Resistiamo in Salute
Conversazione con un medico e attivista dell’ospedale occupato di Petralona ad Atene.
Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro della distruzione dell’assistenza sanitaria gratuita e con essa la distruzione di un diritto universale ed inalienabile come il diritto alla salute. L’intervista che presentiamo in questa puntata della nostra inchiesta sul tema, riguarda l’esperienza di una clinica occupata in un quartiere di Atene, Petralona.
La Grecia è stata in questi anni un laboratorio di sperimentazione dell’attacco alla società sferrato dalle élite finanziarie transnazionali attraverso le politiche di austerità. Ma la Grecia è anche un laboratorio di resistenza e autorganizzazione di un movimento forte, estremamente radicato in tanti settori sociali e in moltissimi luoghi del lavoro contemporaneo.
La lunghezza di questo testo potrebbe scoraggiarne la lettura e qualcuno potrebbe sperare di trovare, tra le righe di questa introduzione, una sintesi dei concetti più importanti affrontati dal medico/attivista. Al contrario, siamo convinti che un simile tentativo sarebbe per forza di cose fallimentare: gli spunti di riflessione, i racconti di lavoro politico quotidiano, gli strumenti organizzativi immaginati e realizzati, vanno letti con attenzione e gustati lentamente.
Su un punto, però, vorremmo richiamare l’attenzione: come emerge chiaramente in diversi passaggi, il diritto all’assistenza sanitaria è qualcosa che riguarda tutti noi, non soltanto chi per scelta professionale è tenuto a difendere la vita, e la sua qualità, ad ogni costo. Non si tratta di uno qualsiasi tra i tanti, e tutti importanti, diritti sociali. Il diritto a ricevere delle cure mediche riguarda la base stessa di tutti gli altri: riguarda il diritto inviolabile alla vita, di cui ogni persona (a prescindere dal proprio status sociale, dalla propria condizione economica o dalla provenienza geografica) deve avere la possibilità di godere in maniera assoluta e imprescindibile. Allo stesso tempo questo diritto è già stato intaccato dagli interessi delle multinazionali del farmaco, delle cure mediche e dalla direzione verso la sanità assicurativa intrapresa in diversi paesi.
La ferocia dell’attacco che sta distruggendo i sistemi sanitari pubblici, da Atene a Madrid, da Lisbona a Roma, chiama tutti noi a non delegare e a lottare in prima persona per il nostro presente e il nostro futuro. Allo stesso tempo ci offre la possibilità di immaginare e praticare un mondo diverso, migliore, in cui la medicina sia messa realmente al servizio delle esigenze delle persone.
Le lotte che stanno crescendo in questi giorni a Roma, nel Lazio, in Italia, sono forse il preludio di una battaglia più grande e più dura che dovremo combattere nei prossimi anni per riprendere in mano le nostre vite, i nostri corpi, la nostra felicità. Le misure imposte alla Grecia, al Portogallo, alla Spagna, sono già pronte per colpire l’Italia, e lo stanno già facendo (e infatti i maggiori tagli dell’ultima spending review riguardano proprio il campo della spesa sanitaria). Ci vediamo sulle barricate.
Ci piacerebbe cominciare chiedendoti un breve racconto della vostra esperienza. Attraverso questo racconto vorremmo indagare sia circa i cambiamenti prodotti dalla crisi nel sistema sanitario greco, sia come il vostro progetto è stato trasformato da questi cambiamenti.
Dunque, il progetto è iniziato dopo la rivolta di dicembre 2008. Durante la ribellione c’era un gruppo di lavoratori della sanità, dottori e farmacisti, che si sono uniti con altre persone che a quel tempo non avevano niente a che fare con il sistema sanitario e hanno deciso di aprire una discussione circa l’autorganizzazione nella sanità. Abbiamo discusso di molte cose… della situazione negli ospedali, di come la situazione dell’assistenza sanitaria ha effetti sociali e di come le condizioni sociali influenzano la sanità. Insomma, abbiamo aperto un discorso sulla salute in senso generale. Uno dei progetti era quello di occupare un ambulatorio abbandonato da anni dallo stato, in un quartiere di Atene. Il progetto è cominciato nel marzo del 2009. Lo abbiamo portato avanti insieme all’assemblea locale di questo quartiere di Atene, chiamato Petralona. Petralona è un quartiere di circa 15-20.000 persone. Nonostante ciò, ospita una delle più grandi e storiche assemblee locali. Alcune persone facenti parte dell’assemblea dei lavoratori della sanità di cui sopra erano anche membri di questa assemblea locale. Così ci hanno invitato a partecipare e nel marzo del 2009 c’è stata l’occupazione. La nostra idea originaria non si era ancora scontrata con la crisi, poiché non era così ovvio ciò che sarebbe successo nei mesi e negli anni successivi. Il nostro scopo principale non era soltanto offrire un servizio a quella parte di società che non era coperta da un’assicurazione [sanitaria] o che non aveva accesso agli ospedali e all’assistenza sanitaria. Il nostro scopo principale era, in maniera più generale, un diverso approccio alla sanità. Quindi noi volevamo esistere in una maniera diversa, approcciarci ai pazienti diversamente e avere prospettive differenti. Per esempio, noi crediamo che la salute sia qualcosa di cui tutti dovrebbero preoccuparsi, perché chiunque nel corso della propria vita può avere un problema con il proprio stato di salute e aver bisogno di assistenza medica o di un ricovero. Inoltre, dovremmo anche considerare che la salute ha a che fare quasi con ogni cosa: è quello che respiriamo, quello che mangiamo, quello che pensiamo, lo stato delle relazioni con la famiglia, con gli amici… il modo in cui lavoriamo. La depressione sul lavoro è una cosa molto importante che causa danni sanitari, questo è affermato anche dalla letteratura medica ufficiale. La salute è allo stesso tempo qualcosa di veramente generico e di molto complesso, perciò abbiamo cercato di approcciarci alle cose dalla radice, sin dall’inizio. La nostra priorità non è dare un antidolorifico a chi ha dolore, la nostra priorità è mostrare al quartiere quali sono i problemi di salute che possono venire fuori da alcune industrie, dall’aria inquinata, dai ristoranti e dai bar che hanno la musica ad un volume alto e non permettono ai bambini di giocare perché hanno le sedie nel mezzo delle strade, cose del genere. Così è come abbiamo cominciato. Nel corso degli anni le cose sono cambiate ed ora, se parliamo di successo in termini numerici, vanno anche molto meglio: molte più persone vengono da noi perché non hanno accesso al sistema sanitario ufficiale.
Questo ci concede l’opportunità di parlare con loro, di aprire alcune discussioni, rispetto a come questa situazione si è generata, a chi ne ha le responsabilità, a come il potere, e intendo i governi e le persone che prendono le decisioni, abbiano lasciato andare le cose in questa direzione. Allo stesso tempo, abbiamo la possibilità di discutere della nostra responsabilità, non soltanto quella di aver lasciato che queste cose accadessero a causa della neutralità, a causa dell’isolamento nelle case, della chiusura nel privato, della mancanza di partecipazione alla resistenza sociale, dell’aver lasciato che altra gente, i partiti, le autorità prendessero le decisioni più importanti sulle nostre vite. Anche il passo successivo è stato qualcosa di davvero delicato, perché tocca le nostre posizioni personali sulla salute e le nostre esperienze personali circa quest’ultima. Intendo dire che tutti siamo stati influenzati politicamente e culturalmente dall’ambiente sociale in cui viviamo, perciò quando stiamo male o quando siamo malati abbiamo paura di morire e vediamo i dottori come degli dei che faranno miracoli per farci continuare a vivere. Questa è una parte. L’altra parte è che allo stesso tempo siamo lavoratori, e il nostro capo ci chiede di essere in salute per essere produttivi, così ci curano meccanicamente. Un altro fattore è che quando siamo vecchi, attorno ai 75-80 anni, vogliamo vivere anche solo un altro giorno, a qualsiasi costo. Così la questione della qualità della vita è molto delicata perché le persone potenti la tirano fuori quando si tratta di abbattere i costi dell’assistenza sanitaria, ma tale questione è basata su un concetto sociale e culturale che abbiamo nelle nostre menti, nel profondo della nostra mentalità. Ovviamente noi siamo troppo piccoli per dire a tutti che dovrebbero affrontare questo genere di decisioni in un modo diverso, ma quello che proviamo a fare è aprire la discussione con ogni uomo, ogni donna che arriva da noi. Ecco, in sostanza è questo il nostro obiettivo. Un obiettivo radicato nel regno del desiderio: il desiderio di cambiare la nostra vita, il nostro modo di lavorare, di relazionarci ai pazienti, di relazionarci con chiunque, perfino quando il nostro status socioeconomico era differente rispetto a quello che abbiamo ora.
Ok. Una delle cose più interessanti per noi è che il vostro progetto prova ad andare oltre le categorie di dottore e paziente, cambiando in questo modo lo stesso lavoro del medico. Per esempio, facendo circolare alcune conoscenze fra le persone che arrivano da voi. Quindi vorremmo capire meglio come il lavoro nella clinica occupata è diverso dal lavoro di un medico negli ospedali pubblici e nel sistema sanitario ufficiale. Praticamente, quali sono le maggiori differenze? E come cambia il comportamento dei pazienti che arrivano lì?
Se vuoi vedere a che punto sei e valutare il tuo lavoro, devi anzitutto capire quali sono i tuoi obiettivi. Durante questo processo dell’assemblea e dell’occupazione abbiamo avuto un ricambio, un nuovo inizio, perché troppe persone sono andate via e abbiamo stretto una connessione più forte con l’assemblea che sentiva di dover ri-orientare quello che eravamo e quello che stavamo cercando di realizzare. Noi abbiamo una storia di tre anni e mezzo, quasi a metà di questa storia abbiamo effettuato questa rivalutazione ed era perfettamente chiaro, a quel tempo, che noi eravamo un gruppo di lavoro dell’assemblea locale. É stato proprio quello il momento in cui ci siamo prefissati quattro differenti obiettivi. Il primo obiettivo era il più ovvio: offrire aiuto medico alle persone che lo cercavano. Ovviamente questo è solo un titolo, c’è da dire di più. Questo punto potrebbe facilmente essere caratterizzato come un obiettivo tecnico e, per questo motivo, è considerato come il meno importante di tutti. Si tratta di qualcosa che, chiaramente, non abbiamo inventato noi. Un progetto che può essere realizzato anche da un’organizzazione non governativa pienamente finanziata dallo stato o dalle aziende (ovviamente noi non abbiamo nessun tipo di relazione con le istituzioni ufficiali). Era chiaro fin dall’inizio che offrire semplicemente aiuto medico, senza un chiaro progetto politico dietro, senza una lotta contro le decisioni politiche che distruggono la sanità e senza la solidarietà con le altre parti del movimento antagonista, poteva facilmente scivolare nella carità ed era qualcosa che non ci interessava. Il secondo obiettivo era combattere la vacuità della relazione tra medico e paziente, che è una relazione profondamente autoritaria. Come ho spiegato in precedenza, quando il dottore ti visita è come un teatro: lui indossa vestiti costosi, ha un sacco di attestati al muro per mostrare di essere una persona veramente importante, che tu devi tenere in considerazione e di cui, magari, devi anche aver paura. Ti esaminerà quanto più velocemente possibile e ti getterà una diagnosi in faccia dicendo “questa è la mia opinione e dovresti prendere queste pillole. Ciao, ciao”. Magari è una brava persona e ti chiederà della tua famiglia. Questo è quanto!
Ed è proprio quello che vogliamo combattere, per diverse ragioni. Non perché noi non crediamo nella medicina occidentale, perché nei movimenti sociali ci sono tante discussioni su questo. Noi crediamo fortemente nella medicina occidentale, ma crediamo che sia stata invasa dalla commercializzazione, così profondamente da aver cambiato i suoi stessi tratti distintivi. Cosa intendo dire? Sappiamo per certo, e persino loro lo ammettono, che ci sono degli studi clinici, grandi e seri studi clinici, che sono soggetti a errori sistematici, che sono soggetti all’influenza del danaro elargito dalle compagnie che vogliono dimostrare che i loro prodotti sono efficaci. Quindi come medici, come scienziati, bisogna stare veramente attenti ad estrarre le informazioni affidabili dall’oceano di informazioni pubblicate ogni giorno su internet o inviate da compagnie ed istituzioni mediche. Questa è una cosa. Un’altra cosa è che noi vogliamo rompere con quello che ho descritto prima: questo teatro del medico che è qualcuno al di sopra di tutto il resto. E la prima cosa, forse la più importante, è provare ad attivare la responsabilità delle persone rispetto a loro stessi, ai loro corpi, alla loro salute. Quindi quello che proviamo a fare è dare loro delle informazioni che riteniamo affidabili. Così allo stesso tempo noi siamo tecnici (è vero che abbiamo un tipo di conoscenza specifica), amici, compagni, qualcuno di cui potersi fidare. Noi diamo loro alcune informazioni e proviamo a capire insieme cosa può essere meglio per loro. Questo non è semplice come si potrebbe pensare. In particolar modo con le persone che non hanno a che fare con l’attivismo, con la politica, o con quello che ti pare, è davvero difficile di primo impatto renderli attivi, perché di solito ti dicono “tu sei il dottore… tu devi dirmi!”. E quindi tu devi fare un passo indietro e dire “ok, questa è la mia opinione ma io ho basato questa opinione su uno, due, tre avvenimenti della mia esperienza, ma anche tu hai un’opinione!”. A volte tu [come dottore] hai un’opinione molto forte e definita.
Ma è davvero molto comune che un problema di salute non abbia una soluzione definita. Se stiamo parlando di assistenza medica di base, probabilmente la maggior parte delle patologie sono auto-limitanti o possono essere controllate senza l’ausilio di medicine. Ci sono tre gradi dell’assistenza medica, e in questo caso noi stiamo parlando solo del primo. Il terzo grado è un ospedale veramente grande, fantastico, con competenze chirurgiche e macchinari per le TAC e le risonanze magnetiche. Questo è davvero importante e molte vite sono salvate in questi luoghi ogni giorno, ma è una piccola parte dei problemi di salute, è solo la punta dell’iceberg, ciò che è visibile e riconoscibile. Per noi focalizzarci sulla base, sul primo grado dell’assistenza sanitaria, è stata una scelta oculata. Abbiamo preso questa decisione non solo perché è più semplice in termini materiali (ovviamente era difficile procurarsi della tecnologia medica costosa o occupare una sala operatoria), non solo perché ci dà l’opportunità di essere coinvolti nella vita quotidiana di un quartiere, ma principalmente perché crediamo fermamente che sia l’approccio più valido alla sanità. Un approccio che mette l’uomo al centro, che previene i problemi ed assicura salute psicologica. L’80% delle persone ha semplicemente bisogno del primo grado di assistenza sanitaria. E l’80% di questo 80% rimane lì, senza bisogno di andare oltre, negli altri gradi. Questo è qualcosa di risaputo nella letteratura medica e noi l’abbiamo riscontrato: su 10 persone che vengono da noi 8 ci restano, nel senso che possiamo dare loro una soluzione. Quindi questo è il nostro secondo obiettivo, ne ho parlato a lungo perché è probabilmente il più importante. L’altra cosa che facciamo rispetto a questo obiettivo riguarda le persone dell’assemblea che non lavorano nella sanità, ma lavorano con noi ogni settimana, ogni volta che siamo aperti. Loro sanno come riconoscere ciò che è veramente importante, come raccogliere le storie cliniche in maniera affidabile e sanno quali sono i loro limiti. Perché magari qualcuno potrebbe pensare di poter fare completamente il lavoro di un medico, che ovviamente non è ciò che noi vogliamo. Nonostante questo, possono avere delle competenze specifiche, che sono davvero importanti perché riguardano malattie molto comuni. Per esempio, possono misurare la pressione o la glicemia, conoscono il primo soccorso. Sono quindi nella posizione di poter raccogliere la storia clinica in maniera affidabile. Questa è l’apertura ai membri dell’assemblea e l’apertura al pubblico, alle altre persone che non vogliono far parte della nostra assemblea. Ogni mese teniamo una lezione, una “anti-lezione”, qualcosa che a volte è tenuta da un medico o a volte da un medico e un non-medico che finge di aver preso delle medicine che hanno avuto effetti negativi o che ha problemi con le medicine… cose del genere. O magari qualcuno che non è un medico trova qualcosa nella letteratura [medica] e lo presenta, e a noi tocca, insieme al medico, discutere se questo qualcosa è affidabile, se è buono. Quindi è una specie di workshop su come puoi trovare informazioni affidabili, e devi sapere che puoi farlo, ma devi anche conoscere i tuoi limiti. In un altro mondo, in un mondo libero, le persone potrebbero prendersi cura di loro stesse fin dove riescono a farlo e, allo stesso tempo, senza essere pericolose.
Ritengo che questa sia la cosa più importante che abbiamo da offrire: quando arriva un paziente noi gli proponiamo di discutere il suo problema in maniera assembleare. Quindi ci sediamo e, se lui è d’accordo, procediamo in questo modo. Nell’assemblea ci sono sia medici, che non medici. In questo modo proviamo a capire se c’è una prospettiva sociale, che è davvero, davvero comune. A volte le persone che non sono medici possono dare una soluzione perché hanno esperienze simili. A volte, e questo è veramente importante, organizziamo gruppi di pazienti con la stessa malattia, malattie croniche intendo, che in qualche modo li definiscono [socialmente] perché impongono loro un certo modo di vivere. Abbiamo gruppi di persone con la depressione. Si incontrano ogni settimana. Alcuni di loro hanno una definizione psichiatrica, altri no, sentono semplicemente le voci. E loro lo trovano d’aiuto, al momento dura da un anno. L’ultima cosa che vorrei dire su questo è che la grande maggioranza dei nostri pazienti ha problemi psicologici. È la causa principale per cui i pazienti vengono da noi. Quindi questo era il secondo obiettivo, davvero grande. Il terzo è veramente piccolo. È che noi ci consideriamo come un collettivo politico, quindi non dimentichiamo che siamo in uno spazio che ha due nemici: un nemico è lo stato, che attacca l’assistenza sanitaria, attacca i diritti delle persone e dei pazienti, quindi noi dobbiamo resistere in qualche modo. Uno dei canali di resistenza è l’ambulatorio stesso. Partecipiamo anche ad altri canali di resistenza, come i sindacati del servizio sanitario, ma [l’attività che svolgiamo nell’ambulatorio] è qualcosa di profondamente diverso perché vogliamo spronare le persone che non sono professionalmente coinvolte nella sanità a reagire, perché questo è un diritto. Quindi noi discutiamo, andiamo negli ospedali e diamo volantini, sia ai pazienti sia ai medici. Quando per la prima volta è stato introdotto un ticket per farsi visitare in ospedale, siamo stati i primi ad andare là e a bloccare le casse, a bloccare questa procedura. Questa azione ha avuto una risonanza talmente grande che praticamente ogni gruppo coinvolto nella resistenza sociale, perfino i partiti del Parlamento, la hanno replicata: bloccare le casse degli ospedali è diventata una pratica veramente comune. Questo è qualcosa che abbiamo offerto al campo della resistenza sociale.
Ed è qualcosa che noi non dimentichiamo. Questo è un nemico: lo stato. Gli altri nemici siamo noi stessi, la parte migliore di noi stessi. Nella nostra occupazione abbiamo diversi gradi di libertà, che non è totale, ma ci sono alcuni gradi di libertà, così noi proviamo a rendere tutto e noi stessi sempre migliori. Per questo dobbiamo fare i conti con le nostre prospettive, con le nostre possibilità e con le cose che succedono fuori. Il quarto obiettivo è che noi vogliamo questa cosa: lavorare come un faro, come un esempio per gli altri affinché prendano la parte buona ed eliminino la cattiva, affinché gli altri facciano meglio, rendano più grande quello che facciamo e non si limitino soltanto a replicare o a copiare… Io sono stato uno di quelli che hanno proposto questo progetto, nonostante non credessi che sarebbe durato a lungo e non credessi in alcun tipo di successo. Quello che avevamo veramente in testa era un esperimento per gli altri che sarebbero venuti dopo. Fortunatamente è [un progetto] ancora vivo, che ha offerto alcune cose, che ha fallito in molte più cose di quelle in cui ha avuto successo. Ma l’aspetto più importante è che altre persone lo hanno visto, hanno condiviso l’esperienza, sono stati lì, hanno visto quello che abbiamo fatto e, perfino vedendo soltanto il nostro blog, hanno realizzato qualcosa di simile. Così ora abbiamo circa dieci occupazioni simili di cliniche sociali, già pronte o quasi pronte.
…dieci ad Atene o in tutta la Grecia?
Dieci in tutta la Grecia. La più grande è a Salonicco. Ce ne sono anche a Rethymno, a Volos e in altri cinque o sei quartieri di Atene. Quindi sono quasi dieci. E anche a Patrasso. Un punto veramente importante è che noi siamo stati criticati, in primo luogo, perché questa cosa poteva essere facilmente incorporata dal sistema, perché era facile che qualcuno considerasse questa cosa come carità. É qualcosa che molti altri hanno provato a fare, soprattutto negli ultimi anni, con la crisi che incalza ed esplode ogni giorno. Sono state realizzate alcune cliniche simili, dalla chiesa o dalle associazioni mediche, che in modi diversi sono state pubblicizzate bene e hanno avuto grande supporto dalla Tv che le mostrava continuamente, dicendo: “guardate queste persone! Loro stanno cercando di aiutare”. Ma alcune persone conoscono la differenza e vengono da noi proprio perché sanno che c’è qualcosa di veramente diverso. Questo è il nostro quarto obiettivo. Penso che in qualche modo li abbiamo raggiunti tutti. Per questo siamo convinti di aver fatto qualcosa che ha avuto successo, nonostante i tanti fallimenti che ho già menzionato. Allo stesso tempo devo ammettere che abbiamo così tante idee, così tante speranze, che non potranno mai uscire fuori tutte quante. Quindi, se vogliamo dare un segno è positivo, ma ci sono anche degli aspetti molto negativi dai quali proviamo a trarre insegnamento, per noi e per tutti coloro che sono interessati.
Un’altra domanda riguarda il modo in cui vi relazionate alle altre nove esperienze simili alla vostra. Solo per capire quali sono i punti in comune e quali le differenze, e se c’è un livello di coordinamento dell’attività politica fra queste dieci cliniche sociali delle quali hai parlato.
Lo scorso maggio si è tenuta ad Atene una conferenza in cui abbiamo invitato tutte queste cliniche. Alcune non sono potute venire per questioni materiali, ma abbiamo comunicato con tutte. Abbiamo proposto di creare una rete su due livelli: il primo livello è quello locale, rispetto a cui abbiamo provato a connetterci con le altre cliniche di Atene per scambiare medicine o servizi medici, perché noi abbiamo molte medicine e alcune persone ne hanno bisogno nelle altre cliniche. Atene è una città veramente grande, di oltre 4 milioni di persone, quindi proviamo a scambiarci: a) medicine; b) magari anche alcuni medici, che hanno particolari specializzazioni e vanno in più di uno di questi ambulatori. Il secondo livello è con le cliniche in tutta la Grecia, cui abbiamo proposto di scambiare lezioni. E loro hanno accettato. Intendo che se noi abbiamo una presentazione pronta, la diamo a loro. Quindi è un campo aperto, siamo solo all’inizio, la maggior parte delle altre cliniche sono veramente recenti o ancora non sono state presentate, ma tutte ci hanno contattato per condividere qualcosa, quindi non so cosa accadrà il prossimo anno.
Quali sono le caratteristiche particolari del vostro ambulatorio rispetto agli altri? Siete specializzati in alcuni campi medici o no?
Questa domanda ha due livelli. Il primo livello è tecnico, intendo quanti dottori partecipano e che tipi di servizi possono offrire. A Salonicco hanno molti più dottori di noi, ed hanno strutture che noi non abbiamo. Per esempio, loro hanno un dentista con attrezzi odontoiatrici che noi non abbiamo. Noi abbiamo un elettrocardiografo che ci è stato donato da un sindacato, perché uno dei membri di questo sindacato è venuto da noi ed ha risolto i suoi problemi. Quindi, non per gratitudine ma per solidarietà, ha preso l’iniziativa di raccogliere soldi tra i membri del sindacato. Così ci hanno comprato l’elettrocardiografo. Questo rispetto al livello tecnico, che io ritengo sia secondario. Qualcuno potrà dire che le principali differenze non sono poi così grandi, ma allo stesso tempo sono importanti e riguardano il livello politico. Per esempio, la nostra clinica ha deciso in maniera chiara e definitiva che non vuole nessuna relazione con qualsiasi tipo di istituzione, come lo stato, i ministeri, i municipi, le aziende, gli sponsor, i partiti politici, e cose di questo genere. Come ho già spiegato ci sono due tipi di cliniche ambulatoriali, tra quelle simili a noi credo che nessuna voglia avere niente a che fare con le istituzioni, però, per esempio, la clinica di Salonicco ha accettato l’offerta del rappresentante del sindacato di prendere un edificio.
Stai parlando dell’ospedale occupato a Kilkìs, vicino Salonicco?
No, a Kilkìs hanno occupato l’ospedale dove già lavoravano. L’ospedale è stato occupato dai lavoratori per poche settimane. È stato qualcosa di diverso. E dopo questo, l’associazione medica locale ha provato qualcosa di simile ad un ambulatorio. Ma [la clinica sociale di] Salonicco è qualcosa di diverso, perché loro hanno parecchi dottori di vari ospedali e hanno rilasciato molte interviste alla televisione, cosa che noi abbiamo deciso di non fare. Comunque questa non è la cosa più importante. Non voglio dividere questo tipo di esperienze. È solo un diverso punto di vista. Non abbiamo niente da condividere, ma abbiamo tante cose in comune.
Rispetto al livello tecnico che hai appena menzionato, ci piacerebbe sapere come riuscite a farlo funzionare. Ad esempio, come rimediate le medicine? Come ottenete le apparecchiature?
Precedentemente non ho detto che siamo stati avvicinati da importanti canali televisivi stranieri. Dalla Grecia mai, ma dall’estero sono arrivate la BBC e TV5, dalla Francia, per un’intervista, e ovviamente noi abbiamo declinato. Abbiamo declinato ed abbiamo spiegato il perché. Soprattutto il giornalista francese era così sconvolto che non riusciva a capire la ragione per la quale ci rifiutavamo di parlare con lui. Ma quando gli abbiamo spiegato il perché, ha detto: “Ok, avete ragione!”. Abbiamo detto che noi crediamo che sia un’istituzione che aiuta il nemico. E alla fine della conversazione lui ha detto: “Per come l’avete messa, sì, avete ragione”. Quindi, dicevamo… come troviamo gli strumenti tecnici. In primo luogo, siamo in un edificio che era usato fino a cinque anni prima che vi entrassimo come un’unità di assistenza sanitaria di primo grado. Quindi le persone ci andavano per i vaccini, c’era un ginecologo, c’erano lezioni per le mamme, cose così. Ma è stato abbandonato dallo stato. È stato chiuso, quindi noi abbiamo provato ad entrare sia simbolicamente, che praticamente, per affermare che lo stato aveva promesso qualcosa, lo stato mente, e noi, le persone, tutti, senza nessun tipo di gerarchie, apertamente, in modalità assembleare, stiamo provando a prendere le nostre vite nelle nostre mani e il primo passo è prenderci cura della nostra salute. Quindi alcune cose le abbiamo ereditate da questa unità di assistenza sanitaria che lavorava lì. Il secondo modo te l’ho già accennato: sono offerte delle persone. In particolar modo le medicine. Molte persone arrivano con pacchi di medicine. E dei sindacati. E di altri gruppi che appartengono alla galassia della resistenza sociale. In entrambi i casi ci danno soldi, o molti di loro ci danno attrezzature. Mi sembra di averlo detto in maniera chiara: la solidarietà è la nostra arma.
Un’altra domanda riguarda il tipo di persone che frequentano la clinica. Per esempio, appartengono ad una classe sociale in particolare? Sono giovani, migranti, persone anziane? E stiamo parlando sia degli attivisti, che dei pazienti che la frequentano. Abbiamo inteso che si tratta di una specie di categoria mista…
In primo luogo, dichiaro l’obiettivo che ci siamo posti. Il titolo del nostro volantino di benvenuto è: “nella casa della salute, tutti sono i benvenuti”. Ma quando diciamo tutti, intendiamo tutti tranne coloro i quali vogliono venire da noi e parlare o comportarsi da fascisti, razzisti o sessisti. È l’unica eccezione che facciamo. Tutti sono benvenuti. Questo significa che non puntiamo solo alle persone che non hanno assistenza medica, ai migranti, ai nullatenenti. Vogliamo anche la gente normale, quella della porta accanto, perché siamo interessati alla loro mentalità, al modo in cui pensano e vogliamo prendere alcune decisioni circa le loro vite insieme. Ovviamente molte delle persone che arrivano sono politicamente sensibili. Membri dell’assemblea, loro amici, etc. Vengono anche da altre assemblee di Atene. Ma noi teniamo un registro e ci siamo resi conto che, per ora, la maggior parte delle persone non è di questo tipo. La maggior parte di loro è gente del quartiere, senza alcun tipo di coinvolgimento politico. La maggioranza di queste persone, come vi ho detto, soffre dei problemi comuni, classici, che puoi riscontrare in un paziente ambulatoriale. E ad ogni modo, ripeto, abbiamo un sacco di gente con problemi psicologici, cosa che riflette la situazione della società in generale. Abbiamo un aumento dei suicidi, che alcuni stimano attorno al 300%. Quindi i problemi che arrivano da noi sono problemi cronici. Noi non rispondiamo ad emergenze, non abbiamo l’opportunità di coprire 24 ore, ovviamente. Siamo aperti solo per poche ore, 2-3 pomeriggi a settimana. Questo vuol dire che abbiamo a che fare con i classici problemi cronici.
Come il contesto politico generale influenza il vostro lavoro? Per esempio, in che modo la crescente repressione statale degli ultimi giorni, degli ultimi mesi, influenza il vostro lavoro quotidiano?
Per essere onesti, noi non abbiamo ricevuto nessuna minaccia e non abbiamo nessun tipo di problema con le autorità, al momento. Indirettamente, siamo coinvolti poiché assistiamo molte persone che hanno grossi problemi, problemi dovuti agli arresti e, in maniera più consistente, a quello che accade durante i cortei. Per esempio, abbiamo persone che sono state seriamente ferite alla testa. Uno di loro era in uno stato di pericolo veramente serio, rischiava perfino la morte. E ora rimarrà stordito per mesi. Altre persone hanno perso l’udito a causa delle esplosioni. Quindi abbiamo vittime della repressione della polizia. O persone con problemi ortopedici, gambe rotte, braccia rotte. Qualcosa con cui abbiamo a che fare davvero spesso.
Magari vuoi dire qualcosa di cui non abbiamo ancora parlato…
Solo una cosa. Ho detto abbastanza, credo. Ma vorrei ringraziare tutti quelli che ci mostrano solidarietà dall’estero, è qualcosa di davvero importante per noi. Dimostra che ciò che facciamo, almeno, è qualcosa che viene conosciuto, che viene rispettato dalle persone che vivono negli altri paesi. Vorrei dire che se volete essere davvero solidali con noi, non ne parlate con una sorta di ammirazione, non ritenete sufficiente inviare soldi o materiali. Dovreste fare qualcosa di simile. È qualcosa di praticabile, e vale la pena provarci…