approfondimenti

Luca Profenna

ITALIA

Padova: vogliamo una consultoria in ogni città

Occupata a marzo e sgomberata a dicembre del 2024, la Consultoria continua a rivendicare uno spazio nella città di Padova, perché c’è bisogno di una nuova educazione sessuo-affettiva per le comunità

Padova, otto marzo 2024, alla fine della manifestazione per lo sciopero transfemminista indetta da Non una di meno viene occupato il consultorio in via Salerno chiuso ormai da cinque anni nella zona sud della città. Da quel giorno e per nove mesi l’edificio abbandonato dall’Ater è diventato una Consultoria autogestita con servizi, assemblee e iniziative costruite dal basso e aperte al quartiere, fino allo sgombero avvenuto lo scorso dicembre. 

La Consultoria è stata – prima di tutto – un luogo per la salute sessuale e di contrasto alla violenza di genere in chiave femminista e transfemminista. È stato organizzato uno sportello di accompagnamento all’interruzione volontaria di gravidanza, oggi ancora attivo, dove si possono chiedere informazioni e ricevere supporto per districarsi nel percorso per abortire nel servizio sanitario, un processo lungo e difficile da affrontare in solitudine. Inoltre, è stato attivato uno sportello di primo ascolto psicologico. Come ci spiega Camilla: ‭«gli ascolti non si facevano mai da sole, ma in due o più persone per ricreare comunque una dimensione di piccolo gruppo e superare il rapporto gerarchico tra medico e paziente, ma anche per dare l’idea di una comunità che si fa carico anche della salute mentale di chi si ha intorno, e creare lo spazio per raccontare e nominare una violenza subita», un luogo di non giudizio e sorellanza. 

Foto di Non una di meno Padova – giardino della Consultoria

Le consultorie, cambiando il genere alla fine del nome, vogliono ribaltare il senso del servizio del consultorio, per riappropriarsene. E questo a Padova, come a Catania con la Consultoria “Mi cuerpo es mio” e in altre esperienze degli anni passati. La legge dei consultori è del 1975 e nasce proprio dalle lotte del movimento femminista, che in quegli anni aveva aperto i primi spazi per l’educazione sessuale del nostro paese. Quei servizi autogestiti vengono riconosciuti dallo Stato e istituzionalizzati, diventando i consultori familiari. I consultori dovevano essere servizi socio-sanitari dove trovare supporto per l’aborto, percorsi per la maternità e per la salute sessuale, qui i gruppi delle utenti dovrebbero essere ascoltati per l’organizzazione del servizio, che dovrebbe essere sempre gratuito. 

Foto di Luca Profenna – manifestazione dopo lo sgombero

Secondo la legge del 1996, ci dovrebbe essere un consultorio ogni 20.000 abitanti, oggi Padova, comune di 200.000 persone, ne conta appena quattro. E anche quei quattro non sono aperti tutti i giorni, praticamente non esistono gli spazi giovani ed è necessario prenotare per poter accedere alle visite. I consultori ormai sono servizi svuotati di senso, dove le operatrici hanno paura di entrare in contatto con i gruppi femministi che combattono contro le chiusure, mentre sono costrette ad aprire le porte ai gruppi antiscelta.

La Consultoria di Padova è quindi un’ esperimento di come dovrebbero essere i consultori: laboratori educativi e socio-sanitari aperti al territorio con l’obiettivo dell’educazione sessuo-affettiva delle comunità. 

‭«Abbiamo fatto un orto di quartiere per prenderci cura e vivere anche il giardino di questo ex-consultorio. Abbiamo organizzato un corso di yoga, dei workshop di autodifesa femminista e uno spazio bimbu per le bambine e i bambini» ma non è solo questo – come sentiamo nel video di presentazione del progetto. ‭«La consultoria è uno spazio politico dove ogni settimana vengono fatte le assemblee di Non una di meno (perché) abbiamo bisogno di spazi dove parlarci e organizzare le nostre lotte». Inoltre sono stati organizzati cerchi di parola, laboratori sulla salute mentale, sessuale e fisica, pranzi di quartiere, dibattiti, autoformazioni, presentazioni di libri, cineforum, concerti, serate musicali. La consultoria ha creato comunità, in un quartiere privato di un servizio importante come il consultorio. 

Tra le esperienze di incontro e ascolto ci sono stati i cerchi di parola sul consenso, sul “sorella io ti credo”, sul piacere e il dolore sessuale.

Ci spiega Camilla: «i cerchi sono stati momenti partecipatissimi perché abbiamo raccolto anche tanto bisogno di parlare e confrontarsi a partire da sé, ma all’interno di uno spazio e di una cornice politica».

Il quartiere, infatti, ha risposto in maniera curiosa e interessata al progetto della Consultoria, sono state tante le ex-utenti che si sono attivate proponendo attività e iniziative. C’è anche chi – al contrario – ha disegnato svastiche sulle panchine del giardino, impaurito dalla presenza di uno spazio femminista e transfemminista nel quartiere. 

In questo stabile l’Ater, Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale, e il comune di Padova hanno ottenuto dei fondi europei per finanziare un co-housing con 16 posti letto. Un progetto paradossale in una città in cui la crisi abitativa si allarga ed è sempre più difficile trovare una casa in affitto per le fasce popolari, le giovani generazioni e le persone migranti, mentre ci sono «centinaia di alloggi sfitti e in (s)vendita all’asta e cantieri fermi» e si contano 1800 alloggi popolari vuoti. Per questo dopo i primi mesi, le istituzioni hanno iniziato a fare pressione e a minacciare lo sgombero, avvenuto, poi, il 12 dicembre cambiando le serrature dell’immobile, nonostante la trattativa già aperta con il Comune di Padova per dare continuità al progetto.

Foto di Luca Profenna – corteo dopo lo sgombero

«Un’azione avvenuta in silenzio e in sordina, senza dare nell’occhio, perché chi ha sgomberato la Consultoria sa di essere colpevole di aver privato la città di un presidio di saluto autogestito e di uno spazio di contrasto alla violenza di genere», leggiamo nel comunicato successivo allo sgombero.

Il quartiere, così dopo essere stato privato di un servizio come il consultorio, ora si è visto togliere un luogo di socialità e di costruzione di comunità, certo non neutra, ma solidale, femminista e transfemminista. Subito dopo lo sgombero c’è stato un grande corteo cittadino, in seguito alla Consultoria sono state assegnate due stanze all’interno dell’ex-ostello in centro a Padova, un edificio che raccoglie varie associazioni cittadine.

«Per noi non è una soluzione adeguata, perché sono due stanze, è impossibile farci una consultoria e quindi stiamo continuando la vertenza con il comune e la mobilitazione per avere uno spazio adeguato».

Nel frattempo, però, trovano continuità gli sportelli e le assemblee. In ogni caso anche questa assegnazione non è priva di complicazioni perché il comune richiede la formalità della costituzione in associazione, con tutte le rigidità che questo comporta: «noi vogliamo un riconoscimento politico anche della nostra forma organizzativa sostanzialmente di assemblea», spiega sempre Camilla. 

Questa esperienza di occupazione femminista e transfemminista nella città di Padova raccoglie tutta la rabbia di questi anni di movimento e solleva il problema di come le politiche di questo ultimo decennio abbiano smantellato i consultori e di quanto invece servano nei quartieri luoghi dedivati alla conoscenza di sé, dell’altro, del proprio corpo, del proprio piacere sessuale, del riconoscimento della violenza. 

«La consultoria, in sostanza è un luogo di cura collettiva» per le nostre città contro i deliri securitari della destra globale. 

Foto di copertina di Luca Profenna

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