EUROPA

Turismo umanitario o attivismo transnazionale?

Una critica politica del movimento di giovani che si sono messi in viaggio per aiutare i rifugiati , negli ultimi anni e in particolare dall’apertura della rotta balcanica. Un fenomeno sociale ibrido e complesso, al cui interno coesistono molteplici dimensioni.

Un numero rilevante di attivisti, volontari e giornalisti, con il dispiegarsi della crisi delle politiche migratorie, ha attraversato e continua ad attraversare i contesti di crisi, raggiungendo i punti focali del confinamento di richiedenti asilo e migranti, soprattutto lungo la cosiddetta rotta balcanica e in Grecia. Questi viaggi – individuali o collettivi, indipendenti o organizzati dalle grandi Ong, con finalità e attitudini profondamente eterogenee – rappresentano – dal punto di vista della rilevanza numerica e politica – un elemento a suo modo qualificante del nostro tempo. Quella degli interventi solidali in aree di crisi è una vicenda interessante e paradigmatica. Dal nostro punto di vista, può essere utile provare ad indagare questa tendenza, interrogandoci sulla portata politica di queste vicende, alla ricerca di un metodo che ci permetta di valorizzarne gli aspetti più innovativi e qualificanti.

Il nostro punto di vista è interno a questa vicenda. Negli ultimi anni abbiamo più volte attraversato contesti di crisi, soprattutto in Grecia e in alcune zone di frontiera in Italia. Anche in ragione della nostra partecipazione a due azioni di monitoraggio e ricerca – una in Grecia con ASGI e l’altra a Taranto con il progetto STAMP e la Campagna Welcome Taranto – ci piacerebbe aprire una riflessione collettiva sulla portata politica di queste attività in aree di crisi. Siamo alla ricerca di tracce metodologiche che ci permettano di mettere in discussione il nostro operato, interrogarci sulla reale utilità di questi viaggi solidali, alla ricerca di uno stile di attivismo all’altezza delle sfide che investono l’Europa.

Sguardi disambigui

Come primo passo, può essere utile provare a scomporre l’insieme, dal nostro punto di vista profondamente disomogeneo, delle attività solidali in aree di crisi. Un primo spartiacque, che ci può permettere di analizzare, più nel dettaglio, la portata delle iniziative solidali in frontiera, è rappresentato dal grado di politicizzazione delle stesse. C’è un numero assai rilevante di viaggi solidali di varia natura – trasporto di aiuti e materiali, attività di assistenza/intrattenimento dei richiedenti asilo e dei migranti, etc. – costruiti con un approccio umanitario. Si tratta, dal nostro punto di vista, di esperienza e iniziative interessanti e utili. Allo stesso tempo, un approccio di questo tipo, tendenzialmente depoliticizzato, per quanto utile sul piano pratico e lodevole dal punto di vista dell’etica, molto spesso non fa i conti fino i fondo con le responsabilità politiche che continuano a generare contesti di crisi, contrazione dei diritti, marginalizzazione e confinamento. Ci sembra, al contrario, che in passaggio storico così cruciale, sia di assoluta importanza associare cause ed effetti. È imprescindibile, ad esempio, ogni qual volta si attraversa il laboratorio greco, soffermarsi sulla rilevanza politica, giuridica e storica dell’accordo Ue-Turchia, esperimento su scala europea della contrazione generale dei diritti di richiedenti asilo e migranti. Così come è necessario tenere insieme la questione degli accordi con i paesi extra europei finalizzati alla riammissione di “migranti economici” e richiedenti asilo (come nel caso dell’accordo Ue-Turchia) con l’utilizzo del c.d. approccio hotspot quale elemento cardine delle politiche europee di gestione del confine.

Un altro criterio che può essere utile per cogliere la reale portata delle iniziative solidali risiede nella continuità temporale delle stesse. Dal nostro punto di vista, in una fase storica caratterizzata da trasformazioni tanto rapide quanto significative, è essenziale provare ad attivare monitoraggi che insistano a più riprese sugli stessi territori, valutando il dispiegarsi delle politiche migratorie nel corso del tempo, sovrapponendo, allo stesso tempo, le politiche che si configurano nello stesso periodo in luoghi diversi di uno stesso paese o in paesi differenti. La Grecia, ad esempio, è tutt’altro che un territorio omogeneo, anche dal punto di vista dei criteri di accesso alle domande di asilo e delle forme di accoglienza. La vicenda greca è, inoltre, in pieno divenire: gli effetti del noto accordo Ue-Turchia continuano ad attraversare la società greca – e lo spazio europeo – e le conseguenze nel medio e lungo periodo, anche in termini di riproducibilità dell’esperimento su scala europea, richiedono un’azione di monitoraggio costante e circostanziata. Il dato dell’estrema mutevolezza delle prassi degli attori istituzionali e non, che intervengono nella gestione dei flussi migratori sin dai primissimi momenti successivi allo sbarco caratterizza sicuramente anche l’Italia e l’osservazione dei meccanismi che definiscono il funzionamento dell’hotspot di Taranto, anche da questo punto di vista, appare estremamente significativo. Proprio in ragione di questi continui mutamenti sembra possibile affermare che lo stesso abbia oggi assunto, informalmente e nel tempo, per lo meno una doppia funzione: dispositivo di controllo e selezione dei migranti in arrivo ma anche strumento di deterrenza rispetto all’attraversamento illegale delle frontiere interne dell’Unione Europea.

Paesaggi di confine

Più nel dettaglio, ci sta a cuore il tema della qualità dell’inchiesta giuridica e politica, lì dove il dispiegamento dei dispositivi di controllo e confinamento determina condizioni di chiusura delle rotte, contrazione del diritto d’asilo, condizioni materiali e giuridiche di assoluta precarietà. È questo l’ambito delle nostre ultime attività di monitoraggio e, dal nostro punto di vista, anche il tema dell’inchiesta giuridica e del suo rilievo politico, che merita un approfondimento collettivo.

Da questo punto di vista, ci è stato utile approcciarci alla Grecia e agli altri contesti di crisi interrogandoci, in particolare, sull’idoneità a fungere da laboratorio per la sperimentazione di dispositivi giuridici (si pensi, a titolo di esempio, al meccanismo dell’inammissibilità e all’utilizzo ad ampio spettro del concetto di Paese terzo sicuro o di primo asilo) da applicare anche in altri contesti. Da questo punto di vista, dall’attività di monitoraggio svolta la scorsa estate in Grecia ci siamo portati a casa, nella cassetta degli attrezzi collettiva, tracce di ragionamento che ci hanno permesso di interrogarci sulla portata dei cambiamenti in corso nel diritto d’asilo in Italia (con specifico riferimento all’approccio hotspot) e su scala europea, con specifico riferimento agli inquietanti regolamenti in fase di discussione. Soprattutto dal punto di vista delle procedure di accesso alle misure di asilo e di riconoscimento degli status, ci sembra che sia in corso un tentativo di replicare, in chiave europea, la sperimentazione già attuata in Grecia.

Più in generale, l’approccio di chi esplora le aree di crisi provando ad indagare la tendenza, elaborando un punto di vista che permetta di cogliere le trasformazioni in corso nel diritto d’asilo nello spazio europeo ci sembra metodologicamente efficace. In definitiva, i territori europei, e le loro aree di crisi, presentano striature, differenze e disomogeneità che rendono necessario il monitoraggio, l’inchiesta e la produzione di report giuridicamente qualificati e politicamente situati, anche al fine di sovrapporre i dati acquisiti e ricostruire una mappa della crisi, allo stesso tempo sufficientemente ampia da tenere insieme territori distanti e significativamente dettagliata, in maniera tale da cogliere le persistenti differenze, alla ricerca delle tendenze convergenti.

La nostra Europa

C’è, in ultimo, un ulteriore motivo che determina il potenziale politico dell’attività di attraversamento dei contesti di crisi. È in corso una europeizzazione delle politiche migratorie senza precedenti. Lo strumento scelto – i regolamenti – se approvati come attualmente configurati determineranno un violento livellamento verso il basso dei diritti e una crisi generalizzata del diritto d’asilo. In un quadro politico di questo tipo, il movimento di attivisti – provenienti da paesi, esperienze, contesti diversi – che attraversano le aree di crisi, intrecciano dati, punti di vista, biografie, può favorire il sorgere di uno stile europeo di attivismo, che assuma lo spazio europeo come l’unico orizzonte possibile per l’articolazione di iniziative politiche all’altezza delle cruciali sfide del nostro tempo.