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EDITORIALE

Le Idi di Marzo

Malgrado le pessime intenzioni dei promotori, la piazza del 15 marzo, che avrebbe dovuto essere interventista, è stata variegata e contraddittoria e il tentativo di spostare tutto il Pd sul riarmo è fallito, almeno per il momento

L’Europa è una cosa (e se ne hanno varie idee e perimetrazioni), l’Unione europea (Ue) un’altra cosa, definita da istituzioni e scelte politiche diverse – oggi Rearm Eu e piano di contenimento dei migranti. Sull’equivoco giocava la convocazione di piazza del Popolo e non fa meraviglia che siano venuti in tanti del ceto medio riflessivo over 50, tutti europeisti ma con idee diverse sulle politiche della Ue. Le intenzioni dei promotori e del potente apparato mediatico di sostegno (intellettuali e intrattenitori di seconda fila, partiti e correnti centriste, giornali del gruppo Gedi, la Sette di Cairo, più defilati il “Corriere” e Rai 3) erano fare pressing sul Pd per allinearlo alla guida europea di Ursula von der Leyen e Kaja Kallas e in genere per alimentare un favore di massa al riarmo, per ora latitante visto che due italiani su tre, secondo i sondaggi, gli sono contrari.

Operazione riuscita ben al di sotto delle aspettative degli sproloquianti sul palco e dei politicanti nel pit sottostante, non tanto per le piazzette parallele, quanto per la presenza, nella confusione generale, di robuste istanze pacifiste e per esserne uscita abbastanza bene Elly Schlein, che era la vittima designata del linciaggio.

Non essendo risultato nessun orientamento preciso, tutto resta come prima, nel senso che i giochi sono stati spostati di alcuni giorni.

Chiariamo meglio: i giochi veri non si celebrano, d’altronde, in Italia e neppure in Europa, ma in uno scenario internazionale a due (Trump e Putin) da cui l’Europa (non parliamo neppure delle illusioni meloniane di fare da ponte) e perfino il soggetto passivo della trattativa, la sventurata Ucraina, sono stati esclusi in quanto potenziali rompicoglioni. Molte frenesie belliche baltiche e anglo-francesi sono destinate a cadere all’«apparire del vero», come già traspare dai numerosi vertici isterici caduti nel vuoto. Tuttavia gli organi deliberativi italiani ed europei saranno coinvolti in superflue consultazioni e avanzeranno proposte o ineseguibili (per il veto russo alla partecipazione Ue a forze di interposizione) o disastrosamente reali, come la spesa a debito per forniture belliche a scapito di sanità, riconversione green, salari e welfare.

Tuttavia la vera posta in gioco, nei prossimi giorni, dando per scontato che Meloni resterà nel vago ed eviterà con ogni mezzo di mandare soldati in Ucraina per non scontentare Trump e soprattutto il più che riluttante elettorato italiano, è la tenuta della sinistra e la segreteria Schlein.

Forse tardivamente la segretaria aveva colto il punto di blocco del Pd – la sua collocazione internazionale e la postura sulla guerra in Ucraina –, diciamo che è stata costretta a coglierlo nel momento in cui Trump ha sconvolto un assetto geopolitico che comportava anche la passiva adesione delle sinistre all’avventurismo imperiale di Biden, sostituendolo con un avventurismo di senso opposto. Lo ha fatto in modo imperfetto, modificando l’orientamento del Pd nei confronti non tanto dell’imperante regime della guerra quanto di un determinato approccio sovranista e nazionalista al riarmo europeo in una fase in cui tale riarmo è del tutto immaginario o complementare rispetto a una trattativa di pace gestita direttamente da Trump e Putin.

Schlein si è limitata – e non era poco per la sua formazione e per il degrado entropico del Pd – a criticare la destinazione degli investimenti militari ai singoli Paesi, preferendo piuttosto che fossero erogati a un istituendo esercito europeo, dipendente da istituzioni responsabili unificate per la politica estera e con importo minore, stante la razionalizzazione tecnica. Una linea di compromesso e valorizzazione dell’Europa che le consentiva un passaggio morbido dal sostegno acritico dell’Ucraina negli anni passati a una condanna sfumata del militarismo trionfante dopo lo sganciamento trumpiano e a un palese appoggio a soluzioni diplomatiche rispetto alla rincorsa alla “vittoria” contro Putin. Con ulteriore compromesso Schlein proponeva l’astensione sul Rearm Europe di von der Leyen, per tenere uniti i No e i Sì del Partito (soprattutto della sua delegazione parlamentare Ue). Ebbene, malgrado le assicurazioni verbali, in sede di votazione i Sì sono rimasti Sì (dieci) e gli astenuti, che comprendevano due eletti indipendenti notoriamente propensi al No, sono risultati undici. In pratica, una sfiducia dei deputati europei membri del Pd alle indicazioni (unanimi) della Segreteria.

Episodio grave, anche se non determinante, in quanto non ha coinvolto formalmente i gruppi parlamentari nazionali e gli organi politici, ma che indica molto di più di una “fronda”. Tanto più che i dissidenti si sono affrettati a specificare che il dissenso non riguardava la conduzione del Partito ma “soltanto” la credibilità di Schlein come candidata a sfidare Meloni, per il suo scollamento dalla maggioranza dei socialisti europei (cosa di cui, al presente, non può fregare meno a nessuno). Ovvero, nel sistema personalizzato italiano e non solo, l’essenziale.

Non per questo Schlein è diventata protagonista di una svolta a sinistra del Pd, resta una che ci prova timidamente e con idee approssimative, ma comunque ci ha provato e forse continua a provarci – cosa che non autorizza eccessive speranze ma suscita una qualche simpatia. Soprattutto valutando la vastità del fronte che si è creato contro di lei – un pezzo cospicuo del Partito, tutta l’artiglieria mediatica di giornali e Tv mainstream, i potentati economici che stanno loro dietro e il presidente Mattarella (di cui ora si capiscono meglio le sconsiderate esternazioni in materia di politica estera).

Perché l’altrimenti innocua Schlein fa paura? Perché è fautrice di un campo largo con il M5S, che ha un elevato saggio di improbabilità ma è l’unica possibilità concreta per battere alle urne il centro-destra. Che non significa riconquistare l’egemonia sociale e culturale, ma è meglio di niente.

E allora fuoco a volontà su Schlein, fuoco a volontà su Conte! Non che non se lo meritino, ma che vantaggio ne viene alle classi subalterne o a un movimento moltitudinario e intersezionale? La piazza riarmista si è rivelata molto meno compatta del previsto sino a configurarsi come un’istanza di opposizione moderata e Schlein l’ha traversata senza perdite preannunciando che darà battaglia – si spera senza ricorrere a futili sotterfugi come l’astensione, che non ha evitato le spaccature.

Nei prossimi giorni i nodi verranno al pettine e i parlamentari nazionali del Pd dovranno scegliere: stavolta un’eventuale spaccatura si trasferirà direttamente nel complesso del Partito e la segretaria ha l’ultima occasione per costruire una linea unitaria e un progetto spendibile di campo largo. La chiusura, per quanto ingiusta, di una guerra guerreggiata e il probabile disfacimento, a quel punto, di una macchina effettiva di riarmo non dissolvono il regime di guerra che ormai segna questa fase di disintegrazione imperiale ma potrebbero favorire una diversa attestazione della sinistra su posizioni di disimpegno bellico. Non molto, ma qualcosa.

Le Idi di Marzo sono trascorse e il popolo in armi non si è  levato. Svanito il fumo mediatico potrebbe cominciare un discorso politico serio sull’Europa e sul ruolo della sinistra, che l’accelerazionismo di Trump sta riplasmando in termini non riducibili a quelli di un mese fa. Ignoriamo gli attempati guerrieri testosteronici e riflettiamo su nuove strategie.

Immagine di copertina a cura di Dinamopress; manifestazione di Piazza del Popolo, Roma, 15 marzo 2025.

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