PRECARIETÀ
#WeWantCash, appunti per un reddito di base incondizionato
Da Pisa un contributo al dibattito della tre giorni No Jobs Let’s Act
Gli ultimi mesi e le elezioni del 25 maggio ci spingono a confrontarci con un panorama politico nazionale ed europeo per l’ennesima volta in evoluzione.
La clamorosa affermazione elettorale di Renzi sancisce il fatto che l’avvento del governo in carica debba essere letto in discontinuità con le transizioni precedenti, da Monti a Letta. Ad azioni di governo marcatamente espressione della governance europea – dalle politiche economiche, al “look”, alle esplicite dichiarazioni del presidente della Repubblica – , infatti, è subentrata un’esperienza che, sebbene in continuità con le “linee guida” della precarietà e dell’austerity, ha modificato nettamente i suoi rapporti con l’elettorato e il suo modus operandi. Il rapporto tra consenso e azione di governo rappresenta il dispositivo più potente a disposizione del nuovo premier, e, crediamo, l’elemento chiave che ha spinto il PD a conquistare l’unica vittoria in Europa di un “partito dell’austerity”. D’altra parte il dato del 40% ci costringe a riflettere sul fatto che tale dispositivo si sia rivelato vincente, e la portata della vittoria ci suggerisce che la natura stessa di quelli che definiamo appunto “partiti dell’austerity” stia sperimentando nuove forme di azione di governo e di rapporto con l’elettorato. Renzi sembra uscire da queste elezioni come l’esperimento vincente in questo senso, da confrontarsi ad esempio con la sparizione dei cugini socialisti greci e francesi.
In effetti, guardando oltre i confini nazionali è ovvio come il dato cruciale sia rappresentato invece dall’insieme dei partiti nazionalisti ed anti-europa nelle loro diverse declinazioni.
L’anomalia italiana, dal canto suo, coincide con l’apertura del semestre di presidenza italiana dell’UE e con l’avvicinarsi della scadenza dell’11 luglio, appuntamenti ai quali il nostro premier si presentera’ esportando oltre i confini nazionali la sua potenza comunicativa e l’immagine di uomo di governo capace di coniugare un profilo apparentemente critico verso l’Europa con un’azione di governo decisa che in realtà rientra nel solco tracciato negli anni passati.
Nel frattempo però è l’Europa stessa a rinnovare la stretta sui conti italiani, mentre sul fronte interno i dati sulla disoccupazione sfondano la barriera del 46% tra i giovani, confermando l’esistenza di un trend che promette nuovi record negativi. Il mondo del lavoro, non solo grazie a questi dati, è quindi il terreno su cui il governo è chiamato ad agire in fretta. L’ossatura dei provvedimenti già in cantiere si profila ben definita. Da un lato, per chi già un lavoro ce l’ha, si istituzionalizza il modello della precarietà : il jobs Act prevede infatti una totale deregolamentazione del mondo del lavoro, eliminando ogni obbligo di causalità alla chiusura dei contratti e applicando il limite di rinnovabilità dei contratti stessi non alla persona fisica ma alla mansione da essa svolta, permettendo così, di fatto, un numero di proroghe infinitamente superiori alle cinque nominalmente definite dal decreto. Expo è stato in questo senso un vero e proprio “cantiere”, per favorire il quale, nel luglio 2013, tutti i sindacati confederali avevano firmato un accordo che garantiva la possibilità di “deroga” al contratto nazionale. Il jobs Act rappresenta in questo senso l’istituzionalizzazione di un modello di lavoro precario che da molto tempo costituisce la forma principale di contratto in Italia.
Dall’altro lato, per i giovani altamente formati ancora esclusi dal mondo del lavoro si prevedono come uniche forme di accesso quelle dello stage gratuito o sottopagato, oppure del volontariato nella forma del servizio civile, dispositivo, questo, che costringe i giovani al ricatto di un’esistenza senza reddito e garanzie, per di piu’ mascherato da forme di solidarieta’. Si chiama Youth Guarantee il programma che prevede un finanziamento da parte dell’Unione Europea pari a 1 miliarido e mezzo di euro che serviranno a finanziare le aziende al fine di “incoraggiarle” ad assumere giovani precari da poter sfruttare in cambio di un curriculum più “ricco” e della sempre più vana speranza di poter un giorno ottenere un posto “garantito” nel mercato del lavoro.
Anche da questo punto di vista Expo rappresenta un esempio lampante di cosa significhi questa tendenza nella materialità delle vite dei giovani precari. Il grande cantiere di Expo 2015 si reggerà, infatti, per lo più sul lavoro volontario dei 18.500 giovani che verranno “assunti” nei prossimi mesi.
Con quest’operazione di ristrutturazione totale del mondo del lavoro Renzi si propone di ridurre drasticamente il tasso di disoccupazione giovanile, rendendo “occupati”, per quanto non pagati, centinaia di migliaia di giovani che al momento ingrossano le fila dell’esercito dei disoccupati. Questo è quanto il giovane premier Renzi dirà l’11 luglio in occasione del Vertice Europeo sull’Occupazione Giovanile a Torino.
È chiaro, quindi, che a partire da luglio i movimenti italiani saranno chiamati a confrontarsi con le sfide che si apriranno durante il semestre italiano di presidenza dell’Unione Europea. Da questo punto di vista raccogliamo l’invito delle Officine Zero e di CLAP a partecipare alla tre giorni romana di discussione No Jobs Let’s Act, per confrontarci sui temi del reddito, dei commons e delle nuove forme di autorganizzazione.
In particolare ci sembra oggi più che mai necessario riuscire a riaprire uno spazio pubblico di presa di parola da parte di quella composizione “giovanile, precaria e disoccupata” che sarà oggetto del Vertice torinese. Ci sembra che negli ultimi anni i cosiddetti “giovani”, prendendo la categoria nel senso più largo possibile, abbiano faticato a trovare degli spazi e dei modi di espressione potenti e capaci di vero protagonismo. Se è indubitabile che nei diversi territori siano state numerose e interessanti le sperimentazioni prodotte; sul piano del dibattito pubblico bisogna rilevare l’assenza di una qualsiasi forma di “soggetto”, collocato in chiave generazionale, in grado di prendere parola sul tema più cogente per i giovani (almeno) sudeuropei: l’assenza di qualsiasi prospettiva di accesso a forme di reddito diretto, “nascosta” dietro i dati allarmanti sulla disoccupazione giovanile.
La battaglia per un reddito incondizionato è la rivendicazione fondamentale per questa “soggettività”.
Negli ultimi anni le pratiche di riappropriazione di reddito per via indiretta hanno saputo e potuto dare in maniera estremamente potente la misura di cosa significhi “reddito per tutt*”, soprattutto attraverso l’occupazione di spazi sociali e abitativi. Ci sembra tuttavia che per costruire una seria e forte rivendicazione di reddito non si possa prescindere dalla natura principalmente monetaria e diretta della rivendicazione stessa.
Dal punto di vista del dibattito politico la rivendicazione di reddito incontra alcuni ostacoli non irrilevanti; in primo luogo l’etica del lavoro che ancora permane nell’ordine discorsivo del senso comune ma ancor di più dei sindacati tradizionali, rimasti ancorati ad una visione del lavoro precendente rispetto alle trasformazioni capitalistiche. Il diritto al lavoro come obiettivo perseguibile di per sé, slegato da una riflessione ampia su come il lavoro stesso è cambiato, è ancora un nodo difficile da sciogliere e la sua rivendicazione tout-court un concetto difficile da scardinare.
Dall’altro lato un altro grande nemico del reddito incondizionato è il reddito nella sua versione social-democratica e nordeuropea che rappresenta una vera e propria forma di workfare nella misura in cui fa del reddito una misura assistenziale legata alla prestazione lavorativa, vincolata ad un rapporto di ricatto con il mondo del lavoro.
Da questo punto di vista il M5S in Italia ha sdoganato la questione del reddito “di cittadinanza”, portandola finalmente all’interno del dibattito politico, anche “parlamentare”. Se da un lato ciò ha avuto un effetto positivo, “rompendo il silenzio” attorno al tema, dall’altro ci impone una maggiore chiarezza sulla natura della nostra rivendicazione.
Quando parliamo di reddito incondizionato non parliamo di una misura assistenziale ma di una forma remunerativa, che corrisponde ad una quota della ricchezza socialmente prodotta e dunque ci spetta, come ben chiarisce Fumagalli nel suo ultimo libro, Lavoro male comune. L’attributo “incondizionato” è una diretta conseguenza di questa natura del reddito : poichè si tratta di una remunerazione per ciò che è già stato prodotto, nulla può essere chiesto in cambio, a nulla può essere condizionata la nostra rivendicazione.
La rete si presenta oggi come esempio paradigmatico della messa a valore della vita e per questa ragione rappresenta per noi un campo di battaglia che deve diventare sempre più centrale. Con il laboratorio di autoformazione su rete e conflitti TIED IN THE WEB ci siamo a lungo interrogati sul ruolo della rete come luogo di produzione ed estrazione di valore. In questo senso crediamo che nell’ambivalenza tra potenzialità liberanti e nuove forme di sfruttamento che caratterizzano la rete, si debba situare un’analisi ed una conseguente azione politica che faccia della rete un terreno di conflitti.
Riprendere in mano gli strumenti marxiani per compiere un’analisi della rete che tenga conto di questi aspetti ci sembra possa essere un contributo importante. La semplice constatazione che sulla rete si produce quotidianamente ricchezza per il solo fatto di “esistere” sui social network è il dato che oggi riesce meglio a confermare la tesi della centralità attuale della produzione immateriale e delle nuove forme di lavoro e di sfruttamento della vita stessa; per queste stesse ragioni, quindi, la rete è in grado di mostrare con chiarezza la natura non assistenziale della rivendicazione di reddito.
Il 6-7-8 giugno parteciperemo al meeting No Jobs Let’s Act per condividere queste riflessioni e per confrontarci con tutt* quell* che dall’Italia e dall’Europa prenderanno parte al dibattito, per riaprire uno spazio di movimento veramente europeo su questi temi.
L’11 luglio a Torino saremo in piazza per ribadire che se c’è una strada per garantire a tutt* un’esistenza dignitosa e una vita libera dal lavoro come ricatto, questa è un reddito incondizionato per tutti e tutte.