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MONDO

Iran, una crisi nell’ordine mondiale

Il crollo dell’Asse della resistenza segna il fallimento del progetto strategico dell’Iran, accentuando nel contempo la crisi economica e politica al proprio interno. Resta l’opzione nucleare ed emerge una nuova classe di capitalisti

La Repubblica Islamica dell’Iran è completamente in crisi. Ha intrapreso un percorso che sembra non avere più possibilità di ritorno e, in un certo senso, sta sacrificando tutto per la militarizzazione. Con il crollo dell’Asse della Resistenza e l’indebolimento dei suoi siti missilistici, il regime ritiene di non avere più alcuna carta da giocare o da negoziare con l’Occidente e gli Stati Uniti. Per questo motivo, vede come unica alternativa l’energia nucleare e, in ultima istanza, la bomba atomica, nella speranza di prevenire un crollo geopolitico. In realtà, bisogna riconoscere che ormai nessun tipo di diplomazia può più servire a mitigare la crisi per il governo attuale.

Oggi, l’unica cosa che conta per il neofascismo globale – da Trump a Putin fino alla Repubblica Islamica – è la militarizzazione della pace e la forza pura del potere. E per espandere questa forza si sacrificano molte cose: gli Stati Uniti e la Russia hanno sacrificato l’Ucraina, l’Asse della Resistenza e Israele hanno sacrificato Gaza e la Repubblica Islamica sta sacrificando la società iraniana. L’unico valore che il capitalismo globale riconosce oggi è la pura violenza: sfruttamento ed estrazione nella loro forma più estrema, al prezzo dello sradicamento delle popolazioni in tutto il mondo. Non ha più bisogno di mascherarsi dietro la democrazia e il benessere per imporsi; si sta invece dirigendo con tutte le sue forze verso un modello di investimento poliziesco, dove nulla conta più al di fuori dello Stato-capitale.

Per stabilizzare la crisi nel sistema mondiale attuale, il capitalismo sta eliminando ogni ostacolo e ogni conquista ottenuta con il sangue e le lotte di classe, le lotte temporali e le lotte razziali, combattute per decenni.

Effetto Trump

Prendiamo il caso dell’Iran: dalla presidenza di Donald Trump, la Repubblica Islamica ha completamente sospeso la sua strategia. Da un lato, alcuni membri del governo hanno promesso di negoziare con Trump, ma ora, da settimane, la Guida Suprema ha adottato una posizione radicale contro qualsiasi negoziato, spingendo il governo a un’unità nazionale. La sua unica alternativa è una “resistenza civilizzatrice” tra la civiltà islamica e quella occidentale. Ma mentre pronuncia questi discorsi, probabilmente sta pensando solo all’arricchimento dell’uranio, sperando che questo possa salvare la Repubblica Islamica dall’abisso della caduta. Tuttavia, l’unico risultato di questo isolamento e di questa cosiddetta resistenza è il sacrificio della società, in particolare della classe lavoratrice e dei ceti più poveri, per i quali l’Iran è diventato un inferno, al punto da rendere persino la respirazione e la sopravvivenza vegetativa un’esperienza soffocante e insostenibile.

Gli shock valutari e il crollo del rial rispetto al dollaro e all’euro non sono una novità per il popolo iraniano, che da anni si confronta con questa crisi. Tuttavia, oggi, una parte significativa della società sta affrontando una vera e propria emergenza alimentare a causa di questi shock, vivendo in una precarietà assoluta. E hanno compreso che, in sostanza, stanno venendo sacrificati per la strategia geopolitica della Repubblica Islamica nel mondo multipolare attuale.

Povertà crescente ed emersione di nuovi capitalisti

Allo stesso tempo, né gli Stati Uniti né i governi occidentali, né il mercato globale né le organizzazioni multinazionali offrono soluzioni per affrontare questa crisi, né sembrano interessati al fatto che la società iraniana sprofondi nella povertà assoluta e venga soffocata.

Per questo motivo, le classi subalterne e la popolazione nel suo insieme sono ormai completamente soggette al dominio della finanza globale. Da un lato, questa situazione evidenzia l’intreccio degli interessi statali, dall’altro riflette la disintegrazione della società, in cui soggetti ridotti all’impotenza corrono ciascuno per la propria sopravvivenza, sacrificando gli altri nella speranza di sfuggire alla catastrofe e alla crisi esistenziale.

Perciò, il regime di guerra e l’ordine finanziario sono inseparabili: sono entrambi organi dello stesso corpo capitalistico globale.

Ecco perché la Repubblica Islamica, pur apparendo come un polo opposto all’Occidente e come un fattore di intensificazione del regime bellico globale, ha al suo interno un sistema finanziario corrotto che trae profitto dalle sanzioni e dalle rendite. Proprio queste sanzioni hanno dato vita a nuove forme di borghesia in Iran, distruggendo completamente le classi popolari e una larga parte della società.

Mentre la maggioranza della popolazione si trova in uno stato di sospensione, disperazione e precarietà socio-economica a causa dell’ambiguità geopolitica e delle sanzioni, una nuova classe capitalistica sta emergendo, alimentandosi come un parassita del sangue nero e putrido delle sanzioni e della condizione di “guerra” permanente.

Immagine di copertina di A. Davey, da flick.com

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