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Il Venezuela tra Costituente, crisi economica e violenza paramilitare

In vista delle elezioni per l’Assemblea Costituente, tra violenza paramilitare dell’opposizione e crisi economica
, una conversazione con l’attivista venezuelano Jose Miguel Gomez per comprendere cosa accade in questo momento decisivo per il futuro del paese latinoamericano

Domenica 30 luglio si vota per l’Assemblea Costituente mentre aumenta la violenza paramilitare dell’opposizione che lancia l’offensiva contro il governo chavista e annuncia che non riconoscerà l’esito delle elezioni (appoggiata da Usa e Colombia). Una conversazione con l’attivista venezuelano Jose Miguel Gomez per comprendere cosa accade in questo momento decisivo per il futuro del paese latinoamericano.

Come ha segnalato la scorsa settimana Marco Teruggi da Caracas meno di due settimane fa Trump ha minacciato sanzioni contro il Venezuela se il governo procede con il processo Costituente, mentre le opposizioni di destra hanno annunciato un governo parallelo, la volontà di impedire le elezioni della Costituente e un aumento della mobilitazione che in questi giorni è stata un flop, principalmente basata sull’azione paramilitare minoritaria. Due settimane fa si sono tenute le prove di forza dei due schieramenti: le elezioni-farsa di un referendum dell’opposizione (che non ha dato prova pubblica alcuna dei numeri di votanti annunciati e ripetuti dai media internazionali) e contemporaneamente le elezioni di prova della Costituente, completamente invisibilizzate dalla stampa internazionale in cui hanno votato milioni di elettori.

Incontriamo a Buenos Aires Jose Miguel Gomez, co-fondatore della Comuna Pio Tamayo e della fabbrica recuperata ed autogestita di proprietà comune Proletarios Unios di Barquisimeto, a pochi giorni dalle elezioni dell’assemblea costituente. Lo abbiamo conosciuto due anni fa in Venezuela durante l’incontro internazionale Economia dei Lavoratori, uno spazio di riflessione, dibattito ed organizzazione tra ricercatori e studenti, lavoratori e lavoratrici dell’autogestione, delle fabbriche recuperate, delle cooperative, dei sindacati conflittuali impegnati nelle lotte per una economia dei lavoratori. In occasione dell’incontro venezuelano abbiamo avuto opportunità di conoscere diverse comunas, alcune imprese di proprietà sociale e comunale e organizzazioni di base che oggi sono pesantemente sotto attacco della destra e dei paramilitari, ma anche bloccate ed ostacolate dalla burocrazia e dalla corruzione statale e del governo. Abbiamo incontrato comuneros, studenti e lavoratori di cooperative, organizzazioni di base di donne e uomini che nel processo bolivariano costruiscono quotidianamente spazi di autogestione ed autogoverno dal basso che hanno dato vita ad importanti esperienze di contropotere popolare, di produzione, (auto)organizzazione e autodifesa a livello territoriale.

Con questa conversazione ci interessa mettere in luce le sfide e le complessità della profonda crisi che investe il Venezuela e che riguarda processi politici, economici e sociali che avvengono su molteplici scale, tanto a livello nazionale che regionale e globale. Da un lato si tratta di questioni e problematiche che interrogano complessivamente tanto i processi di lotta sociale e popolare quanto le politiche dei governi progressisti e neosviluppisti in America Latina che nell’attuale fase dello sviluppo capitalistico riproducono dinamiche di intensificazione delle politiche neoestrattive, istituiscono Zone Economiche Speciali, mantengono la dipendenza dalle materie prime nel pieno della finanziarizzazione dell’economia in un contesto di crisi economica. Al tempo stesso il continente è attraversato da una nuova offensiva reazionaria, conservatrice e neoliberale esemplificata dai governi di Brasile e Argentina, e da una crescente violenza diffusa nei territori e nelle aree urbane (violenze contro le donne, i migranti, i neri, violenze legate al narcotraffico, criminalizzazione delle economie informali e aumento di forme di accumulazione capitalistica illegale violenta, spossessamento e frammentazione di territori, comunità, reti e tessuti sociali). D’altra parte occorre situarsi nella specificità dei processi politici, sociali ed economici in Venezuela guardando al medio periodo, alle conquiste in termini di diritti, democrazia e redistribuzione economica che i quindici anni di chavismo hanno portato, fino alla crisi politica ed economica attuale. Di certo la minaccia revanchista che un ritorno delle elite oligarchiche al potere potrebbe rappresentare per i settori popolari e per le conquiste sociali, democratiche e popolari che il chavismo rappresenta sarebbe un approfondimento ulteriore e violentissimo delle sofferenze sociali (assenza di cibo e medicine, miseria, tagli e assenza di servizi) che l’attuale crisi sta comportando per milioni di persone in Venezuela. Il paese sta attraversando una difficile crisi economica da almeno due anni legata a fattori economici e politici sia interni che esterni, in relazione a dinamiche che coinvolgono il livello nazionale e sovranazionale, in una composizione di caduta del prezzo del petrolio, corruzione, contrabbando, paramilitarismo (sostenuto dalla Colombia e da interessi statunitensi) e narcotraffico che lacerano le condizioni di possibilità di trasformazione sociale, in uno scenario in cui il governo è incapace di rispondere in maniera efficace (per ragioni interne ed esterne) alla crisi e al sabotaggio economico (la cosiddetta guerra economica che colpisce con intensità differenti il paese da almeno due anni) portata avanti dalle imprese private dell’oligarchia venezuelana che gestiscono produzione e distribuzione degli alimenti, e alle crescenti proteste dell’opposizione con diversi momenti di repressione da parte del governo (con decine di manifestazioni negli ultimi mesi e una radicalizzazione violenta, come spieghiamo nell’articolo, delle proteste, con scontri tra manifestanti e forze dell’ordine a Caracas e in diverse altre città).

Mentre i media internazionali sono impegnati principalmente a sostenere e legittimare le opposizioni di destra responsabili di sempre maggiori violenze di stampo paramilitare dipinte come “democratiche” mobilitazioni (che sono in calo come numero di presenze mentre aumenta la violenza organizzata dei gruppi più radicali, come racconta su publico.es Alberto Pradilla) riteniamo utile guardare al Venezuela a partire da una prospettiva critica situata nei percorsi di lotta e resistenza dal basso alle forme in cui si territorializza l’offensiva capitalistica globale (gestita dalle oligarchie, dal potere finanziario e anche dallo governo venezuelano). Interrogando i limiti, le responsabilità, i punti di crisi, le ambivalenze e i punti di blocco del processo bolivariano e del governo di Maduro, riteniamo fondamentale denunciare le violenze paramilitari che l’opposizione della MUD ha dispiegato, finora senza successo, contro il governo e contro le esperienze militanti di autorganizzazione e di lotta nel paese. Negli ultimi tre mesi di mobilitazioni dell’opposizione si contano un numero gravissimo di oltre cento morti, tra cui diciannove persone bruciate vive dall’opposizione, perchè negre o chaviste, diversi morti causati dalla violenza paramilitare e da violenze legate a saccheggi, 14 accertate come vittime della repressione di Stato, mentre nel caso di altre 44 le responsabilità sono contese tra Stato e opposizione, mentre sono decine gli assalti armati contro piccoli negozi, autobus pubblici, istituzioni dello Stato, ospedali, magazzini di viveri, fabbriche autogestite, centri di salute comunitari. Una situazione davvero drammatica rispetto alla quale è importante comprendere le dinamiche e la posta in palio del conflitto in campo.

Mancano pochi giorni alle elezioni dell’Assemblea Costituente e l’opposizione ha lanciato l’offensiva finale contro il governo. Cosa sta accadendo in Venezuela in questi ultimi mesi dal punto di vista delle mobilitazioni dell’opposizione e dell’aumento della violenza?

La destra sta portando avanti un tentativo costante di golpe a miccia lenta, per usare l’espressione di Chavez, sin dal golpe militare fallito del 2002, quando una insurrezione popolare riportò al governo il presidente Chavez eletto democraticamente. In questi ultimi anni ci sono state diverse prove di azioni violente simili a quelle attuali: forme di guerra non convenzionale, appoggiate dai poteri mediatici a livello mondiale, con piccoli fuochi di mobilitazione nei municipi governati dall’opposizione. Attualmente sono circa 8 (su 60) i municipi in cui l’opposizione scende in piazza, principalmente a Caracas, nello Stato Miranda governato dal lider oppositore Capriles che si trova vicino ai centri del potere. I primi mesi di quest’anno sono stati tranquilli ma ad inizio aprile c’è stata una sorta di dichiarazione di guerra contro il governo da parte dell’opposizione. Quel che accade in Venezuela è che un gruppo di politici dell’opposizione si è sollevato contro il governo: la destra venezolana ha in mano l’Assemblea Legislativa, che usa come piattaforma politica per abbattere il governo Maduro. C’è un gruppo che si è sollevato in forma paramilitare contro il governo e usa sistematicamente la violenza, gruppi di delinquenti e giovani poveri dei quartieri popolari pagati per commettere violenze, come abbiamo già visto nel 2014 con le guarimbas che hanno portato a 43 morti in sei mesi. Oggi la violenza è ancora più alta, contiamo più di cento morti in soli quattro mesi.

Gran parte dei morti sono causati da oggetti contundenti e da armi da fuoco, una ventina sono stati bruciati vivi dall’opposizione, alcuni sono morti per abusi di potere della Guardia Nazionale (e diversi sono i poliziotti sotto processo per questo), ma la maggior parete delle morti sono state causate da questi paramilitari travestiti da “studenti”. Tutte le lotte popolari vengono invisibilizzate, mentre questi gruppi hanno visibilità in tutto il mondo, perché? C’è l’interesse a provocare una guerra civile, l’interesse di chi lucra sulla guerra, sul contrabbando, sulla vendita di armi. La settimana scorsa durante le proteste contro la sede della Venezuelana Televisiòn c’era un uomo armato di M15, questa cosa è molto preoccupante, perché al centro della questione sappiamo che c’è il controllo del petrolio e gli interessi imperiali di Usa, Russia e Cina. Nelle ultime settimane a Barquisimeto abbiamo visto un attacco sistematico contro le istituzioni pubbliche: stanno bruciando scuole, ieri hanno incendiato la sede della Impresa elettrica e il Bicentenario (una banca statale). Sequestrano e incendiano camion che trasportano benzina e gas, magazzini con tonnellate di viveri, da lì si capisce che evidentemente si tratta di una offensiva contro il popolo che patisce la fame. Non attaccano solo il governo, ma il popolo. La quotidianità delle persone è pesantemente colpita dalle vie chiuse con alberi tagliati (ne hanno tagliati 8 milioni in pochi mesi) per impedire la libera circolazione, con blocchi stradali che modificano la dinamica della vita urbana. Fino ad una violenza estrema come nei casi di persone accusate di essere chaviste per il colore della pelle fermate per strada, riempite di benzina e bruciate vive, legate ad un palo e abbandonate per strada (alcune salvate dalla polizia prima di essere bruciate). E’ successo diverse volte contro persone di colore, che fossero o meno chaviste, ad una tiravano pietre nonostante fosse già morta, in mezzo alla strada.

Come reagiscono di fronte a questa situazione le comunas, le basi del chavismo, gli abitanti dei quartieri popolari, i movimenti sociali e territoriali?

La gente resiste e si organizza: se sa che ci sarà una guarimba, cerca di organizzarsi per comprare le cose di cui ha bisogno, per non dover uscire durante la protesta. In Venezuela il commercio è già pesantemente colpito da queste proteste, in molte zone non si possono aprire i negozi altrimenti vengono dati alle fiamme. I commercianti sono spaventati o in bancarotta. Viviamo intere giornate di saccheggi a Valencia, Maracai, Marinas e nelle principali cità del paese. Ma non sono saccheggi per fame, è in gran parte la delinquenza organizzata che saccheggia. C’è molta coscienza nelle organizzazioni popolari, nelle comunas e nelle organizzazioni di base. I settori popolari resistono, non hanno cercato di combattere frontalmente le guarimbe, perché stanno solo aspettando questo per invadere il paese. Immaginati, un gruppo di militanti chavisti armati che usa la forza per combattere questi gruppi per strada, sarebbe l’immagine perfetta da far uscire nei media internazionali per dare il via ad un intervento militare. Si direbbe “Il governo ha armato dei gruppi” o “Il governo ha armato delle milizie di strada che stanno attaccando…”. Sarebbe lo scenario peggiore possibile. Ieri i lavoratori della televisione di stato di Canal 8 di Venezuela Televisión hanno respinto un assalto assieme alla guardia nazionale. I lavoratori della televisione e la guardia nazionale insieme, hanno allontanato un gruppo che era arrivato fino alla sede e aveva dato fuoco alla guardiola della polizia. La stessa dinamica è avvenuta presso Lácteos los Andes, una delle grandi imprese di latte di Barquisimeto. Hanno assediato e tentato di occuparla e darla alle fiamme, i lavoratori sono usciti de hanno respinto i manifestanti. Ma queste sono le uniche azioni in cui abbiamo visto i settori popolari scontrarsi con i manifestanti.

Come siamo arrivati a questa situazione? Quali sono le responsabilità del governo rispetto al contesto in cui si trova il paese?

Chavez è riuscito a portare avanti un processo di governo con investimenti nel sociale per garantire ospedali, salute, università, alimentazione ai settori popolari, ma non ha cambiato la struttura dello Stato, che è rimasto uguale a cinquant’anni fa. Lo Stato non è configurato affinchè il popolo governi, ma affinchè obbedisca, nonostante il governo bolivariano abbia inserito nella Costituzione importanti strumenti di democrazia partecipativa e di protagonismo popolare in alternativa alla sola democrazia rappresentativa, lo struttura statale non è stata modificata. Dopo la morte di Chavez si è data una crisi economica e di governabilità di cui le destre hanno approfittato per indebolire il governo. La combinazione di un modello di Stato che non permette un potere popolare, un governo dominato da burocrazia e corruzione e la crisi economica ha prodotto questa grave situazione in cui ci troviamo oggi. Come può lo Stato combattere la burocrazia e la corruzione che è parte integrante della sua stessa struttura? In questo contesto la guerra interna portata avanti sul piano economico dalla destra e dalle imprese private destabilizza il paese e alcuni settori dello Stato attendono gli sviluppi di un conflitto tra borghesie che non permette ai settori popolari di ottenere nuove conquiste.

La borghesia critica il governo ma al tempo stesso fa affari contro il governo, adora ricevere dollari a prezzo preferenziale. Sappiate che in Venezuela c’è un controllo del cambio: quello ufficiale è a 10 bolivares 1 dollaro, il cambio preferenziale a 2600 e il dollaro parallelo a 8mila. Le imprese private e statali che possono comprare dollaro preferenziale fanno affari con il cambio e il mercato nero: un disordine finanziario ed economico nel paese che il governo non è in grado di gestire, fatica a rendere concrete le politiche definite nel Plan de la Patria. Il piano è stato approvato sulla base di un prezzo del petrolio di 60 dollari al barile, mentre oggi il barile non supera i 40 dollari: si tratta di un bilancio deficitario che compromette la situazione economica e sociale. La situazione alimentare è gravissima: in Venezuela con la rivoluzione bolivariana si è costituita una struttura industriale per la produzione di alimenti che oggi viene gestita da militari nominati dalla burocrazia statale e la gestione è inefficace, lenta, burocratica, pachidermica. Ma la situazione peggiora quando a fronte dell’inefficienza del pubblico la risposta del governo, come abbiamo visto purtroppo in questi mesi a Caracas, diventa la privatizzazione. Invece di rafforzare l’autogestione e l’autogoverno politico ed economico delle Comunas, privatizzano sapendo che sarà un disastro perché al privato non importa il bene della comunità ma solo gli affari che è possibile fare con il dollaro in nero e il contrabbando. La borghesia e la destra non hanno alcun interesse per la patria, finanziano le violenze contro il governo di Maduro e il popolo venezuelano e non hanno alcun piano di uscita dalla crisi. Fronteggiamo un governo inefficiente, una boghesia ladrona e una destra terrorista oggi in Venezuela…

Quali prospettive possibili nel contesto attuale? Negli ultimi anni in Venezuela sono stati molto importanti i processi di auto-organizzazione dei movimenti popolari, delle comunas, delle organizzazioni territoriali che a Barquisimeto, da dove vieni, come in altri luoghi, sono state esperienze particolarmente vivaci. Cosa accade oggi con le comunas e quali sfide affrontano in questa fase?

Credo che la soluzione della situazione che viviamo dipenda dalla volontà politica del governo di ripartire dai settori popolari: la costruzione di un nuovo Venezuela passa dalle comunas e dai movimenti sociali. Con l’arrivo del presidente Nicolas Maduro alla rivoluzione bolivariana si sono date delle esperienze di partecipazione popolare molto importanti. Nel 2015, ad esempio, sono state istituiti i Consigli Presidenziali del Governo Popolare con le comunas, con la classe operaia, con le donne, con i giovani. Era una figura importante del potere esecutivo che si affiancava agli altri Consigli del Presidente. Purtroppo, la stessa burocrazia del Partito Socialista Venezuelano nelle istituzioni, ha deciso di porre fine a questa dinamica di partecipazione popolare. Successivamente, quando il partito ha perso le elezioni legislative, il popolo viene chiamato a formare il Parlamento Comunale Nazionale, la cui discussione si dava nelle centinaia di comunas a livello territoriale. Voi avete partecipato al parlamento della Comuna Pio Tamayo e avete visto come i settori popolari definivano politiche per il territorio, stabilivano regole per la vita nella comunità dal punto di vista economico e della sicurezza, della sovranità alimentare e del sistema finanziario sviluppando una nuova economia. Purtroppo la burocrazia interna allo stesso PSUV sta di fatto sopprimendo questa istituzione, quando invece dovrebbe dimostrare la volontà politica di mantenerla. Se avesse trasferito le competenze ai consigli comunali e si fosse instaurata la proprietà sociale dei mezzi di produzione, dando l’opportunità al popolo di gestire i propri processi produttivi, sarebbe stato più difficile per la destra tentare la via golpista. Invece hanno instaurato il Congresso della Patria, totalmente manipolato dal PSDV e dalla burocrazia nazionale ed attivato le missioni socialiste, che possiamo semmai chiamare missioni sociali, perché di socialista non hanno nulla: non trasformano la realtà sociale, l’apparato produttivo, le relazioni sociali di produzione. Ciò che è fondamentale. Il potere delle comunas e delle altre esperienzie è minacciato da un lato dalla destra e dall’altro dalle mafie che speculano sul popolo a cui non interessa se sei di sinistra, di destra… gli interessano solo gli affari.

Lo scorso 16 luglio c’è stato un Plebiscito chiamato dalla destra, che ha ricevuto grande copertura da parte dei media internazionali. In contemporanea sono andate in scena le simulazioni della Costituente, il processo politico che il governo ha lanciato nel tentativo di abbassare la tensione. Come è andata questa giornata e cosa è la “Costituente”? Cosa rappresenta e qual è la prospettiva per le organizzazioni sociali, le comunas e i settori popolari?

L’opposizione ha sempre venduto ai suoi seguaci l’idea che il governo di Maduro sarebbe stato sconfitto, come ha detto per anni rispetto a Chavez. Nulla di tutto ciò è accaduto. Il 16 luglio quelli della MUD hanno venduto ai propri sostenitori l’idea che se fossero usciti a votare alle tre domande farsa, lunedì 17 Maduro non sarebbe più stato presidente. Che si sarebbe chiamato uno sciopero nazionale e il governo sarebbe stato sconfitto. Si deve davvero peccare di innocenza per pensare che un semplice sondaggio organizzato dalla MUD potesse avere conseguenze legali o legittimità per sfiduciare Maduro. A noi militanti rivoluzionari fa tristezza vedere come la dirigenza della destra prende in giro i propri sostenitori con azioni simili. Lo stesso giorno si sono svolte le elezioni di prova della Costituente: in Venezuela quando ci sono elezioni elettroniche si fanno le simulazioni di voto due settimane prima, di solito non va molta gente. Il partito mette alla prova i propri meccanismi di mobilitazione, ma nessuno si aspettava la mobilitazione che c’è stata la scorsa domenica da parte del chavismo. Ho chiamato chi era lì e mi hanno raccontato come alla mezzanotte c’era ancora gente in file interminabili. Questo fatto riempie di speranza molte persone. Credo che il messaggio popolare non sia tanto diretto all’opposizione, perché la maggioranza è sempre stata dalla parte del governo. Credo che sia stato piuttosto un messaggio per il governo stesso: “guarda che qui c’è un popolo che, anche se soffre molto, è cosciente dell’importanza della democrazia e della partecipazione. Bisogna mantenere il sistema democratico in Venezuela, le elezioni devono continuare ad esserci e che siamo un popolo di cultura democratica ed elettorale. Anche se non pensi di avere la maggioranza per vincere le elezioni, devi comunque farle”. Questo è ciò che ha dimostrato il popolo venezuelano. Le elezioni per l’Assemblea Costituente sono un processo costituzionale democratico che porterà all’elezione dei delegati che elaboreranno la nuova Costituzione, per trovare una soluzione democratica e politica alla crisi in corso. Tuttavia una volta elaborata la Costituzione questa dovrà essere approvata da un referendum popolare, che deciderà la revoca o l’approvazione.

In questo contesto difficile e caotico, il processo costituente apre spazi di democrazia e partecipazione nella crisi politica od economica? Perché non viene riconosciuto come legittimo dall’opposizione?

Dal mio punto di vista sicuramente apre spazi per una soluzione democratica di un conflitto e di una crisi che ha polarizzato il paese, il problema è che la destra, la MUD, ha un’altra agenda. Quella golpista. Perché non mettere da parte questa agenda e partecipare a questa elezione democratica? Avrebbero potuto eleggere i propri delegati per l’Assemblea Costituente. Per il governo sarebbe stato uno scenario pessimo, se avessero ottenuto la maggioranza dei costituenti avrebbero potuto disegnare una costituzione a loro favore, con il ritorno del latifondo e la rinnovata centralità della proprietà privata. È piuttosto rischioso da parte della destra non partecipare alla costituente, credo che nella politica gli errori si pagano cari, ne hanno già commesso uno nel 2004 non presentandosi alle elezioni della Assemblea Nazionale e per molti anni l’assemblea nazionale è stata totalmente a favore del governo. Ora non si presentano alla costituente e corrono il rischio che si faccia una costituzione senza di loro. Adesso la sfida popolare è quella proporre una costituzione che sia ancora più favorevole al popolo e non alle elite.

Come vedi il processo verso la Costituente? Cosa sta accadendo nelle assemblee e nelle città?

C’è molta partecipazione, molto dibattito in strada. Le elezioni si svolgeranno con ingenti misure di sicurezza, già la destra ha ucciso un candidato ad Aragua con un agguato e cinque colpi di arma da fuoco. Purtroppo si sapeva che sarebbe potuto succedere, chi viene identificato come candidato della costituente può essere facilmente vittima di questi paramilitari terroristi. Ma la Costituente sarà una festa democratica, come quelle a cui siamo abituati. Si corre il rischio che ci sia un programma già elaborato dal governo che venga presentata come bozza di lavoro ma confidiamo nel fatto che chi sarà eletto delegato provenga da settori che sapranno deliberare una proposta costituzionale che rafforzi quella già esistente. Chi si allontana oggi dal piano democratico è la destra che sta nelle strade cercando di comprare qualche militare che vada a Miraflores a cacciare il governo. Non è un caso che appena Donald Trump ha minacciato il Venezuela, si sono dati nel paese nuovi episodi di violenza generalizzata. Le ultime 24 ore in Venezuela sono state terribili: sono aumentati enormemente i livelli di violenza. È tutto un filo conduttore verso una guerra non convenzionale nel nostro paese. Come si risponde a questa guerra? Con molta organizzazione e mobilitazione popolare. Denunciando e rendendo visibile questa dinamica terrorista, denunciandola a livello mondiale. E soprattutto con molta organizzazione di base. Un popolo organizzato è l’unica forma per sconfiggere un impero.

Foto in ordine: una manifestazione a favore della Costituente, camion incendiati dall’opposizione, un manifestante con M15 ad una manifestazione dell’opposizione, la mobilitazione chavista per la chiusura della campagna elettorale per la Costituente (tratte da Notas Periodismo Popular).

“Il Venezuela dall’interno: sette chiavi per comprendere la crisi attuale” di Emiliano Mantonvani