival indipendenti (e non) romani e nazionali (Ifest, Festival Alta Felicità e tanti altri).

Un progetto che, in definitiva, racconta la realtà con uno sguardo libero, sostenuto dalla grande partecipazione ed entusiasmo di chi vi contribuisce internamente e anche dall’interesse sempre crescente di chi l’ascolta e la cerca sul web.

Il percorso di Radiosonar.net si incrocia, da oltre 10 anni, con la storia del Sans Papiers, lo spazio (fisico) che lo ospita. A seguito del silenzio da parte dell’ex IV e I Municipio di Roma, relativamente alla richiesta formale di uno spazio per attività socio-culturali multidisciplinari da parte di un gruppo di giovani del quartiere costituitosi all’epoca in associazione legalmente riconosciuta, nasce una prima collaborazione con gli abitanti di viale Carlo Felice 69. Questa porta alla costruzione di differenti attività, all’interno dello spazio e nel territorio: il cinema estivo a Villa Fiorelli, il sostegno alla vertenza dei lavoratori e lavoratrici del cinema Ambra Jovinelli e l’avvio di una ciclofficina. Successivamente il Sans Papiers è stato sede di innumerevoli iniziative, promosse da un collettivo che negli anni ha visto diversi ricambi. Foltissima è la produzione culturale che ha animato lo spazio in questi anni: rassegne cinematografiche gratuite, assemblee pubbliche, approfondimenti tematici, corsi di italiano per donne straniere, corso di arabo, sportelli di orientamento legale per migranti, mostre fotografiche, presentazioni di libri, esposizioni artistiche di diverso genere, spettacoli teatrali e performance artistiche (nazionali e internazionali) a prezzi calmierati. Un luogo dove si può usufruire di wifi gratuito, che è sala studio e internet point e ha dato accoglienza e allegria ai rifugiati dell’ex Centro di prima accoglienza di via Castrense citato precedentemente. Un luogo sempre aperto per chiunque lo voglia conoscere, che ha offerto spesso ospitalità e riparo a persone fragili ed emarginate. Gli spazi del Sans Papiers sono a disposizione per prove teatrali, musicali, per riunioni di altre realtà e associazioni e anche per proporre serate musicali e ludiche, volte alla socialità e all’aggregazione.

I temi principalmente affrontati nelle diverse iniziative ruotano attorno al diritto all’abitare, agli abusi in divisa e al sostegno psicologico e legale delle famiglie che hanno subito perdite di cari, alla tutela e difesa della proprietà intellettuale e diritto d’autore, alle lotte dei lavoratori precari, degli studenti, dei migranti. E naturalmente all’antifascismo. Negli anni sono andate consolidandosi reti e connessioni con altre realtà, NoTav e Rete Kurdistan, per citarne solo alcune.

Il collettivo nel tempo si è fatto carico attraverso l’autotassazione e autofinanziamento di mantenere vivo lo spazio riempiendolo di contenuti e attività, ma non solo, si è prodigato per renderlo più accogliente e sicuro per chi lo attraversa. Molti sono stati gli interventi realizzati a questo scopo: grossi lavori di edilizia, ripristino delle condotte fognarie, manutenzione dei terrazzi condominiali al fine di eliminare le infiltrazioni di acqua piovana, disinfestazioni, migliorie varie. I riflettori puntati su questa presunta precarietà strutturale del palazzo, atta a giustificare, pare, uno sgombero immediato dell’immobile, ci fa molto riflettere.

Le informazioni a nostra disposizione riguardo alla precarietà strutturale dello stabile divergono da quelle diffuse dalla stampa e si basano su una testimonianza diretta con i vigili del fuoco, venuti meno di un anno fa a realizzare controlli e perizie sulla struttura dopo gli eventi sismici dell’estate 2016.

Ciò che ci è stato detto a voce in quell’occasione, oltre un riconoscimento per i lavori di traspirazione fatti ai muri del nostro spazio, è che l’immobile riscontra sì problemi, ma in molti casi facilmente risolvibili e in definitiva non imputabili di eventuali situazioni di crolli. Inoltre, sia i funzionari della Digos, sia i VDF avevano l’ordine di “evacuazione immediata” nel caso in cui fossero stati rilevati segni di cedimenti strutturali.

Di fronte alla campagna informativa, diffusa soprattutto nelle ultime settimane, che grida alla pericolosità strutturale del palazzo, noi chiediamo urgentemente una risposta. Com’è possibile che le istituzioni non abbiano agito per salvaguardare le vite e i diritti di oltre 100 persone che ci vivono notte e giorno? E di conseguenza per trovare una soluzione abitativa alternativa?

La reale pericolosità si nasconde nella modalità perseguita dal governo, quale risposta “necessaria” all’emergenza abitativa, come ha dimostrato chiaramente lo sgombero di piazza Indipendenza. Non si tratta di emergenza, lo ribadiamo, bensì di necessità abitativa.

Questo atteggiamento, totalmente irresponsabile è la sola cosa realmente “pericolante” che noi osserviamo. Non sarà che l’aumento dei prezzi immobiliari della zona di San Giovanni, alla luce – guarda caso – dell’apertura della metro C, faccia gola alla proprietà fino ad ora disinteressata all’immobile e d’un tratto voracemente decisa a riprendersi ciò che, solo sulla carta, è suo? Cos’ha fatto la proprietà in questi anni per dare dignità ad una strada buia, la cui unica luce e unico luogo vivo è rappresentato dallo spazio sociale? Il Csoa Sans Papiers insieme a Radiosonar sono a tutti gli effetti spazi di partecipazione attiva, di mutualismo. Spazi, rappresentati da persone, che da sempre hanno mostrato appoggio e solidarietà, vicinanza e protezione agli abitanti dei piani superiori. E se cacciano loro, noi di certo non staremo a guardare in silenzio. Al contrario, ci batteremo fino in fondo per proteggere le vite degli occupanti, la loro e la nostra storia. Rivendichiamo il patrimonio sociale e culturale che si è reso possibile in quelle quattro mura e chiediamo alle istituzioni competenti, Municipio, Comune, Regione Lazio e Proprietà una valida alternativa per la regolare prosecuzione delle attività socio-culturali, perché non siamo disposti a perdere ciò che abbiamo costruito a titolo volontario e gratuito per il quartiere e la città. Per questo, necessitiamo di una risposta chiara, anche alla luce della riqualificazione di parte del palazzo relativo al centro sociale, il quale rappresenta un impegno che pretendiamo riconosciuto da parte delle istituzioni. Non siamo disposti a cedere ai ricatti di un sistema che dà la caccia a chi crea cultura e mutualismo e a chi tutela i più deboli, creando welfare, dialogo, cultura, ricchezza in una città continuamente martoriata nella sua parte più solidale e impegnata. Esigiamo che le istituzioni, così come la proprietà, ci diano risposte chiare e verificabili, e che i giornalisti abbiano la professionalità di entrarci davvero, nei luoghi che raccontano.