PRECARIETÀ

Dis-coll: un risultato importante per i precari della ricerca

Grande vittoria dei precari e delle precarie della ricerca. Dopo più di due anni di lotte , assemblee, presidi sotto l’INPS con la Coalizione di lavoratori autonomi “27 Febbraio” e speakers’ corner sotto il Ministero del Lavoro insieme al Coordinamento Nazionale delle Ricercatrici e Ricercatori Non Strutturati, ecco finalmente un parziale seppur importantissimo risultato. Con l’approvazione del Ddl sul lavoro autonomo, dottorandi e assegnisti riceveranno l’indennità di disoccupazione Dis-coll al termine del dottorato o alla scadenza dell’assegno di ricerca.

Ai precari della ricerca è stato quindi finalmente riconosciuto un diritto fondamentale, ponendo fine ad una discriminazione vergognosa nei confronti degli altri co.co.co. Una discriminazione fondata su una semplice, quanto distorta, tesi: dottorandi e assegnisti non avevano diritto all’indennità di disoccupazione in quanto, in fondo, il lavoro di ricerca NON è un vero lavoro.

È un hobby, un divertimento, un’opportunità di perfezionarsi; già è tanto se venivano pagati nel periodo contrattuale (neanche tutti, in realtà, ricordiamoci dell’assurdità dei dottorandi senza borsa…). In fondo, ammettiamolo, i precari della ricerca sono dei privilegiati! Si sono addirittura permessi di scegliere l’attività da scambiare con il salario. Pretendere anche, in questo momento storico di disoccupazione giovanile alle stelle (anche se ormai nella categoria di “giovani precari” vi sono persone molto vicino, se non oltre, i 40 anni…) di ricevere un sussidio di disoccupazione è decisamente fuori dal mondo!

Già. Peccato che, al di là delle argomentazione indegne (i diritti e le tutele minime sul posto di lavoro dovrebbero essere universali, indipendentemente dal tipo lavoro, così come il lavoro dovrebbe sempre essere pagato), il contesto universitario in cui ricercatori e ricercatrici sono inseriti è caratterizzato da un tasso di espulsione dall’accademia pari al 96%, grazie al definanziamento strutturale dal 2008 a oggi (Legge Gelmini) e agli interessi corporativi dei docenti strutturati, che preferiscono destinare le briciole rimaste ai loro avanzamenti di carriera, invece di privilegiare l’immissione in ruolo di una massa ricattabile di precari (ormai più numerosi dei docenti stessi).

Senza tenere conto che la “carriera” di un giovane precario è spesso intermittente, comportando entrate salariali molto poco regolari. L’ottenimento della Dis-coll è quindi un risultato centrale per i precari della ricerca, frutto di una campagna biennale per il riconoscimento del proprio lavoro, culminata con lo “sciopero alla rovescia” dello scorso anno. Questa campagna ha inoltre sottolineato come al giorno d’oggi ormai tutti gli atenei si sorreggano sul lavoro, spesso gratuito, dei precari, grazie a quella che è stata correttamente denominata l’economia della promessa. Ecco, il sussidio di disoccupazione è un passo, seppur insufficiente, per riequilibrare leggermente i rapporti di forza.

Tuttavia, è fondamentale riconoscere che tante sono ancora le criticità del provvedimento incluso nel Ddl sul lavoro autonomo. Come primo punto, da questa estensione della Dis-coll vengono escluse proprio le partite IVA, discriminazione totalmente inaccettabile e surreale dato che il Ddl è sulle partite IVA. Da essere gli unici esclusi fra i co.co.co., i ricercatori precari sono diventati gli unici inclusi nel Ddl in questione. Secondo punto, questa misura esclude molti ricercatori il cui contratto è scaduto prima del 30.06.2017, nonostante abbiano continuato a versare i contributi fino all’ultimo giorno di lavoro. La norma, infatti, si applica solo a chi si trova senza contratto dal 1° luglio in poi. Inoltre, non viene prevista nessun tipo di retroattività in generale, come se i contributi versati negli anni scorsi fossero carta straccia. Terza e ultima questione, la Dis-coll non è prevista per i dottorandi senza borsa e i borsisti di ricerca (forme contrattuali che andrebbero in realtà abolite).

Per tutti questi motivi, è necessario rilanciare la mobilitazione trovando delle forme di convergenza con i lavoratori autonomi. Forti del risultato appena raggiunto che conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che collettivamente le lotte si possono vincere e i diritti si possono estendere!