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Tra Rojava e Turchia, nel cuore del Kurdistan: “Binxêt, sotto il confine”

“Binxêt – Sotto il confine” il nuovo film-documentario di Luigi D’Alife con la voce di Elio Germano, è un viaggio lungo i 911 km del confine turco-siriano. Un lavoro autoprodotto e dal basso, che sarà in distribuzione nei cinema tramite la piattaforma “Movieday” e sul web grazie a “Distribuzioni dal basso”. Un nuovo e diverso modo di fare cinema indipendente, raccontando che quotidianamente rimangono ai margini delle narrazioni dei media mainstream e sono silenziate dalle logiche di mercato.

Abbiamo intervistato l’autore.

1 – Cosa significa Bìnxet?

In un Kurdistan diviso da quattro confini fra quattro Stati, per la popolazione curda che da sempre vive su quelle terre, quel confine non divide la Siria dalla Turchia, bensì il Bakur (Il Kurdistan del nord) dal Rojava (il Kurdistan occidentale). Quello che sta oltre il confine lo chiamano Serxet, sopra il confine, mentre il Rojava è Binxet, che tradotto letteralmente significa “sotto il confine”. Un confine che, come molti altri, è stato disegnato ai tavoli di pace dalle potenze occidentali e che segue in larga parte la linea della ferrovia Berlino-Bagdad, una delle “grandi opere” dei primi anni del ‘900, su cui poi è stato tracciato il confine nel 1921. Molte città, comuni, villaggi furono divisi in due: le tribù, le famiglie, decine di migliaia di curdi che vivevano sulla stessa terra, si trovarono separati da barriere di filo spinato e mine.

Tra le varie città che si trovano sul confine e che ho attraversato durante le riprese del documentario, mi ha colpito molto il caso di Serekanye. Serekanye si trova proprio a ridosso del filo spinato ed è stato una delle prime aree urbane in cui nel 2013 la Turchia ha dato inizio alla costruzione del muro. Dall’altra parte del confine c’è la città di Ceylanpinar. Serekanye e Ceylanpinar prima erano un’unica città e questo risulta visibile ancora oggi: le distanze sono così ravvicinate che si riesce ad osservare facilmente cosa accade dall’altro lato del confine, nelle strade e nelle case. Le bandiere delle YPG e della Turchia sembrano quasi sfiorarsi. Quando ho chiesto quale fosse il nome curdo di Ceylanpinar, mi è stato risposto semplicemente “Serekanye serxet”. Solo una delle tante città divise da quel confine.

2 – Quello che racconti non è un confine come un altro. Divide contemporaneamente due Stati diversi, Turchia e Siria, e uno stesso popolo, quello kurdo. Cosa produce questa condizione particolare, forse unica?

Il popolo curdo è stato tra le prime vittime degli accordi coloniali. Dall’accordo Sykes-Picot del 1916 fino ad oggi, tutti gli Stati-Nazione dell’area hanno portato avanti una politica di massacro, oppressione ed assimilazione. La condizione di ritrovarsi divisi sulla propria terra ha prodotto una sorta di “terzo paese”, una cultura di confine dove le persone hanno imparato a convivere con questo status particolare, partendo dal forte e quasi “naturale” rifiuto proprio del confine ed allo stesso tempo della voglia di superarlo ad ogni costo. Per decenni parenti, famiglie, amici e militanti, hanno attraversato in segreto e illegalmente il confine minato per visitare l’un altro. L’esercito turco e quello siriano hanno ucciso centinaia, se non migliaia di persone su questo confine.

I curdi di Turchia hanno sempre utilizzato questo confine ogni volta che correvano dei guai con i regimi turchi. La popolazione li ha sempre accolti e protetti, e la rivoluzione che oggi vediamo in Rojava è stata costruita anche su quel confine. Ad esempio meno di anno dopo della fondazione del PKK, il 2 Luglio 1979, Ocalan ha attraversato segretamente il confine tra Suruc e Kobane, restando in Siria per oltre 20 anni e gettando le basi per la rivoluzione. Decine di volte i curdi da un lato e dall’altro, si sono radunati per abbattere reti e filo spinato. Tutti hanno avuto un amico, un parente ferito o ucciso su quel confine, tutti hanno qualcuno dall’altra parte che non riescono più ad incontrare, tutti hanno una storia da raccontare. Il termine di confine implica l’idea di contenimento, ma anche quello di invito ad andare al di là, un’esortazione a disobbedire, a ribellarsi. Qui si consuma la violenza del potere ma anche la resistenza al potere.

3 – Negli ultimi tre anni intorno a quella striscia di terra si sono giocate partite di importanza globale: i traffici tra il regime di Erdogan e l’ISIS, il passaggio dei profughi siriani, il sostegno alla rivoluzione del Rojava. Allo stesso tempo, da una parte e dall’alta, si sono continuate a snodare le esistenze quotidiane di famiglie divise, amori spezzati, amicizie separate. Bìnxet di quale confine ci parla?

Ho scelto di raccontare questa storia senza troppi fronzoli. Ho messo nello zaino una piccola videocamera e la voglia di incontrare quelle persone, che per i motivi più diversi, con quel confine ci si devono confrontare ogni giorno. Mi hanno aperto le porte delle loro case, ma soprattutto mi hanno fato entrare nelle loro vite, raccontando talvolta le indicibili sofferenze che hanno vissuto, ma anche le gioie e le speranze di riuscire un giorno a veder scomparire quel maledetto confine. Il vero protagonista del documentario è proprio il confine, nelle sue diverse accezioni; c’è il confine come strumento di guerra ai migranti e alla libertà di movimento con le storie di Narin e di suo marito, ucciso in modo barbaro dai militari turchi mentre provava ad entrare in Turchia, o quella di Azad, solo 16 anni, arrestato sul confine, torturato per 7 giorni e poi rimpatriato in Siria.

Il confine da un lato come strumento di appoggio a Daesh – ad esempio a Tall Abyad, grossa porta di frontiera utilizzata per gli scambi tra Turchia ed ISIS – e dall’altro come luogo in cui portare la guerra contro i curdi – come a Nusaybin, città gemella di Qamishlo lungo il confine, in cui ho documentato gli effetti terribili del coprifuoco e dei bombardamenti. Ci sono i contadini che non possono coltivare le proprie terre perchè occupate dall’esercito turco per costruire il muro, coloro che sono scappati in Turchia ed hanno provato sulla loro pelle cosa significa l’accoglienza in salsa turca finanziata con i soldi dell’UE, i ragazzi e le ragazze della campagna “Ez nacim” che rivendicano il diritto a restare sul proprio territorio.

La produzione di questo film documentario è stata intrapresa con la voglia di mostrare e denunciare la violenze dei confini e le responsabilità storiche pesantissime che i Paesi europei si sono assunti firmando l’accordo con Erdogan: mani libere per i progetti autoritari nella politica interna turca, occhi chiusi sulle atrocità che Ankara conduce in Bakur, in cambio di un controllo appaltato (ma molto ben retribuito) dell’accesso alle frontiere sud-orientali dell’Europa.

4 – Hai attraversato quel confine varie volte, conoscendo l’autoritarismo turco, poi vedendo la resistenza di Kobane, poi ancora Turchia e di nuovo Rojava. Questi passaggi di confine come ti hanno cambiato?

Mi hanno cambiato profondamente, mi hanno spinto a raccontare quello che avevo visto e vissuto sulla mia pelle e probabilmente sono stati decisivi nello spingermi a realizzare questo documentario. Nel maggio 2015 ho attraversato illegalmente il confine per raggiungere la città di Kobane liberata da neanche 4 mesi. Nella vita delle persone le “prime volte” hanno davvero un sapore particolare. Confrontarsi con la violenza di quel confine, strisciare nel fango sperando di non essere visto, arrestato o peggio sparato dai militari turchi, impigliarsi e ferirsi col filo spinato, poi correre a perdifiato e sorridere di vera gioia quando sei “dall’altra parte”.

Perché il valore simbolico che diamo ai confini è grande, tuttavia a furia di passarci sopra i confini vengono abbattuti, ed insieme anche il loro significato. Da quel maggio 2015 ho continuato a seguire l’evolversi della situazione in tutti i territori del Kurdistan, ma con un occhio particolare a quel maledetto confine, che col trascorrere dei mesi ha mostrato in maniera sempre più chiara e netta la sua importanza strategica: dai disegni autoritari di Erdogan alla guerra di liberazione contro ISIS, e poi naturalmente il controllo e la chiusura di quella frontiera sui cui poggia lo scellerato accordo per il controllo dei flussi migratori tra l’UE e la Turchia.

5 – Com’è cambiata la situazione tra Turchia e Siria dalla fine delle riprese a oggi?

Ho terminato le riprese di “Binxet – Sotto il confine” a fine Aprile 2016. Da allora di cose ne sono cambiate parecchie, perché quando parliamo di Siria, Turchia ed in particolare di quel confine, la situazione è costantemente in evoluzione. Per quanto riguarda il confine, dopo la mia partenza, molti luoghi che ho visitato durante le riprese,sono cambiati: il filo spinato ha lasciato spazio ai blocchi di cemento del muro. Lungo il confine di Kobane, a settembre 2016, la Turchia ha attaccato la popolazione che protestava contro l’invasione del territorio e la costruzione del muro uccidendo due persone.

Ad agosto, la Turchia ha invaso la Siria dando inizia alla cosiddetta “Operazione scudo dell’Eufrate”, utilizzata come strumento di attacco proprio contro i curdi e la rivoluzione in Rojava. Contemporaneamente YPG ed SDF hanno continuato a liberare centinaia di chilometri dall’oppressione di ISIS ed oggi si trovano alle porte di Raqqa. Il confine è sempre più blindato, gli attacchi e le violazioni portate dall’esercito turco si sono moltiplicate da inizio 2017, mentre lo scorso anno ha fatto registrare 171 persone uccise dalle guardie di frontiere mentre provavano ad attraversarlo.

L’accordo UE-Turchia ha prodotto quello che tutti sapevano: ha devastato le vite di centinaia di migliaia di persone, da coloro bloccati in condizioni indegne sulle isole greche, ai milioni di siriani in Turchia che subiscono profonde disuguaglianze sociali, razzismo, sfruttamento e mancanza di diritti essenziali. Oggi i rapporti tra UE e Turchia sembrano decisamente peggiorati rispetto ad un anno fa, eppure l’accordo non si mette in discussione, continua a rimanere un punto ferma della politica migratoria europea, tanto che, da marzo 2016, già 2,2 miliardi di euro sono stati versati dall’UE nelle casse di Erdogan.

Ho la speranza che questo lavoro possa servire a riempire ed annullare la distanza tra il “noi” ed il “loro”, che renda meno fredda l’indifferente Europa, trasmettendo quel calore che una volta che hai messo piede su quelle terre continua a bruciarti dentro anche a migliaia di chilometri di distanza. Superando i confni.

“Binxet – Sotto il confine” sarà nei cinema grazie a movieday.it, una piattaforma web che ti permette di organizzare proiezioni nei cinema di tutta Italia! Ad una condizione: per confermare la proiezione è necessario raggiungere un quorum minimo richiesto dal cinema acquistando i biglietti in prevendita su movieday.it. Supporta un nuovo modo di andare al cinema dove lo spettatore sceglie cosa portare in sala!

Per informazioni scrivi a proiezioni@binxetsottoilconfine.net

Per conoscere le date delle proiezioni, confermarle ed acquistare i biglietti vai su movieday.it “Binxet – Sotto il confine” sarà anche online grazie a opendbb, la prima rete distributiva italiana libera ed indipendente.

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