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ITALIA

25 aprile 2025. Storia di una Liberazione lontana

Importanza e insieme difficoltà di tener vivo il significato del 25 aprile, una data che troppe e troppi giovani ignorano e che, con la scomparsa di chi l’ha vissuta, resta affidata agli archivi e ai media. Una riflessione illustrata, in occasione degli 80 anni dalla vittoria contro il nazifascismo

Quest’anno sarà celebrato l’ottantesimo 25 aprile dopo quello del 1945, la ricorrenza di una data fondamentale sia per l’esito della Seconda guerra mondiale che per la democrazia italiana nata dalla Resistenza.

In tal senso, non è eccessivo affermare che il 25 aprile possa rappresentare non solo uno degli eventi più importanti del nostro Novecento, ma anche la pietra angolare della Repubblica italiana. L’evento fondativo della democrazia parlamentare, il cui ordinamento arriva fino a oggi, costruita sulle macerie della Guerra mondiale nazifascista. Con precisione, la Seconda, quella del 1938-45.

Perché parlarne ancora?

Ma cos’è quindi, il 25 aprile del 1945? E cosa è stato davvero il 25 aprile per la Resistenza italiana? Il giorno conclusivo dell’insurrezione generale? La Liberazione definitiva da un ex-alleato che ci aveva invaso? Oppure l’inizio di un’altra guerra? Quella che si doveva continuare a fare, perlomeno fino ad arrivare alla rivoluzione di classe?

Tutte domande, giuste. Alle quali però, si dànno solitamente risposte molto diverse e che variano a seconda di come si guarda al 25 aprile; magari da che punto di vista storico, politico e personale – anche frutto del proprio ricordo individuale e famigliare – si può osservare la Resistenza. Questo è chiaro.

Come dev’essere altrettanto chiaro, affermare un’altra cosa. In realtà, una semplice constatazione: solo il fatto che si stia effettivamente parlando del 25 aprile e della Resistenza nei loro minimi termini ha già fatto ruotare gli occhi al cielo almeno alla metà di voi. Insomma, ma come? Il 25 aprile del 1945, cos’è? Sacrilegio.

Tuttavia, non corriamo il rischio di perderci subito nel cosiddetto bicchiere d’acqua. Aldilà delle differenti interpretazioni che si possono fornire (e senza dubbio, ce ne sono tante), bisogna pur partire da un punto comune: il 25 aprile del 1945 è innanzitutto la vittoria della Resistenza degli antifascisti e delle antifasciste italiane. Ovvero, il primo passo del processo politico che porterà, attraverso il Referendum vinto contro la monarchia, alla nascita della Repubblica il 2 giugno del ‘46; e quindi, in contemporanea, anche alla stesura della Costituzione che entrerà in vigore il 1° gennaio del ‘48, tre anni dopo la fine della guerra. Tra l’altro – specifica importante e non affatto scontata – a seguito della prima tornata elettorale nella storia d’Italia dove partecipano e votano anche le donne. Se non altro, proprio per motivi tanto politici quanto “pratici”, visto il loro ruolo fondamentale nella Resistenza italiana.

E su questi fatti appena descritti – a dire il vero molto velocemente, forse un po’ troppo – non ci piove. Se non altro perché sono queste le cose che “t’insegnano a scuola”, se ci sei arrivato. O comunque per forza, “le bisogna sapere”.

Che motivo c’è dunque, di parlarne ancora? Della Liberazione, dell’ordine generale d’insurrezione armata da parte del CLN (nome in codice: Aldo dice 26×1), delle bande partigiane che scendono dalle montagne (Brigate Garibaldi, Giustizia e Libertà, Fiamme verdi, ecc…). E di conseguenza: dei fascisti che scappano e dei tedeschi che si ritirano con loro, lasciandosi dietro lunghe e terrificanti strisce di sangue per tutto il centro-nord Italia. Attraverso fucilazioni, eccidi, massacri di ogni forma e dimensione, soprattutto contro la popolazione civile.

E poi, subito dopo, anche delle «belle città date al nemico» che tornano a essere libere. Quelle delle piazze e delle strade italiane nuovamente riempite dalla gente in festa per essersi ribellata ai suoi brutali oppressori. Primo tra tutti, s’intende, dal duce: Benito Mussolini. Con piena soddisfazione generale, arrestato dai partigiani a Dongo, paesino affacciato sul lago di Como, alcuni giorni dopo al 25 aprile. Precisamente il 27, mentre tentava di fuggire dall’Italia verso la Svizzera, ironicamente travestito da soldato tedesco. Peraltro – ben lontano dalle glorie romane ai tempi dei discorsi alle folle oceaniche di palazzo Venezia – fingendosi ubriaco e occultandosi in fondo al pianale di un camion della Wehrmacht vicino alla cabina di guida e celato sotto una coperta militare.

Se l’hai fatto a scuola insomma, te lo devi ricordare cosa è stato il 25 aprile del 1945 (e dintorni). La rovinosa caduta del regime mussoliniano, l’ultima fine del Ventennio; il più prolungato periodo d’oscurità autoritaria, sessista e razzista, della storia del nostro Paese. Anche perché sono questi, i fatti che dovrebbero essere dati per scontati, in quanto letti e studiati fin dalle elementari. Sia chiaro, più che per farci vergognare del nostro passato già in tenera età (cosa abbastanza inutile), in verità proprio per vedere più da vicino i risvolti politici, sociali e culturali, di quel tempo. E di conseguenza, trarne conclusioni e insegnamenti che in teoria, dovresti portarti dietro per tutta la vita.

di Emanuele Giacopetti

Ma come stanno realmente le cose?

Purtroppo, come spesso accade, lontano da questa visione fin troppo ottimistica, la realtà dei fatti rimane tutt’altra. E racconta una verità, a dire il vero, piuttosto amara: al giorno d’oggi, nelle scuole italiane, la storia del 25 aprile è studiata molto poco se non pochissimo. Basti pensare che la Fondazione Feltrinelli, sul suo sito, la definisce senza mezzi termini «una sfida educativa estremamente complessa», quella di riuscire a raccontare le vicende legate alla Liberazione dal nazifascismo tra i banchi di scuola.

In questo senso, e secondo un recente studio (condotto all’interno di un istituto superiore in Molise all’inizio del 2025) poco più della metà degli studenti intervistati, non sapeva dire con precisione cosa fosse il 25 aprile. Tra l’altro, dando come risposta nella maggior parte dei casi, «la liberazione degli ebrei dai campi di concentramento» oppure «la Festa del lavoro», facendo quindi confusione con il Primo maggio, la Festa dei lavoratori e delle lavoratrici.

In un altro reportage invece, precisamente quello mandato in onda durante la trasmissione Ballarò nell’aprile del 2015, un altro esempio ancora più evidente: sarebbero addirittura più del 60%, i ragazzi e le ragazze (dai 14 ai 18 anni) che non saprebbero dire cos’è il 25 aprile e inoltre, perché si festeggi ancora la Liberazione in Italia.

Perlomeno, non riuscendo a spiegare bene e con chiarezza le motivazioni e le circostanze storiche di quei fatti. Ma come è successo? La risposta banale potrebbe essere: perché la Seconda guerra mondiale non viene più insegnata, oppure perché viene insegnata di fretta. Magari dovendo seguire ritmi d’insegnamento e programmi ministeriali che di certo, non facilitano il lavoro delle/degli insegnanti. Tra l’altro, con il vecchio dubbio (fondato) che sotto sotto, sarebbe proprio quello il motivo, il senso di come sono pensati e costruiti quei programmi: non permettere di farla insegnare bene, quella parte di storia. Quindi, che fare? Se ripartire dalla scuola e dall’educazione, potrebbe risultare banale e scontato, questo non può che essere, per definizione, un dato di fatto se non addirittura una condizione necessaria. Ma siamo sicuri che sia tutto lì, il nostro problema? Nell’educazione civica che non si fa a scuola o che non si farebbe abbastanza?

In realtà, la questione è molto più complessa di così. Innanzitutto perché come potrebbe essere diversamente? Viene logico domandarsi: come si può mantenere viva e attuale, qualcosa che sfugge per definizione, la memoria di un evento passato?

di Emanuele Giacopetti

Il tempo e la memoria

In tal senso, la prima considerazione da fare, senz’altro banale ma altrettanto vera, è che il tempo s’allontana sempre più, facendo invecchiare quei fatti. Di conseguenza, portando il 25 aprile a diventare progressivamente più distante da noi ogni giorno che passa. Specialmente s’intende, per le e i più giovani. In sintesi, proprio per chi avrebbe più necessità, anche per evidenti ragioni anagrafiche, d’impararlo e conoscerlo dai e dalle proprie insegnanti o dai genitori.

Per cui, sempre a questo proposito: da chi si potrebbe imparare la storia della Liberazione, oltre che a casa propria, oppure a scuola? Beh, altra osservazione abbastanza banale: da chi l’ha fatto, il 25 aprile. Che però, altro problema, adesso non c’è quasi più.

A tal proposito infatti, secondo dati forniti dall’ANPI dopo l’epidemia di Covid, i partigiani e le partigiane italiane ancora in vita, sarebbero rimasti/e poco meno di 4mila. Con numeri, ovviamente e per forza di cose, che andranno a ridursi sempre di più, fino a estinguersi completamente nei prossimi anni. Dunque, in modo ancora inesorabile, di quel 25 aprile del 1945 e ben ottant’anni dopo, non possiamo che perderne i/le protagonist*. E con loro ovviamente, le testimonianze dirette.

Tuttavia – c’è da dichiararlo senza paura di ripetersi – una delle possibili soluzioni al problema, è ricordarci che quelle testimonianze non sono affatto andate perse per sempre. Soprattutto perché molte di queste, sono state lasciate in eredità attraverso le parole, le voci registrate, le interviste, raccolte dai ricercatori e dalle ricercatrici per i loro istituti di ricerca, che ne hanno già fatto un prezioso quanto inestimabile lavoro d’archiviazione.

Archivi e altri strumenti

Tra questi – singolo esempio tra molti – si può citare l’ILSREC di Genova e la sua ultima ricerca sulla Resistenza: la Banca dati del partigianato ligure. Un lavoro di metodica digitalizzazione di informazioni personali, all’interno del quale si possono consultare liberamente le vite e le esperienze di migliaia di partigiani e partigiane operanti in questo caso in Liguria. Per intenderci, attraverso un contributo tanto mastodontico quanto “pezzo unico” nel panorama italiano degli studi sulla Resistenza.

Sempre a tal proposito, tra i tanti esempi nel campo però più artistico e culturale – peraltro molto presenti sui social network a vantaggio (si spera) delle nuove generazioni – non si può che citare la pagina di “Cronache Ribelli”, oppure anche di “Noipartigiani”. Solo per elencarne due tra le più attive delle tante realtà occupate nel tenere viva e consultabile la documentazione (anche d’inestimabile storia orale) relativa alla Resistenza e al 25 aprile.

Infine – ne viene citata soltanto una ma unicamente per obblighi di spazio – tra le proposte più “attive” che riguardano il 25 aprile, molto interessante risulta essere l’iniziativa di “Sentieri partigiani”, che si propone «di tornare sui luoghi della Resistenza» attraverso una serie di accessibili risalite a piedi in montagna. In particolare, «fino alle terre alte» in Cadore e in tutto il bellunese, dove appunto operavano i partigiani e le partigiane in questo caso veneti/e, prima di calare sulle città euganee, appena dopo il 25 aprile 1945.

Just to know: nell’aprile del 1945, la città di Venezia verrà liberata soltanto in seguito a pesanti scontri a fuoco tra truppe partigiane e nazifascisti, avvenuti principalmente in piazzale Roma e in Marittima, non prima delle 4 di mattina del 29 aprile. Notte durante la quale, presso l’Hotel Regina e alla presenza del capo missione inglese (in veste di vero e proprio notaio dell’atto), verrà firmata la resa totale delle forze fasciste e tedesche ai capi della Resistenza; e con essa quindi, il definitivo cessate il fuoco e la fine delle ostilità. Per intenderci, in una delle vicende più sanguinose, avvincenti e rocambolesche dell’intera Liberazione. Tutto ciò, con buona pace di chi sottostima e snobba il 25 aprile solo come atto “dovuto” di tipo istituzionale, celebrativo e formale. “Noioso e monotono”, in fin dei conti.

di Emanuele Giacopetti

Letteratura e media

Altro fatto importante, sempre per parlare di Resistenza sotto una nuova luce magari più cinematografica e moderna, è la proposta culturale rappresentata bene dal successo della serie M, il figlio del secolo. Solo l’ultimo, in questo senso, di una serie di tentativi che hanno confermato, se non altro, la fattibilità di opere culturali che hanno l’ambizione di raccontare le vicende storiche di quel periodo. Anche – e perché no – in chiave di una loro dichiarata rivisitazione di tipo artistico e culturale.

Su questo punto, è necessario capirsi. L’alternativa altrimenti, è quella di “abbracciare il dogma” e non avere l’hardware, gli strumenti agganciati coi tempi, per raccontare quella storia. Perlomeno – e come abbiamo tristemente osservato – a quei due ragazzi e ragazze italiane su tre che non sanno, oppure soltanto ne abbozzano, il software. Il rischio insomma, è quello. E varrebbe davvero la pena di pensarci bene prima di correrlo. In tal senso, le polemiche sull’opportunismo e sulla “resa commerciale” di opere come M, sembrerebbero essere abbastanza inutili se non apertamente fuori contesto.

Piuttosto, il dibattito risulta essere più interessante altrove. Ad esempio, dove ci si confronta a proposito di come e perché, vengono raccontate quelle storie sui canali mainstream. Ovvero, a partire proprio dal software dei messaggi che vengono veicolati attraverso quei tentativi artistici pensati per il grande pubblico. Come ad esempio, nel caso di “M”, magari parzialmente riusciti perché buoni nella intenzioni, ma a tratti, piuttosto rivedibili.

Ad esempio, nella costruzione del soggetto di Benito Mussolini come persona e individuo per niente mitologico, sì. Ma al tempo stesso, anche come vero e proprio bad boy ricercatamente affascinante. Dopotutto, quasi un antieroe carismatico, una canaglia bonacciona, sessuomane e al contempo molto astuta e calcolatrice, di cui però a dire il vero, non si sentiva affatto il bisogno di sentirne parlare in questi termini. Verso i quali, peraltro – tanto nel lavoro diretto da Joe Wright che nel libro di Scurati – non si potrebbe in qualche modo, aldilà dell’arrogante e camaleontica malvagità, che finirne catturati. Rapiti dalla storia e dalla mentalità brutalmente alla ricerca di successo. Viene da chiedersi: che senso avrebbe altrimenti l’uso costante dello sguardo in camera? Oppure del continuo – e a tratti estenuante – sfondamento della quarta parete proposto nella serie tv?

Rispetto a questo stesso personaggio storico tra l’altro, non è affatto la prima volta che qualcuno nel nostro Paese si prodiga a raccontarne anche solo dei frammenti, anzi. Provocando, come molto prevedibile quando s’intende approcciare un uomo così complesso e contraddittorio come Mussolini, anche pesanti polemiche e, perciò, lunghe e aspre reazioni politiche.

In tal senso, le opere da prendere ad esempio, sarebbero molte. Tra le quali però, non si può non citare – esattamente sulla figura di Benito da vicinissimo – una pietra miliare del cinema italiano come Mussolini ultimo atto, del regista Carlo Lizzani. Film cult del 1974, con Rod Steiger nei panni del duce, Franco Nero e Lisa Gastoni, con quest’ultima nelle complicate vesti di Claretta Petacci, la donna che seguirà Benito fino alla fine.

Tra l’altro, lungometraggio interamente accompagnato dalla colonna sonora di Ennio Morricone, e anche per questo motivo, davvero imperdibile (se vi state chiedendo dove vederlo, il film si trova in libera visione online).

Per provare a concludere: fare i conti con la propria storia in Italia, non è cosa affatto semplice. Se non altro perché implicherebbe un lavoro di costante aggiornamento e ridefinizione degli strumenti che vanno a manipolare quello che ci ricordiamo e quindi, chi siamo e cosa ancora più importante, dove vogliamo andare.

In tal senso, riavvolgere la catena degli eventi che hanno portato fino a oggi, ottant’anni dopo il 25 aprile del 1945, significa innanzitutto provare a compiere un atto coraggioso: attualizzare la Liberazione dal nazifascismo. Quando al contrario, per ragioni tanto cronologiche che legate all’orizzonte politico attuale, sembra che tutto vada nella direzione di volerla mettere da parte se non addirittura dimenticare per sempre. Chissà in futuro, con quali ricadute proprio per la democrazia nata da quel straordinario e complicato giorno che è il 25 aprile del 1945.

La Liberazione dal nazifascismo. Il nostro 25 aprile che s’allontana sempre di più.

Tutte le illustrazioni sono di Emanuele Giacopetti

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