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Sorvegliare e annientare
Sull’appassionato saggio di Grégoire Chamayou “Teoria del drone” edito da Derive Approdi.
Da millenni l’attività del’La guerra è cambiata con il ritmo dello sviluppo tecnologico. Così la comparsa di balestre sempre più potenti ha reso inutili le armature, la potenza dei cannoni inservibili le mura che per secoli avevano difeso le città e via discorrendo. Ad ogni arma nuova arma una maniera diversa di uccidersi. Eccezione significativa la bomba nucleare, inservibile perché un conflitto atomico comporterebbe di fatto la sconfitta di ognuna delle parti in causa, mettendo in discussione la stessa possibilità della vita sulla terra; l’arma nucleare ridotta a strumento di deterrenza, tutta al più di minaccia.
Al pari della bomba atomica, fatte le dovute differenze ovviamente, anche il drone ha rotto il classico schema del fare la guerra. Questo è il tema dell’appassionato saggio “Teoria del drone, Principi filosofici del diritto di uccidere”, del filosofo francese Grégoire Chamayou edito da pochi giorni da DeriveApprodi. Chamayou ricostruisce con fonti diverse e originali la nascita del drone, il suo sviluppo e utilizzo militare, ma soprattutto il suo impatto sull’attività bellica, sui suoi “valori” guerrieri e le sue regole codificate e non. Perché il drone è un’arma invisibile che dispensa morte mentre, a migliaia di chilometri di distanza, un pilota in un container ben climatizzato uccide senza mettere a repentaglio la sua vita. Questo sconvolge radicalmente le regole dell’uccidere secondo una logica precisa e codificata, quella appunto della guerra. E’ ipotizzabile ed è “giusta” una guerra che preveda zero vittime tra le nostre truppe? E’ etico uccidere non correndo mai il rischio che il nemico ti colpisca? E ancora: come e in base a quale regole e a quale diritto, per esempio, vengono condannate a morte le persone verso cui i droni scaglieranno il loro carico assassino? In quelle oramai famigerate sedute alla presenza del Presidente degli Stati Uniti, in base a cosa generali, politici e uomini dell’intelligence comminano la sentenza? Il diritto di guerra, derivato dalla fondazione della sovranità di natura giusnaturalista, viene così messo in discussione e sconvolto.
Quella di Chamayou è con Foucault un’analisi governamentale dell’utilizzo militare dei droni, intesi così come dispositivo e una tecnologia di governo e controllo. Lungo il saggio si svela così come l’utilizzo di velivoli armati e telecomandati a distanza, risponda ad una precisa filosofia della guerra, quella inaugurata dopo l’11 settembre, che accomuna sempre di più il conflitto armato ad un’azione di polizia. Perché se l’utilizzo della forza è monopolio esclusivo di una delle parti in causa, che può e deve colpire come, quando e dove vuole un nemico che per difendersi, questa può non fare appello a nessuna regola, per il semplice fatto che il bersaglio si presume essere il cattivo e il potere rappresentare i buoni. Il nemico diventa preda, da catturare e colpire indifferentemente dal fatto che stia combattendo o meno, che rappresenti o meno una minaccia.
Chamayou riporta alcune testimonianze di cittadini pakistani le cui famiglie sono state colpite all’improvviso da missili lanciati da invisibili Predator. La loro colpa? Riunirsi in un numero sospetto, portare con se delle armi (o qualcosa che da centinaia di metri di altezza e in immagini sgranate possono sembrare tali), portare la barba lunga. Elementi che avevano reso sufficiente l’autorizzazione di un attacco. Perché i droni sono al contempo un’arma di offesa e una tecnologia di controllo, che spia e osserva e poi colpisce in base ai dati raccolti. Se frequenti una certa moschea, se ti accompagni a dei tizi conosciuti come estremisti, se fai ripetuti viaggi in un luogo isolato fuori dal tuo classico itinerario trasportando casse contenenti qualcosa di sconosciuto, beh sei oggettivamente un potenziale bersaglio perché con buona probabilità fai parte di un’organizzazione ostile. In questo caso una serie di indizi fanno una prova che può essere fatale. Alla stessa maniera nel governo del fronte interno della guerra se non lavori e non hai di che mantenerti, con tutta probabilità delinqui o al minimo sei un soggetto potenzialmente pericoloso.
Nei paesi colpiti dai droni, Pakistan in testa, sono nate Ong e associazioni che si occupano esclusivamente di denunciare i risultati degli attacchi e gli effetti nefasti, anche psicologici che hanno sulla popolazione. Ma anche negli Stati Uniti crescono le proteste e la richiesta di trasparenza. Da noi in Europa? Di recente Statewatch, network di associazioni che si occupano di difesa dei diritti civili, ha pubblicato il rapporto EURODRONES Inc., che denuncia l’azione di una vera e propria lobby nel vecchio continente che spinge per l’utilizzo, la sperimentazione e l’investimento nel campo dei droni di soldi pubblici, eludendo chiaramente ogni dibattito pubblico sul tema. Per arrivare in casa nostra l’esercito italiano ha acquistato alla fine dello scorso decennio alcuni modelli di Predator, il famigerato drone dell’esercito americano, mentre la nostrana Selex Es, una delle tante costole di FinMeccanica che costruisce e vende droni militari.
Di seguito il capitolo quarto del libro, intitolato Sorvegliare e annientare, di cui DeriveApprodi ci ha gentilmente concesso la pubblicazione:
L’occhio di Dio 1551
«È un po’ come avere Dio sopra la testa. E il fulmine si abbatte su di noi nella forma di un missile “Hellifire”».
Colonnello Theodore Osowski
«L’occhio di Dio cercando, ho visto solo un’orbita vasta, nera e infinita, dove notte dimora e si irradia sul mondo ed è ognora più fitta».
Gérard de Nerval
L’occhio di Dio abbraccia col suo sguardo siderale la totalità del mondo. Il suo non è un semplice vedere: Egli attraversa la pelle dei fenomeni e affonda fin nelle loro viscere. Nulla è opaco per Lui. Poiché il suo sguardo coincide con l’eternità, esso abbraccia tutto il tempo, passato e futuro. Per questo il sapere di Dio non è un sapere qualsiasi: all’onniscienza corrisponde l’onnipotenza.
Per molti versi, il drone aspira a realizzare attraverso la tecnolo- gia un analogo dell’occhio di Dio. Come scrive un militare: «utilizzando l’occhio-che-tutto-vede si può scoprire chi sono i soggetti nodali di una rete, dove vivono, chi li sostiene e chi sono i loro amici». E poi non resta che aspettare «che queste persone si inoltrino in un tratto di strada isolato per farle fuori con un missile Hellfire».
I fautori dei droni battono molto su questo punto: questi appa-ecchi hanno «rivoluzionato la nostra capacità di osservazione costante del nemico». Ecco dunque l’apporto fondamentale del drone: la rivoluzione dello sguardo. In cosa consiste questa rivolu- zione? È possibile riunire queste innovazioni in quattro grandi principi:
1. Principio dello sguardo persistente o della veglia permanente.
Il drone può restare in volo per molto tempo, essendosi emancipato da tutti gli obblighi che il corpo del pilota impone all’aereo tradizionale. Il suo sguardo è costante, 24 ore su 24: l’occhio meccanico è senza palpebre. Mentre l’apparecchio sorvola in pattuglia, gli operatori, a terra, fanno tre turni di otto ore di fronte allo schermo. La delocalizzazione degli equipaggi fuori dall’abitacolo ha consen-tito una profonda riorganizzazione del lavoro ed è questo aspetto di moltiplicazione socializzata delle pupille umane, a garantire in realtà, al di là delle prodezze tecnologiche della macchina, la «ve- glia geospaziale costante» dello sguardo di Stato.
2. Principio di totalizzazione delle prospettive o principio di sguardo sinottico.
Il secondo grande principio aggiunge alla persistenza dello sguar- do un carattere totalizzante. Si chiama concetto di sorveglianza di vasta estensione («wide area surveillance»): vedere tutto, sempre. Questa estensione del campo di visione è destinata a essere affidata a nuovi dispositivi ottici rivoluzionari ancora in fase di sviluppo. Se equipaggiato con tali sistemi di «iconografia sinottica», un drone disporrà non di una ma di decine di micro-camere ad alta risoluzione, orientate in ogni direzione, come le mille sfaccettature di un occhio di mosca. Un software riunirà in tempo reale le differenti immagini in una sola vista d’insieme, con possibilità di aggiungere dettagli a volontà.
Si otterrà così l’equivalente di un’immagine satellitare ad alta risoluzione di una città o di un’intera regione, ritrasmessa in video in diretta. In ogni momento le differenti squadre di operatori sarebbero in grado di zoomare su un quartiere o un individuo. Equipaggiato con un simile sistema, un solo apparecchio in volo stazionario fornirebbe l’equivalente delle capacità di una rete di videoca- mere di sorveglianza disseminate attraverso un’intera città. Il drone diventerebbe «onniveggente».
Nella pratica, comunque, la strada è ancora lunga. Certo, nei rapporti militari il dispositivo oggi esistente è ritenuto ancora «non operativo»: inefficace, e inadeguato, con una risoluzione insufficiente, specie per seguire efficacemente le persone, e con debolezze preoccupanti nel sistema di localizzazione. Ma quello che interessa in questa sede è soprattutto comprendere i principi direttivi di questa nuova razionalità, indipendentemente dalla sua effettività attuale.
3. Principio di archiviazione totale, ovvero: filmare tutte le vite.
La sorveglianza ottica non è soltanto una forma di controllo in tempo reale, ma assume anche un’importante funzione di registra- zione e archiviazione. «L’idea che sta dietro il concetto di sorveglian- za permanente è quella di girare un film di una città intera, per seguire gli spostamenti di tutti i veicoli e di tutti gli abitanti». Una volta realizzato, questo film di tutte le vite e di tutte le cose può essere rivisto mille volte, focalizzandosi ogni volta su di un personaggio diverso, zoomando su di lui per ripercorrere tutta la storia dal suo punto di vista. Si possono selezionare degli estratti, tornare indietro, rivedere una scena o passare avanti. Navigare a piacimento non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Diventa possibile ri- tracciare la genealogia di un evento: «Se si riuscisse a tenere sotto sorveglianza una città intera, si potrebbero rintracciare le auto- bomba fin dal momento in cui vengono caricate». In altri termini, l’archivio totale assicura in anticipo, e in maniera induttiva, la trac- ciabilità retrospettiva di tutti gli itinerari e di tutte le genesi.
Tutto questo presuppone comunque capacità di stoccaggio, di indicizzazione e di analisi dei dati che i sistemi attuali non possiedono. I giornali riportano che,solo nel 2009, i droni americani hanno prodotto l’equivalente di 24 anni di registrazioni video. E anche il nuovo sistema ARGUSIS promette di «generare moltissimi terabyte al minuto, ossia cento volte di più dei sensori della generazione precedente». Ma è proprio questo il problema: il rischio onnipresente del «data overload», del sovraccarico; come una valanga di dati che rende l’informazione inutilizzabile per eccesso di contenuti.
Per rimediare a questo problema il Pentagono ha deciso di andare allo stadio. Il football americano, infatti, lo spettacolo televisivo per eccellenza, offre importanti innovazioni nel campo del trattamento video. A ogni partita, decine di telecamere filmano i giocatori sotto tutti i punti di vista e ogni sequenza viene indicizzata istantaneamente dentro una banca dati. In seguito, grazie a un software molto potente, il regista può proporre qualsiasi azione di qualsiasi partita da più angolazioni, mentre contemporaneamente appaiono le statistiche sullo schermo. Come ammette anche Larry James, direttore del settore «informazione, sorveglianza e riconoscimento» dell’Air Force, «in materia di raccolta e analisi di dati, le tv sportive sono più avanti dei militari»15. E infatti l’esercito americano ha inviato degli agenti negli studi della catena sportiva ESPN, decidendo poi di acquisire una versione modificata del software utilizzato dal canale televisivo16. Dopo tutto, il lavoro è lo stesso: «I diffusori di eventi sportivi vogliono raccogliere e catalogare i video legati a uno specifico giocatore o a un tiro vincente, l’esercito vuole disporre della stessa capacità per braccare gli insorti». Già tempo fa Walter Benjamin avvertiva che la guerra futura avrebbe presentato «un volto che liquiderà definitivamente le categorie militari a favore di quelle sportive, che toglierà alle azioni ogni carattere militare e le porrà tutte all’insegna del record».
La tappa tecnologica successiva sarà quella di automatizzare l’indicizzazione delle immagini, affidando a una macchina il fastidioso compito di inserire manualmente i «tags» o i metadati. Ma per far questo ci vogliono programmi capaci di descrivere le cose e le azioni, cioè di tradurre automaticamente degli aggregati di pixel in nomi, verbi e proposizioni. È in questa direzione che vanno gli attuali investimenti della Defense Advanced Research Projects Agency, che raccolgono anche ricercatori in scienze cognitive attorno all’obbiettivo di costruire dei «sistemi cognitivi integrati per videosorveglianza automatizzata».
Bisogna aspettarsi di vedere nel prossimo futuro delle macchine-scriba, degli archivisti volanti e automatizzati che redigeranno in tempo reale il rapporto di ogni minima attività del mondo sotto- stante. Come se le telecamere che catturano le immagini animate della vita degli uomini si mettessero a un certo punto a redigere rendiconti circostanziati delle loro attività. Ma questi testi non sarebbero soltanto una cronaca meticolosa di tutti gli accadimenti e di tutti i gesti, ma anche un grande indice: il catalogo informatizzato di un’immensa videoteca nella quale tutte le vite diventerebbero retrospettivamente «ricercabili».
4. Principio di fusione dei dati.
I droni non hanno solo gli occhi, ma anche orecchie e altri organi:
«I droni Predator e Reaper possono intercettare le comunicazioni elettroniche emesse dalle radio, dai telefoni cellulari o da altri apparecchi di comunicazione». Ai fini dell’archiviazione, il problema consiste nel fondere questi differenti tipi d’informazione per combinare in uno stesso item tutte le varie informazioni prove- nienti da uno stesso evento. Associare per esempio una chiamata telefonica a una sequenza video e a coordinate GPS. Questo con- cetto si chiama «fusione dei dati» (datafusion).
5. Principio di schematizzazione delle forme di vita.
Derek Gregory osserva come questa capacità di «visualizzare i dati provenienti da diverse fonti che combinano il “dove”, il “quando” e il “cosa” in una traccia a tre dimensioni ricorda i diagrammi cronogeografici elaborati dal geografo svedese Torsten Hägerstrand negli anni Sessanta». Questa corrente molto inventiva della geo- grafia umana si proponeva di disegnare cartografie di nuovo gene- re, grafici spazio-temporali che mostrassero dei percorsi di vita a tre dimensioni, con i loro cicli, i loro itinerari ma anche con i loro incidenti e le loro derive. Per un crudele ribaltamento, questo progetto di cartografia delle vite è diventato oggi un pilastro della sorveglianza armata. L’obiettivo è «seguire una pluralità di individui attraverso varie reti sociali per stabilire una forma o uno “schema di vita” (pattern of life), conformemente a quel paradigma di “indagine sull’attività” che rappresenta oggi il cuore della dottrina controinsurrezionale».
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, l’obiettivo principale di questi dispositivi di sorveglianza permanente non è tanto pedinare individui già noti, ma di veder emergere elementi sospetti che si segnalano per il loro comportamento anomico. Siccome questo tipo di indagine è «fondata sull’attività», cioè su un’analisi delle condotte piuttosto che sul riconoscimento di identità nominali, essa pretende paradossalmente di poter «identificare» degli individui che restano anonimi, cioè di qualificarli per la tipicità del loro comportamento in quanto rivelano un profilo determinato, con un’identificazione dunque non più singolare, ma generica.
6. Principio di individuazione di anomalie e principio preventivo di anticipazione.
Si scannerizzano le immagini per trovare, nella massa delle attivi- tà, quegli eventi pertinenti per lo sguardo securitario. Questi ultimi si distinguono per la loro anomia, per la loro irregolarità. Ogni comportamento che sfugge alla trama delle attività abituali defini- sce una minaccia. «Oggi – dice un’analista dell’Air Force – analizzare le immagini catturate dai droni è un’attività a metà strada tra il lavoro poliziesco e le scienze sociali. Il nodo è la comprensione delle «forme di vita» e delle possibili deviazioni da questi modelli. Per esempio, se un ponte abitualmente pieno di gente all’improv- viso diventa deserto, ciò può significare che la popolazione locale sa che qualcuno vi ha piazzato una bomba. Perciò ci si mette a fare un lavoro di studio culturale, ci si mette a osservare la vita della gente». L’essenziale di questo lavoro, riassume ancora Gregory, consiste nel «distinguere tra attività “normale” e “anormale” in una sorta di ritmo-analisi militarizzata che assume forme sempre più automatizzate».
L’individuazione automatica dei comportamenti anormali continua poi attraverso la predizione delle loro possibili evoluzioni. A partire dai tratti caratteristici di una sequenza nota individuati in una data situazione, gli analisti ritengono di poter inferire in maniera probabile, prolungandone le linee, le traiettorie future e di poter intervenire a monte per impedire che si verifichino. Questa è la funzione «avanti veloce» del dispositivo: «il riconoscimento automatico di determinati scenari può fornire un’allerta precoce su una minaccia». La previsione del futuro si fonda sulla conoscenza del passato: gli archivi delle vite costituiscono la base su cui, attraverso la determinazione di regolarità e l’anticipazione di tendenze ricorrenti, si pretende non solo di prevedere il futuro ma anche di modificarne il corso attraverso un’attività induttiva. Evidentemente, simili pretese riposano su basi epistemologiche a dir poco fragili, anche se questo non limita affatto, anzi, la loro pericolosità.
Anche in questo caso i nomi sono rivelatori: «Argus» e «Gorgon Stare», lo sguardo della Gorgone. Nella mitologia greca, Argo è il personaggio dai cento occhi, chiamato anche Panoptes, «colui che vede tutto». Si ricorderà che il celebre panopticon di Jeremy Bentham, analizzato da Foucault, era in prima battuta una costruzione architettonica. E negli ultimi decenni se i muri della città si sono riempiti di videocamere di sorveglianza è stato in con- tinuità con tale schema. Da questo punto di vista, invece, la sorve- glianza dronizzata è più economica, perché non implica né ristrutturazioni spaziali né innesti sulle costruzioni. Bastano l’aria e il cielo. Come nel film Eyeborgs le videocamere si distaccano dai muri e, facendo questo, tirano fuori le ali e le armi: stiamo entrando nell’era dei panopticon volanti e armati. È lo sguardo che uccide. Non è più questione, quindi, di «sorvegliare e punire», ma di sorvegliare e annientare.
Il giornalista del «New York Times» David Rohde, rapito nel 2008 e detenuto in Waziristan per sette mesi, fu uno dei primi occidentali a descrivere gli effetti di questa sorveglianza letale permanen- te sulla popolazione. Rohde evoca l’«inferno sulla terra», e aggiunge: «I droni erano terrificanti. Da terra era impossibile determinare chi o cosa stavano seguendo mentre descrivevano dei cerchi sopra le nostre teste. Il ronzio lontano del loro motore è come il richiamo costante di una morte imminente».
Nello stesso senso vanno le testimonianze accumulate nella stessa zona geografica dagli autori del rapporto «Vivere sotto i droni», del 2012:
Ci sorvegliano costantemente; sono sempre sopra di noi e non si sa mai quando colpiranno. Tutti hanno continuamente paura. Quando ci riuniamo per fare una riunione abbiamo sempre paura di essere colpiti. Quando si sente un drone girare in cielo, tutti sanno che può colpire. Abbiamo sempre paura, come un chiodo fisso.
Ho sempre i droni in testa. Mi impediscono di dormire.Sono come le zanzare. Anche quando non li vedi, li senti e sai che sono lì. I bambini, gli adulti, le donne, hanno tutti il terrore… gridano di terrore.
Un abitante di Datta Khel, località colpita più di trenta volte dai droni nel corso degli ultimi tre anni, racconta la vita in città: «Molti hanno perso la testa […] si sono chiusi in una stanza. Proprio come in prigione: sono prigionieri, rinchiusi in una stanza».
I droni, in effetti, pietrificano. Generano un terrore di massa in intere popolazioni. Oltre alle morti e ai feriti, alle macerie, alla rabbia e ai funerali, questo è l’altro effetto della sorveglianza letale permanente: una prigione psichica il cui perimetro non è più segnato da sbarre, barriere o muri, ma dai cerchi invisibili che traccia al di sopra delle teste il turbinio senza fine di queste torri di guardia volanti.